Home Recensioni Returnal: la recensione su PS5

Returnal: la recensione su PS5

0
Returnal: la recensione su PS5

Una recensione sudata – e intensa – quella di Returnal, l’ultima esclusiva della nuova console PS5. Per quanto non arrivavamo al buio sul gioco, visto che ne abbiamo seguito il suo sviluppo nel corso del tempo, non ci aspettavamo un gameplay così intenso. Sicuramente ne avrete lette anche altre associate al gioco in questi giorni. Termini come impegnativo, difficile, punitivo, però, non devono essere intesi nella loro accezione negativa, per quanto di fatto lo siano per natura.

Stiamo parlando di un roguelike, un genere che si nutre di questi vocaboli. Housemarque ha costruito un titolo coerente con tale tipologia di gioco, anche se non ha seguito le istruzioni alla lettera. Qualche libera interpretazione l’ha voluta inserire, mitigando il gameplay al punto tale da catalogarlo come un roguelite. Dovete, però, entrare nell’ordine delle idee che non si tratta del solito gioco. Non abbiamo davanti uno scopo ben preciso, e non vi è un tutorial che ci dice cosa e come fare. Si, ci sono delle indicazioni sparse un po’ in giro nella mappa, ma il resto lo si scopre nel tempo.

Returnal recensione ps5

La logica del divenire è parte integrante della filosofia di Returnal. La si vede in Selene, la protagonista del gioco, la si vede nella crescita del personaggio, nella storia e nel level design. Tutto cambia in questo eterno giorno della marmotta, dove la vita e la morte vengono sintetizzate nel concetto di ciclo. Ogni volta che Selene muore si ricomincia da zero – o quasi – ricostruendo la build del personaggio per arrivare alla boss fight di livello.

Descritto in questi termini sembra una banalità assurda, ma fidatevi se vi diciamo che il magnetismo prodotto da questo titolo è qualcosa che spaventa ma al tempo stesso incanta. Sembra di ritornare ai vecchi tempi, quando l’arcade regnava incontrastato. C’è molto di quello spirito e di quella concezione di sfida, che sembra far parte di un passato ormai lontano e che invece sembra non essere invecchiato nemmeno di un giorno. E con questo chiudiamo la nostra (in)solita premessa di Returnal, titolo, vi ricordiamo giocato su console PS5.

Un qualcosa di originale

Non è facile identificare un titolo con un gameplay originale nella marea videoludica di questi ultimi anni. Diamine, però, se Returnal ci riesce. Lo fa in maniera sottile, attingendo qua e la da meccaniche e generi che abbiamo già visto e rivisto. Non li mescola a casaccio, ci mancherebbe, e ogni componente mantiene una sua identità chiara ma al tempo stesso logicamente interconnessa nel suo insieme. E tutto funziona alla perfezione.

Il primo impatto è quello di un classico sparatutto in terza persona. La protagonista del gioco è Selene Vastos, un’astronauta intrappolata su un pianeta chiamato Atropo. Il termine “intrappolata” è da cogliere nel suo significato stretto, visto che ogni volta che perde la vita la povera ragazza è costretta a iniziare tutto daccapo. E tutte le volte il mondo intorno a lei cambia. Mostri e ambientazioni variano in maniera randomica senza fornire alcun punto di riferimento certo tra le varie iterazioni.

Returnal recensione ps5

Ci sono collezionabili da raccogliere, utili per potenziare il personaggio. In questo si intravedono in Returnal delle somiglianze con il genere platform. Man mano che si svela la mappa di gioco la nostra Selene diventa sempre più forte, ottenendo potenziamenti e armi migliori. Interessante la presenza dei cosiddetti “parassiti”, piccole creature che si saldano al corpo dell’astronauta donandole bonus e malus.

Ci accorgiamo che stiamo costruendo una build, senza nemmeno accorgercene. Senza la presenza di uno skill tree e di un livello del personaggio. Conosciamo solo gli effetti dei potenziamenti e come questi influenzano il nostro modo di giocare. In altre parole, un ARPG semplificato e ridotto quasi all’osso, dove la componente action è quella che fa la differenza. E tutto questo non prescinde dal suo essere roguelite, con delle regole ferree da cui non si scappa.

C’era una volta l’arcade

In più occasioni, nella nostra recensione PS5 di Returnal, abbiamo voluto evidenziare il suo “essere” arcade. Parliamo di quello vecchia scuola, quello che, una volta soddisfatto il requisito dell’insert coin, ti rendeva un eroe o una schiappa. Tutto viveva in quella finestra temporale creata dal gettone, dove il momento di gioco si consumava senza salvataggi e checkpoint. L’unico modo per proseguire era inserire una nuova monetina prima del termine di quei finali 10 secondi di countdown.

