Rispolveriamo le nostri doti di piloti di mech a bordo di Armored Core VI Fires of Rubicon, il titolo di questa nostra recensione per Xbox Series X. From Software ci riporta nel passato, con un operazione nostalgia lunga più di 10 anni. Era infatti il 20 gennaio 2012 quando su PS3 e Xbox 360 usciva il quinto capitolo della serie regolare, prima di cadere in un sonno ultra decennale. Nel mentre, solo tanti rumors e poche certezze.
E poi, come per magia, spunta all’improvviso un nuovo capitolo della serie, timido per campagna di marketing pro-lancio, ma grintoso quanto a gameplay. Ed ecco che quella distanza temporale viene annullata con un colpo di spugna, di nuovo nei panni di Raven e un immensa mole di missioni da completare. Il nostro mech – o forse è meglio chiamarlo AC – non resta fermo in un hangar, ed è pronto a ricevere ogni sorta di potenziamento e arma dal negozio.
Artisticamente, il lavoro svolto sul fronte dettagli “robotici” è formidabile, un po’ meno in relazione agli elementi che compongono lo scenario e il contesto di gioco. Una scelta che sorride sicuramente agli amanti dei 60fps, che potranno godere di un gameplay sempre fluido, anche quando le situazioni iniziano a farsi “affollate”. Bene, non vi tediamo oltre con le nostre premesse, e vi lasciamo alla recensione di Armored Core VI Fires of Rubicon, titolo, vi ricordiamo, giocato su console Xbox Series X.
Prime impressioni: Ritorno al passato
10 anni sono passati da quell’ultima volta su PS3, da quell’ultima missione nei panni del mercenario solitario Raven, sempre alla ricerca di un incarico e di un buon offerente. From Software si è fatta attendere oltremodo, intenta a primeggiare nel mercato con i suoi Souls e dimenticando quella vena action, e talvolta spensierata (ma mica troppo), che scorreva nel suo titolo a tema “robottoni”. Invero, lo sviluppo di Armored Core VI Fires of Rubicon non è stato lineare e qualche dietro front c’è stato. La scelta del cambio di guardia tra i lead designer ne è un chiaro indizio, con Miyazaki che ha ceduto il posto a Yamamura, un nome che abbiamo avuto modo di apprezzare per via del suo lavoro in Sekiro: Shadows Die Twice.
La scelta non è stata casuale, con la direzione dello sviluppo che ha preferito voltare le spalle ai tanto amati soulslike made in From Software, per riprendere le medesime dinamiche di gameplay che hanno consacrato il successo della serie in questi anni. Il risultato è pari ad una bolla di tempo “sospesa”, una macchina del tempo che ci riporta ai tempi che furono, con i classici livelli da superare a suon di combattimenti frenetici e talvolta estenuanti.
Armored Core VI Fires of Rubicon è di fatto un sequel in tutto e per tutto, una prosecuzione della storia con nuovi personaggi ma medesimi contesti. Una guerra che vede le subdole corporazioni rivolgersi ai servigi dei mercenari. La contesa è sempre la stessa, una fonte di energia di potenza smisurata. E noi, umani di quarta generazione, che finiamo in mezzo tra l’incudine e il martello, senza capire “una fava” delle cospirazioni che si aggirano attorno a noi.
Graficamente, il colpo d’occhio è di primissimo livello. Le immagini che troverete in questa recensione di Armored Core VI Fires of Rubicon sono tutte scattate con la photo mode presente nel gioco, giusto per farvi apprezzare il grandissimo lavoro svolto dagli sviluppatori giapponesi. Il gameplay metterà a dura prova la vostra pazienza ed i vostri nervi, in alcuni frangenti, ma è parte dell’esperienza di gioco. Senza questo, il divertimento e il fattore immersione verrebbero meno.
Contesto di gioco: Sempre per colpa di una guerra
Un pianeta chiamato Rubicon 3, che contiene al suo interno una fonte di energia di potenzialità straordinaria, il Coral. Ma dietro a questo suo potere si nasconde una forza oscura, che 50 anni prima ha dato vita ad un disastro naturale senza precedenti, annientando ogni forma di vita (o quasi) sul pianeta. Il Coral ha di nuovo attirato a sé l’interesse delle Corporazioni, che schierano eserciti di Mech pronti per annientare tutti coloro che provano ad opporsi al perseguimento dei loro interessi.
E come sempre chi finisce tra l’incudine e il martello siamo noi, senza comprendere bene il concetto di giusto e sbagliato. Il buon Raven torna di nuovo in campo, questa volta sotto forma di umano potenziato di quarta generazione. Prendiamo gli ordini dal primo che ci capita a tiro, sempre per mano di quello che ha tutta l’impressione di essere il nostro tutor, che a sua volta si fa i suoi comodi alle nostre spalle (o almeno è quello che sembra).
La sequela di missioni, incastonate all’interno di un contesto narrativo suddiviso in parti, all’inizio sembra fine a sé stessa, senza una precisa direzione, se non quella di fare cassa e potenziare il mech. In realtà From Software somministra dei piccoli messaggi subliminali diretti alla nostra coscienza, che, al pari del buon Raven, ci mette un po’ prima di risvegliarsi dal suo torpore. È una distanza, quella tra noi e la storia, figlia di un retaggio del passato, dove si guardava più l’azione e meno quello che succedeva intorno a noi.
