Correva l’anno 2013 quando SCE Japan Studio, in collaborazione con il designer Mark Cerny, rilasciò Knack su PlayStation 4. A quattro anni di distanza e con la sorpresa dei più, ecco arrivare Knack II, un sequel davvero inaspettato, per i motivi sbagliati.
“Un po’ Crash Bandicoot, un po’ Katamari Damacy, un po’ God of War”: l’intenzione di Sony e SCE Japan Studio era questa sin dal primo titolo, ma né questo né il secondo hanno raggiunto l’obiettivo in maniera soddisfacente.
Knack II migliora il predecessore sotto praticamente ogni aspetto, a esclusione dei dialoghi, che rimangono stereotipati, banali, prevedibili e infantili come e persino più che in passato, in grado dI rendere fastidiose delle conversazioni supportate invece da un buon doppiaggio e una regia gradevole.
La modalità cooperativa permette a due giocatori contemporaneamente di vestire i panni di due distinti Knack, la qual cosa riesce aggiungere frizzantezza a delle fasi action che, se affrontate in singolo, non offrono nulla di originale o esaltante, complici nemici con pattern basilari e spesso anche inutilmente aggressivi.
Stesso dicasi per enigmi ambientali e sezioni platform: il risultato finale è senza dubbio sufficiente, grazie anche a una buona varietà estetica delle mappe, ma queste e i rami diversificati dello skill tree del protagonista non riescono a rendere Knack II memorabile sotto alcun punto di vista.
Proprio come il primo titolo, Knack II punta a un target di giovani, in quanto i giocatori di vecchia data difficilmente potrebbero rimanere intrigati da meccaniche di gioco già viste e riviste in altri brand, nella maggior parte dei casi anche in una qualità superiore.
Il framerate stabile, le belle animazioni e l’egregia realizzazione del suo modello in game, in grado di accrescere e ridurre le proprie dimensioni raccogliendo le antiche reliquie che lo compongono, purtroppo cozzano con il già citato combat system poco ispirato e al design assolutamente anonimo del protagonista (il cui doppiaggio italiano è anche l’unico del cast a risultare mediocre) che nell’aspetto presenta pochi, se non alcun elemento memorabile.
Punto di forza di buona parte dei beniamini delle saghe videoludiche, in primis dei titoli platform, hanno come punto di forza la semplicità: Ratchet, Mario, Sly Cooper, Link, Croc, Sonic, Klonoa, Crash e Spyro sono solo alcuni degli esempi che vengono in mente a un giocatore non più giovanissimo e che hanno aggiunto particolari (come gadget o abbigliamenti diversificati) alla loro estetica solo col passare del tempo, dopo che la loro identità era comuque rimasta impressa nella mente del pubblico.
Knack non fa nulla di tutto questo: un ammasso antropomorfo di solidi geometrici, probabilmente concepito in tale maniera più per mostrare la potenza di calcolo della console Sony che per lasciare traccia nel cuore dei giocatori.
Un golem senza anima, estremamente piatto sia nel carattere che nelle azioni che compie durante le sue due avventure: il vero paradosso è rendersi conto, fin dalle prime ore di gioco, che buona parte dei nemici di Knack II non solo hanno un design migliore del protagonista, ma appaiono persino meno “cattivi”: la presenza di numerose “punte” che ricoprono il corpo dell’eroe e il suo sguardo quasi inespressivo lo presentano come una creatura forte, ma decisamente poco amichevole.
La piattezza del personaggio principale non si riflette nemmeno nelle dimensioni del software in formato digitale, che offrendo circa 10-15 ore di gioco richiede oltre 40GB di spazio su disco fisso.
Un peccato, quindi, visto come Knack II comunque presenti oggettive buone idee: variare le dimensioni del protagonista in tempo reale per adattarsi ai livelli è solo una delle azioni che, in un mondo migliore di questo, avrebbero reso questo secondo episodio delle avventure di Knack una piccola perla platform/action, come del resto già accaduto in passato con altri brand, il cui capostipite non brillava per eccellenza, ma che già da secondo titolo mostravano concreti miglioramenti ed evoluzioni.
Non è questo il caso di Knack II, prodotto senza dubbio migliore del precedente, ma che rimane il “compitino per casa” portato a termine con – almeno apparente – indolenza e mancanza d’ispirazione, con il solo risultato di offrire al mercato la quintessenza di ciò che è, dopotutto, il protagonista da cui il gioco prende il nome: un ammasso colorato di modelli, uniti fra loro da una forza inspiegabile che rischia di mancare da un momento all’altro.