C’è molto di quell’arcade “old-style” in Returnal. Un gioco che vede il concetto di difficoltà non come un ostacolo, bensì uno stimolo per fare meglio. La reiterazione di un ciclo è solo un modo per dire ritenta sarai più fortunato. Solo che Housemarque della vostra fortuna non sa cosa farne, visto che la sfortuna è una buona scusa per non ammettere i propri errori. Un roguelike, se sbagli, ti punisce severamente.

Returnal recensione ps5

Returnal alza l’asticella della difficoltà nel tempo, o meglio, con l’avanzamento nei biomi. Una volta sconfitto il boss di livello, verrete catapultati in una nuova dimensione partendo dal vostro ultimo status. Se morite, il ciclo riparte dall’ultimo bioma conquistato. Anche se il mondo intorno a voi cambia, la minestra è sempre la stessa. È questo vale nel bene e nel male.

Visto in questi termini, il gameplay di Returnal viaggia sul binario dell’apatia e della ripetitività. Questo non lo escludiamo anche se il feedback aptico della nuova PS5 aiuta a stimolare in momenti di assopimento. Di momenti come questi ce ne possono essere, e sopraggiungono in occasione di continui fallimenti. Ma anche questo stato di malessere è parte integrante dell’esperienza di gioco. Quante volte, dopo aver buttato un numero considerevoli di gettoni, mandavate a quel paese il cabinato, dandogli però appuntamento al giorno dopo? Amore e odio, una storia già vissuta.

Difficile fa rima con competizione

È facile etichettare un gioco come difficile quando ti si presenta davanti un gameplay che non prevede checkpoint e salvataggi di alcun genere e tipo. La prima impressione con Returnal è questa. Si resta un po’ spiazzati e ci si mette un po’ prima di ambientarsi e comprendere le regole del gioco. D’altronde quando si atterra su un pianeta ostile e sconosciuto, lontano anni luce dalla Terra, anche l’astronauta più esperto ha bisogno dei suoi tempi.

La nostra Selene, invece, parte “a bomba” e si fionda nella mischia, senza pensare cosa e come fare. Scopriamo che bisogna uccidere quanti più nemici possibili senza essere colpiti, e che le nostre kill alimentano un moltiplicatore. Questo, a sua volta, attiva dei perk che potenziano la nostra resa in combattimento. Le armi si ottengono in due modi: aprendo bauli e uccidendo i mini-boss. La potenza di queste aumenta man mano che restiamo in vita e affrontiamo dei nuovi nemici.

Returnal recensione ps5

I collezionabili sono sì importanti, ma vengono sempre dopo il nostro modo di giocare. Una cosa, però, è fondamentale ed occorre averla ben chiara quando si decide di atterrare su Atropo con la nostra Selene. Non bisogna MAI aver fretta. Correre e fare le cose veloci per arrivare quanto prima al boss del bioma e il giusto modo per bruciare un ciclo. La permanenza in un livello serve a potenziare il personaggio in vista del duello finale.

L’assenza dei checkpoint e dei salvataggi è, sicuramente, un’assenza pesante in Returnal. La loro presenza, però, annullerebbe il fattore sfida, banalizzando il gameplay. Nel mentre stiamo scrivendo questa nostra recensione, i giocatori li stanno (ri)chiedendo a gran voce visto che, in alcuni momenti, il gioco si presenta troppo difficile. Ma stiamo parlando di difficoltà o di competizione? La differenza è sostanziale.

Roguelike o Roguelite?

Housemarque non ne ha fatto mistero, riferendo, sin da subito, che Returnal rientrava nei cd. roguelike. Gli sviluppatori, in verità, hanno attenuato i toni del genere. La possibilità, per esempio, di conservare parte dell’equipaggiamento chiave nel corso dei cicli, è una concessione che lo fa rientrare nei roguelite. Una scelta, questa, che non accontenta sicuramente i puristi del genere.

Per il resto, però, c’è tutto quello che il genere prevede. Il concetto di Dungeon come caverna è sostituito da un open map con costellato di insidie mortali. Ogni stanza è connessa alle altre mediante porte, alcune delle quali sono apribili solo con chiave atropica. L’ordine delle stanze cambia dopo ogni ciclo, al pari della tipologia e disposizione dei nemici ivi presenti.

Returnal recensione ps5

L’assenza del concetto di savestate è un nodo importante. La speranza è che Housemarque non ceda alla pressione, anche perché il gioco perderebbe di integrità. Questo è uno dei cardini del gameplay e come tale non può essere soggetto a modifiche strutturali. Morirebbe il concetto di ciclo e iterazione, paragonandolo a uno sparatutto qualunque, con l’originalità del gameplay che si va a far benedire.

Non essendoci un impianto di matrice RPG, la progressione del personaggio vive e muore nel ciclo. Come detto prima, la fretta non porta a nulla di buono, per cui è Returnal stesso che vi invita a rallentare e fare le cose con calma. Non ci sono punti di riferimento, visto che la disposizione delle stanze cambia dopo che la povera Selene passa a miglior vita.

Returnal recensione ps5