Per un’imprecisa, ma comprensibile associazione di pensiero, i primi brand videoludici a cui si pensa davanti al nome “Bethesda” sono The Elder Scrolls e Fallout; non vanno però dimenticati i giochi di terze parti, per i quali la software house è stata publisher nel corso degli anni, come la trilogia di Dishonored, Doom (2016) e, ovviamente, i Wolfenstein e il neoarrivato Wolfenstein II: The New Colossus.
Wolfenstein II: The New Colossus è un titolo multipiattaforma, nonché diretto sequel di Wolfenstein: The New Order. Gli eventi di gioco riprendono cinque mesi dopo la conclusione della precedente avventura, ma anche chi non ha avuto modo gi giocare quest’ultima potrà visionare un più che soddisfacente recap di quanto accaduto fino a quel momento. È quindi possibile godersi la storia di Wolfenstein II: The New Colossus anche senza non conoscere gli antefatti di una saga più che trentennale.
La narrazione è, inaspettatamente, uno dei punti di forza del nuovo titolo di Machine Games: il buon, vecchio William “B.J.” Blazkowicz riesce persino a mostrare un’umanità convincente, coinvolgendo emotivamente lo spettatore nonostante continui a parlare per frasi fatte, mentre tutti i comprimari, antagonisti compresi, godono di una semplicità nuda e cruda, che li porta ad essere figure sicuramente caricate, ma comunque “vere”.
Interessante anche la dichiarazione del narrative designer della software house: Tommy Tordsson Bjork ha infatti affermato che il nuovo Wolfenstein non ha avuto una modalità multiplayer per non “diluire” l’esperienza singleplayer, in quanto il processo produttivo avrebbe deviato tempo e risorse verso un elemento del titolo ritenuto secondario; parole di un certo peso, soprattutto in un periodo storico in cui i titoli a singolo giocatore sembrano visti da – troppi – giocatori e case di sviluppo come una tipologia di videogiochi destinata a scomparire nel tempo.
Il doppiaggio italiano fa purtroppo perdere buona parte delle finezze linguistiche della versione originale, dato che i pensieri di Blazkowicz verranno presentati per tutto il gioco con un tono da comunicato radio, mentre i cattivoni nazisti snoccioleranno un italiano perfetto nella grammatica, a volte persino forbito e dall’inflessione pressocché assente, a differenza della versione inglese del parlato.
Il lavoro svolto rimane comunque sopra la media e il gioco risulta fruibile e piacevole anche in lingua nostrana. Fantastica anche la colonna sonora, sempre azzeccata e coinvolgente, in grado di coniugare fra loro situazioni drammatiche, anche toccati, con momenti di combattimento frenetico a cervello spento.
Wolfenstein II: The New Colossus, come Doom (2016), sfrutta l’id Tech 6 e offre una grafica migliore del predecessore The New Order, che si appoggiava alla versione antecedente dell’engine. Gli ambienti sono estremamente curati – merito anche dell’ottimo lavoro di design – e le animazioni fisiche e facciali dei personaggi convincenti; il framerate della versione console è di 60 fps, stabili anche nelle condizioni più affollate e in presenza di effetti particellari e volumetrici.
Nulla di rivoluzionario nel versante del gameplay: il nuovo Wolfenstein di fatto prende ciò che più funzionava in The New Order – ovvero quasi tutto – e lo raffina, offrendo ancor più versatilità ai giocatori. La prima cosa a saltare all’occhio è la possibilità d’impiegare due armi diverse contemporaneamente, mentre in passato il dual wielding era limitato ad equipaggiamenti identici.
Quasi inalterate, giusto leggermente più fluide da eseguire, le meccaniche di copertura e stealth, grazie alle quali il protagonista può assalire i soldati nemici senza essere scoperto e portare a segno attacchi letali. I coltelli da lancio sono stati sostituiti da piccole asce, senza però differenze nella meccanica di lancio e recupero delle armi bianche. Gradevole l’introduzione di un’ascia antincendio come strumento offensivo per il corpo a corpo, così come la possibilità di personalizzare il proprio armamentario con piccole modifiche, come ad esempio silenziatori e mirini ottici.
Vi è anche un ritorno dei Talenti, le abilità attive e passive sbloccabili dal giocatore una volta portate a termine semplici sfide di gameplay, come l’uccisione di un determinato numero di nemici con un metodo specifico.
La “tecnicizzazione” del gameplay non ha per fortuna minato lo spirito di Wolfenstein II: The New Colossus che, fedele alla saga di cui fa parte, riesce a mescolare elementi narrativi e di gameplay seri e tecnici a momenti di puro splatter e “trash fantanazista”. Le dieci ore di gioco della campagna principale sono incredibilmente scorrevoli e con filmati ben integrati all’interno; le mappe non sono particolarmente estese ma fin dalle prime ore offrono un’insperabile varietà estetica e diversi metodi di superamento.
L’elevato numero di difficoltà selezionabili offre un’esperienza adatta a ogni tipo di giocatore, dal novizio del genere sparatutto, allo smaliziato alla ricerca di una sfida all’ultimo proiettile. Non mancano ovviamente i collezionabili, numerosi come nel predecessore e sempre divertenti da scoprire esplorando il mondo di gioco. Anche in Wolfenstein II: The New Colossus saranno presenti i Codici Enigma, che una volta decifrati attiveranno missioni secondarie in cui l’eroe polacco-americano sfogherà tutto il suo rancore sul – più o meno – malcapitato capo nazista di turno.
Wolfenstein II: The New Colossus è il perfetto sequel di Wolfenstein: The New Order: un titolo che e approfondisce al punto giusto i vari comprimari, fino a rendere quasi umano un protagonista nato come quint’essenza dello stereotipo del soldato americano; il gameplay è ancor più flessibile che in passato e riesce a risultare tanto tecnico quanto giocoso, grazie anche alla difficoltà modulabile, meno permissiva rispetto al precedente capitolo e alle numerose combinazioni “akimbo” dell’arsenale.
Wolfenstein II: The New Colossus affronta per l’ennesima volta nella storia dei media l’ucronia distopica di un secondo dopoguerra che vede i nazisti vittoriosi, ma riesce a farlo senza scadere nello scontato e nel cattivo gusto, dosando sapientemente ogni ingrediente per creare una narrativa fresca e, per assurdo che sia visto il tema trattato, originale.