Ebbene, per quanto non proclamato, il salto evolutivo c’è stato rispetto alle puntate precedenti. L’anacronismo, se pensiamo ai modelli di fruizione dei videogiochi del momento, è tangibile, e crea quella famosa bolla sospesa di tempo. Chi vi scrive parte, in un certo modo, prevenuto (e quasi sulla difensiva) rispetto alle potenziali critiche circa l’essere “non al passo con i tempi”. Ma chi ha detto che i videogiochi del passato non siano ancora oggi validi ed attuali come lo erano un tempo?
Gameplay: Un hangar, un mech e tante missioni
Come abbiamo già avuto modo di disquisire nel corso della presente recensione di Armored Core VI Fires of Rubicon, il gameplay è strutturato in livelli, che a loro volta sono inclusi in capitoli della storia. Quest’ultima fa capolino, spesso e volentieri, al termine di ogni momento topico del gioco, lasciando sempre fisso il momento “radio” al termine di ogni missione. Un modo “anacronistico” per legare tra loro storia e gameplay.
Al termine di ogni missione si viene ricompensati con dei crediti, i quali possono essere spesi all’interno del negozio per acquistare i diversi componenti del nostro mech. Lo scopo Armored Core VI Fires of Rubicon è quello di avere più di un mech equipaggiato nel migliore dei modi a seconda delle missioni, motivo per cui occorrerà potenziare più di un set di robot. Oltre alla componentistica, anche l’aspetto estetico è modificabile in ogni singolo dettaglio, dal colore alla decalcomania.
Niente è lasciato al caso, e From Software ha dimostrato di rispettare il passato della saga, con l’intenzione di riportarla nuovamente in auge. Ci sono, però, alcune considerazioni da fare sul gameplay. Il primo scoglio da superare è quello del bilanciamento del livello di difficoltà, che alterna momenti di banalità assoluta ad altri quasi impossibile da superare. Il primo boss sembra immortale, sino al momento in cui si scoprono quelle che sono le sue debolezze (perché sì, tutti hanno dei punti deboli). Anche il sistema delle ricompense non è sembrato all’altezza, troppo avaro in alcune situazioni dove abbiamo venduto cara la pelle prima di leccarci le ferite nel nostro hangar. L’assenza, inoltre, di un vera e propria logica “ad obiettivi” ha reso l’esperienza di gioco, in alcuni momenti, un po’ troppo ripetitiva.
Per rinnovare l’interesse verso il gameplay quelli di From Software hanno optato per una deviazione rispetto al susseguirsi di missioni, inserendo delle alternative con una ricompensa sempre garantita. Nel corso del primo capitolo vi sono, infatti, le sessioni di addestramento, una specie di training on the job dove è possibile apprendere come si pilota un AC. Nel secondo capitolo, invece, vi sono le arene, dove si affrontano i migliori mech presenti su Rubicon 3, e così via.
Dimensione artistica: Robottoni, che passione
Qui siamo nel terreno dove meglio si esprimono quelli di From Software, o quanto meno, dove ripongono un’attenzione importante in fase di produzione. Rubicon 3, la location degli eventi di Armored Core VI Fires of Rubicon non spicca per diversità di biomi e colori sgargianti. È un mondo di gioco estremamente piatto, con elementi di contesto che non emergono per originalità e né tanto meno per dovizia di dettaglio. Di fatto, se facciamo uno sforzo di memoria, è stato così anche nel passato della saga, con tutti i limiti tecnologici del caso. Nonostante gli anni siano passati, le scelte sono state le medesime.
Il perché di questa “non” inversione di tendenza è da ricercare nella precisa volontà di rendere il gameplay sempre fluido e stabile in ogni occasione, anche quando – tra effetti speciali e nemici – “a schermo” la situazione inizia a farsi pesante. L’intenzione si è convertita in risultato, con delle animazioni oltremodo favolose e delle sequenze di combattimento memorabili.
Sul fronte graphic design, ci siamo già espressi circa la “pressapochezza” generata dalla penuria grafica di alcuni elementi che danno vita alle ambientazioni. Parole che svaniscono quando ci si trova di fronte all’immensità dei dettagli grafici dei vari mech, facilmente osservabili in fase di messa a punto. Il tutto, ovviamente, enfatizzato dalla possibilità di abilitare il ray tracing (ma solo nell’hangar).
Intrattenimento: Dedicato ai fanboy, ma con qualche eccezione
È chiaro come il sole come Armored Core VI Fires of Rubicon funga da calamità per tutti coloro che hanno vestito i panni di Raven in epoche, generazioni e console passate. Non stiamo quì, di certo, a prenderci in giro. Questo, però, non significa che gli sviluppatori hanno concepito un gioco “chiuso” nel suo genere, un po’ come succede con i souls da qualche tempo a questa parte. From Software, in fase di pre-produzione, ha preferito sostituire il Lead Designer, votando il gameplay alla causa “action”.
La garanzia di un’apertura maggiore c’è, e forse, ricordando il passato, le sequenze di combattimento appaiono talvolta meno impegnative. Ma è solo una mera illusione, visto e considerato che dal capitolo 2 i numeri dei giri si alzano oltremodo. Resta il fatto che il potenziale pubblico ha una base più larga della semplice “nicchia”, motivo per cui le live saranno di sicuro molto frequentate. L’unica pecca resta l’assenza di un componente PvE, mentre quella PvP si dimostra piuttosto promettente in ottica “sfida”.