Grow Home, la recensione: la salita è dura, ma in cima…

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Riflessi in casa Ubisoft Ubisoft, spesso ce ne dimentichiamo, è composta, oltre che dalle sedi sparse in giro per il mondo, anche da piccoli studi, trattati come “sottobosco indie” della grande casa francese. Il team inglese di Reflections, nella fattispecie, realizzò tempo fa una tech demo basandosi su un immaginario fantascientifico a metà tra Wall-E e Guida Galattica per Autostoppisti. Quella tech demo si è oggi evoluta diventando quello che oggi è Grow Home, titolo dal costo contenuto (8 euro circa) disponibile su Steam e Ps4. Il tempo impiegato ha reso il gioco un titolo interessante e completo o l’idea alla base è rimasta abbozzata?

Verso L’infinito e oltre In Grow Home impersoniamo un piccolo robot chiamato BUD (Botanical Utility Droid) che ha la missione di trovare una pianta a stella e farla germogliare fino ad arrivare ai 2000 metri di altezza, permettendole di produrre semi fondamentali per poter rientrare sull’astronave che ci riporterà a casa. Questo si traduce in un gioco d’esplorazione in terza persona in cui ci si deve arrampicare su questa Star Plant per farla crescere, facendo congiungere dei rami “allungabili” con delle rocce fluttuanti ricche di energia, ampliando un ecosistema (dotato di flora e fauna non molto affascinanti ma anche “catalogabili” come collezionabili) che diventa man man sempre più alto e dalle forme non solo affascinanti, ma sempre diverse in base al modo in cui si allungano i rami, come in una versione ecologista di Jack ed il Fagiolo Magico. La grafica in 3D lowpoly aiuta a rendere questa complessità visivamente più immediata e d’effetto, grazie sia al design dei modelli poligonali sia ad un ciclo giorno/notte che regala forti colpi d’occhio a livello cromatico.

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Qua casca l’asino Grow Home, a fronte di una idea immediata e ben realizzata, nasconde però un grande difetto: i movimenti di BUD sono gestiti malissimo. Mentre si cammina è come se il nostro avatar robotico fosse fatto di carta, il corpo tende a sbandare pendendo da un lato, scivolando neanche fosse sul ghiaccio (fermarsi diventa ostico). L’arrampicata non è da meno: in pratica i tasti L1 ed R1 su Ps4 (o L2 ed R2) attivano le mani di BUD, rendendo le scalate una sequenza alternata al giusto ritmo di questi tasti, causando una frustrazione che non si capisce se sia causata dalla scarsezza del giocatore o dal game design stesso. I 2000 metri a cui bisogna far arrivare la pianta vorrebbero essere il limite irrangiungibile, ma che regalano soddisfazioni una volta completata la missione (un po’ come accadeva in Journey dove all’inizio si aveva il brivido del “ma devo arrivare laggiù?”).

Superata però una certa altezza diventa solo frustrante, una volta che ci si ritrova a cadere di sotto per mancanza di attrito durante la scalata o la discesa da un certo ramo e a dover ricominciare la scalata (sono presenti punti in cui teletrasportarsi, ma circa ogni 300/400 metri che rimangono lunghissimi da scalare). Dovrebbero aiutare in tal senso fiori e foglie, sparsi per lo scenario e utilizzabili come deltaplani o paracadute, ma anche là le risorse si esauriscono presto. Specie nella parte finale ci si ritrova a dover rifare minuti e minuti di scalata per aver sbagliato un singolo salto: se voleva forse essere un tentativo di unire il fascino di grandi titoli di esplorazione e viaggio, dove sono gli environment ed i colori a fare da sovrani (citiamo ancora Journey, ma anche Proteus o Dear Esther), con gameplay hardcore (Octodad, I am bread) sicuramente il risultato ci fa capire che è un esperimento da non ripetere. Considerando oltretutto la durata medio/breve del gioco (due/tre ore circa, ovviamente allungabili se si vuole essere perfezionisti e/o masochisti), viene quasi il dubbio che sia una scelta precisa per far percepire un tempo che non passa mai.

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Less is more Dispiace veramente che sia un singolo difetto (i movimenti del protagonista) a rovinare quello che a conti fatti è un titolo con idee funzionali ed originali. Se si ha la pazienza di arrivare in cima la grafica, nel suo essere essenziale, regala viste di grande impatto: il lowpoly sembra una precisa scelta dettata dalla direzione artistica piuttosto che dal budget (la verità starà nel mezzo) e non mancano occasioni per catturare screenshots mozzafiato. Verso la fine del gioco il framerate si fa meno stabile in alcuni punti, ma si giustifica con la massa di oggetti da elaborare che diventa immensa (la mappa è unica, e a 2000 metri se ci si vuole buttare di sotto non ci sono caricamenti intermedi tra cielo e terra).

Per quanto riguarda il comparto audio ci troviamo davanti a brevi elementi musicali elettropop utilizzati nei menu e nei titoli, che spesso lasciano spazio ad un manto di soundscape che stratificano ancora di più i livelli dell’ecosistema di gioco. Piccola nota negativa, anche qua, alcuni versi di BUD sono abbastanza fastidiosi e spesso lasciati ad un volume troppo alto rispetto al resto dei suoni.

Se si ha la pazienza (e ce ne vuole) di arrivare a fine gioco, come le migliori scalate Grow Home regala soddisfazioni e grandi colpi d’occhio. Rimane il dispiacere di vedere un’idea brillante soffocata da elementi abbozzati o mal calibrati, con la sensazione di star giocando ad una tech demo, affascinante sicuramente, ma da sviluppare ancora.

Francesco Segala
Classe 1990, aspirante concept artist/pixel artist/colorista.
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