Una storia che racconta un dramma, ricordato da Chernobylite, il titolo della nostra recensione per console PS5. Solitamente si riserva al medium videoludico una funzione di intrattenimento e divertimento, e in via residuale quella riflessiva. Ci pensa uno studio polacco a ricordare che esiste anche questa eccezione. The Farm 51, infatti, prova a raccontare una sua versione dei fatti, all’ombra delle vicende note all’opinione pubblica.
Alcuni di noi hanno vissuto la tragedia di Chernobyl in televisione, altri non erano nemmeno nati e l’hanno conosciuta tramite i libri storia. Resta il fatto che nessuno sa quello che sia successo nella cd. “Zona di alienazione”. Sono stati scritti libri e girati film e documentari sull’argomento e il mondo dei videogiochi ha visto nascere anche una serie in grado di oscurare ogni tentativo di invasione del medium. Parliamo di S.T.A.L.K.E.R., titolo che il prossimo anno ci regalerà un nuovo capitolo “infuso” di next-gen.
Il paragone pesante – e oseremo dire quasi scontato – è difficilmente sostenibile. La software house di Gliwice non si è mossa al buio, decidendo di puntare la sua attenzione altrove. Il trucco è stato attingere dai generi survival horror, RPG, FPS e FPP e creare un interessante minestra, dove non eccede un genere sull’altro. Il rischio – non proprio evitato – è quello di creare un “né carne né pesce”, con delle confusioni lato gameplay molto pericolose. Il non sapere cosa e come fare, quando si parla di videogiochi, non è cosa buona.
La storia e il contesto di gioco trascinano il giocatore in tutta la prima fase dell’avventura, ma con il tempo dimostra la sua inconsistenza. I colpi di scena diventano via via sempre più scontati e il finale (almeno uno di essi, ndr) appare chiaro con la squadra ancora in fase di formazione. Prima di scegliere se siete pronti per fare il “colpo”, date un’occhiata alla nostra recensione di Chernobylite, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console PS5.
Prime impressioni: l’ombra di S.T.A.L.K.E.R.
Non è facile parlare del disastro di Chernobyl e non pensare a S.T.A.L.K.E.R.. È fisiologicamente impossibile. Un gioco che è sulla piazza dal 2007 non lo si scalza con molta facilità. Ovviamente il beneficio del dubbio viene dato a tutti, e Chernobylite merita un approfondimento vero e sincero. La scelta, però, di percorrere una strada che, a primo impatto, è molto simile a quella intrapresa da GSC Game World (genitori della serie S.T.A.L.K.E.R.), non aiuta molto.
I momenti iniziali di Chernobylite ricordano molto un FPP, con una narrativa molto introspettiva. Passando dal treno alla foresta, si capisce come non vi è una vera e propria presa di posizione sul genere, visto che si scivola in maniera brusca verso gli FPS. Ed ecco che quando il tutto sembrava aver preso una forma, entra a gamba tesa tutta la parte RPG e gestionale. Le nostre poche certezze vengono, quindi, nuovamente spazzate via. E il tutto con nostra somma gioia, vista la capacità del gameplay di rinnovarsi.
E poi tutto il resto vive nel ricordo di quella prima fase. La storia si trascina verso il finale, con in mezzo una struttura a missioni che svelano parti di essa e dei protagonisti di questa avventura. Salvo qualche momento di pathos, l’attenzione segue una curva sinusoidale con picchi negativi frequenti e profondi. Non sappiamo se la nostra negatività è figlia delle passate esperienze con generi e argomenti simili e già trattati da altri. La cosa che importa è che è la struttura del gameplay a non convincere fino in fondo.
La sequela di missioni ci porta a esplorare le profondità della zona di alienazione, visitando in più occasioni gli stessi luoghi con le stesse cose raccogliere, nello stesso identico posto tutte le sante volte. La scanner del contatore geiger diventa quasi inutile, visto che lo spawn sulla mappa di gioco non cambia mai. Eppure, nonostante questo, la voglia di scoprire che fine ha fatto Tatyana e chi si cela dietro il Black Stalker, invoglia a procedere sempre di più. E il “colpo” diventa sempre più vicino.
Contesto di gioco: la terra di nessuno
La storia del disastro di Chernobyl ha tenuto l’Europa e il mondo intero con il fiato sospeso. Con il partito comunista che viveva ancora i fasti del regime sovietico, le informazioni che arrivavano non erano molto chiare. L’entità della tragedia assunse, di giorno in giorno, dimensioni sempre più preoccupanti, al punto che la tensione varcò anche i confini italiani. In piena guerra fredda tutto sembrava frutto di qualche cospirazione governativa, ma in pochi sapevano cosa stava succedendo nelle strade di Pripyat.
Chernobylite vuole colmare questo gap informativo, raccontando la sua versione dei fatti a distanza di oltre 30 anni dal disastro. Lo fa con il racconto di quelli che ancora vivono in questa città fantasma, nascondendo la loro presenza agli occhi vigili dei soldati del NAR. L’interesse di questi gira attorno alla presenza della Chernobylite, una preziosa fonte di energia in grado di piegare la materia e le dimensioni. Igor conosce bene quali siano le sue potenzialità, ma anche i pericolosi risvolti.
Allontanato dal governo, lo scienziato, in compagnia del soldato mercenario Olivier, dovrà trovare il modo per entrare nella zona di alienazione e dare un senso alle pseudo-allucinazioni di cui è vittima. Il senso dietro tutto questo si cela nella narrativa, anche se alcuni indizi sull’accaduto lasciano trasparire, con largo anticipo, un finale che diventa con il tempo piuttosto scontato.
Le varie missioni ci traghettano nelle vicendi di gioco. La struttura del gameplay funziona in chiave narrativa, con i personaggi in grado di raccontare una storia nella storia. I dialoghi, oltre a migliorare l’umore del gruppo, parlano di un qualcosa che nessuno ha mai detto. Inventato, certo, ma con delle basi storiche reali. Un ripasso, però, non fa male a nessuno. Il ricordo di quei giorni non deve svanire per sempre.
Gameplay: e quindi che genere è?
Il gameplay costruito da The Farm 51 prevede un melting pot di generi. Lo si può definire un survival horror in senso molto ampio, con una componente RPG che funge da hub e alternando momenti FPP ad altri FPS. Una sintesi che merita di essere approfondita, anche perché l’esperimento posto in essere ha dei risvolti interessanti. Considerate sempre che la campagna di crowdfunding riuscì a raddoppiare i 100.000 euro necessari per la conclusione del progetto. Meritati sicuramente.
Spaziando in più generi il rischio è quello di tralasciarne qualcuno per strada, finendo per favorire uno stile di gioco piuttosto che un altro. Ed è quello che succede, almeno per una buona metà del gioco. Igor è un uomo di scienza e la sua prima arma è il revolver che gli consegna Olivier all’indomani della missione alle porte di Chernobyl. È normale, quindi, che un approccio stealth è da preferire ad uno d’azione pura. La build – se così la si può chiamare – migliora nel corso delle missioni e man mano che la squadra prende vita.
L’aspetto interessante è quello della dimensione gestionale. Il cuore di Chernobylite è la base delle operazioni, un hub in cui migliorare le abilità, parlare con i vari membri del team e selezionare le missioni. Fare gruppo è un aspetto fondamentale. Gli aiutanti di Igor, infatti, si daranno da fare sul campo, svolgendo loro gli incarichi al posto suo. Se lo fanno “annoiati” e/o fuori forma rischiano di compromettere la missione oltre che finire per lasciarci le penne.
La base prende vita e migliora a seconda di quello che portiamo a casa dopo le missioni. Il crafting è figlio dell’elemento survival, e ci aiuta in ogni aspetto che conta. Dalle armi all’equipaggiamento, sino ad arrivare all’attrezzatura della base. La qualità definisce la nostra potenza da dispiegare in campo, in vista della missione più importante. Quella che viene definita il “Colpo”. Lì non ci sono seconde opportunità. O si vive o si muore.
Dimensione artistica: una gita nella storia
Il fatto che amiamo i videogiochi, al punto da difenderli – sempre e a prescindere – a spada tratta, non ci esime dall’essere obiettivi circa le loro reali finalità. Chi più o chi meno, quando si ha che fare con titoli con una solida base narrativa, una morale c’è sempre. Chernobylite non è da meno, e punta ad attualizzare una vicenda che non si è mai chiusa del tutto.
The Farm 51 ci porta nelle strade di Pripyat. La città rientra nel novero dei centri abitati “chiusi”, con unità abitative destinate a contenere i lavoratori del comprensorio nucleare di Chernobyl. Questa è stata la prima ad essere colpita dalle radiazioni, essendo a circa 30 km dal luogo dell’incidente. Il fallout ha costretto intere famiglie a fuggire, portandosi dietro tutte le conseguenze. Fisiche e mentali.
La strada intrapresa dagli sviluppatori è stata quella di rappresentare il tutto con estrema fedeltà. Ancora ci è rimasto impresso il Luna Park fantasma, con quella ruota panoramica divorata dalla ruggine e dal tempo. Girovagare per le strade della zona di alienazione, con il ricordo di quello che è stato, è stato un ottimo catalizzatore per il fattore immersione. Nonostantante non si trattasse di open-world, il salto mentale è stato lo stesso. Ci si accorgeva della consistenza della mappa solo quando si toccavano i suoi confini. Sotto questo aspetto, dobbiamo rivolgere alla software house polacca i nostri più sentiti complimenti.
Si tratta di una produzione indie, o quanto meno iniziata come tale prima di ricevere il porting su console con il publisher All in! Games SA. In tal senso, le pretese a livello di design grafico e character design non possono essere alte. Vi è infatti un divario importante tra la caratterizzazione dei personaggi e quelle delle ambientazioni. Le creature abberranti, quelle che ogni tanto fanno la loro comparsa, ne sono una dimostrazione lapalissiana. Ma il talento va oltre queste cose, e qui c’è ne è abbastanza. L’esperienza farà il resto.
In conclusione
The Farm 51 dimostra che gli esperimenti videoludici, per quanto altamente rischiosi, hanno sempre un loro perchè. D’altronde solo chi osa viene ricordato ai posteri. Loro ci provano, creando un gameplay con pregi e difetti. La mescolanza di generi è da tarare leggermente meglio. Meglio FPP che FPS, tenendo per buono tutto quello che gira intorno al “survival”. Siamo ancora lontani dal condizionamento psicologico che un Resident Evil può ingenerare in noi, ma come primo uscita nel genere non è andata malissimo.
L’appuntamento con la storia è servito per ricordare un qualcosa che lo scrivente conosceva solo per racconti, documentari e libri di storia. I videogiochi hanno fatto il resto. Chernobylite è l’ultimo illustre ambasciatore di un qualcosa che ancora oggi è avvolto nel mistero. Ipotesi di fatti storicamente rilevanti vengono calate nella narrativa dietro al gioco, con una sottile vena polemica che funge da messaggio subliminale.
Graficamente è accattivante. Visto e considerato che si tratta sempre di una produzione che profuma di indie il risultato ottenuto – in termini stilistici – va ben oltre la sufficienza. Ci mancava solo la photo-mode per fare la differenza.