Una nuova grande esclusiva PS5 ci riporta a percorrere la grande storia di un successo che dura 30 anni, attraverso i suoi personaggi iconici in versione robotica. Questo e molto altro è Astro Bot, un simpatico platform votato all’azione con dei piccoli innesti “rompicapici”. 300 robot da salvare attraverso galassie e pianeti, con un gameplay ciclico ma mai ripetitivo. Alcuni assett delle meccaniche di gioco vengono affrontati superficialmente, lasciando inespresso un potenziale che poteva fare la differenza. Cosa che, invece, non accade al DualSense, che si dimostra un protagonista assoluto di questo gioco. Bene, non ci resta altro che lasciarvi alla nostra recensione di Astro Bot, titolo, vi ricordiamo, in esclusiva per console PS5.
C’era una volta il divertimento
Diventando grandi si sa, si tende a dimenticare cosa significa divertirsi. Nel senso “innocente” del termine, quando bastavano poche cose per generare quell’alchimia dietro all’intrattenimento, che ti catturava e ti coinvolgeva, lasciandoti quella voglia matta di raccontare al mondo quanto erano belli i videogiochi. Astro Bot, per noi, è stato un bel tuffo nei ricordi. Ci ha rapiti con la sua semplicità e, al tempo stesso, ci ha emozionati ricordando alcune icone che hanno fatto la storia di Playstation, riaccendendo il faro dei ricordi là dove tutto ebbe inizio.
Team Asobi, dopo il suo impegno in alcune demo tecniche ad uso e consumo delle potenzialità delle tecnologie dedicate all’intrattenimento videoludico (vgs i vari Playroom dedicati al visore e al DualSense), sale finalmente sul palco con un gioco tutto suo e che ricorda vagamente Little Big Planet 3 (giusto per citare un titolo sui generis). Rispetto al titolo di Sumo Digital, però, ha dalla sua un’accessibilità ancora maggiore, con un gameplay estremamente elementare ed intuitivo.
Anche un bambino, con il pad in mano per la prima volta, viene guidato dalla magia delle meccaniche di gioco. Il DualSense finalmente mostra la sua vera natura, assomigliando – per metodo di fruizione – al controller presente su Nintendo Switch. Fa sorridere come paragone in quanto scopriamo solo adesso, a metà ciclo di vita della master race di casa SONY, un’altra faccia di questo controller, evidentemente rimasto con un potenziale inespresso sino all’arrivo di Astro Bot.
Ebbene, il divertimento di Astro Bot prende vita partendo da qui, e da una conseguente nota di amarezza. Quanti altri giochi come questi potevamo avere il piacere di apprezzare? Quanti altri titoli, elementari ed intuitivi, potevano sfruttare al massimo il “vero” potenziale delle console di nuova generazione? E non parliamo di Ray Tracing, Audio 3D e 120fps. Parliamo solo di semplice divertimento.
C’era una volta un platform
La missione di Astro Bot è quella di recuperare tutti i suoi amici robotici sparsi qua e la tra le galassie. Ognuna di questi ha dei pianeti da esplorare, tutti a tema, che culminano con la battaglia contro il boss della galassia. La routine da completare, per giungere al combattimento finale e finalizzata al recupero dei 300 robo-amici, è sempre la medesima: atterraggio, menare a destra e manca utilizzando i gadget, saltare e svolazzare tra le piattaforme, collezionare monete, liberare i robottini e risolvere qualche piccolo rompicapo.
Direte “Cavolo, ma è sempre la medesima ruotine sino alla end-game?” e la risposta è un clamoroso “Sì, ed è anche divertentissima!”. Ogni livello scorre via che è un amore e staccarsi dal pad e dannatamente difficile. Il livello di difficoltà, salvo qualche rara occasione, è oggettivamente basilare, eppure la voglia di arrivare al fantomatico “300” cancella tutte le perplessità. Una mezza giornata libera da impegni e vi divorerete il titolo in men che non si dica, che vi lascerà una bella carica per una seconda run.
Il pubblico di riferimento è sicuramente un non adult-only, eppure si poteva inserire qualche innesto lato sfida appettibile anche per una fascia di utenza più matura. I collezionabili si limitano ad alcune tessere di puzzle da completare (puzzle presenti in quello che possiamo definire la base di Astro Bot e dei suoi amici), mentre i livelli segreti servono o per liberare altri robo-amici o per ottenere le tessere di cui prima. Se volessimo individuare uno dei grandi limiti dell’opera del Team Asobi, beh, questo è forse il più evidente.
Al netto di quest’ultima considerazione, il level design di ogni pianeta non scade mai nel ripetitivo. Il tema del pianeta non serve solo a condire la minestra con nuove spezie ma cambia completamente la ricetta, rinnovando l’interesse e il coinvolgimento in sede di progressione dell’avventura. In soldoni, si ha sempre voglia di andare avanti, perché quello che si vedrà non sarà mai una cosa già vista.
C’era una volta la storia di Playstation
E finalmente la cara e vecchia SONY lancia la sua perla di questa nuova generazione. Non fraintendeteci, di titoli eccelsi ne abbiamo visti eccome: da Returnal sino ad arrivare a God of War Ragnarok, passando per Horizon Forbidden West e senza dimenticare il mitico Spider-Man 2. A conti fatti, però, mancava un gioco in grado di far esplodere tutto il potenziale del controller DualSense. Ci aveva provato Ratchet & Clank: Rift Apart, lasciando inesplorato tanto – e forse troppo – circa le reali potenzialità del nuovo controller PS5.
Team Asobi, non si limita solo a questo aspetto tecnico e gioca tutte le sue carte, puntando moltissimo sull’effetto nostalgia. Tutti i personaggi iconici delle varie (semi)esclusive Playstation ottengono una parte in Astro Robot in versione robotica. Alcuni di questi attivano anche un’area dedicata dove è possibile celebrare i successi di un tempo che fu. Può sembrare una cosa da poco, ma diventare il portavoce del futuro, ereditando il testimone da questi mostri sacri, è una bella soddisfazione. Seppur figurato, il messaggio è piacevole.
Sicuramente si poteva puntare maggiormente su questo aspetto, magari trasfigurando le fattezze e il potenziale del robottino protagonista con quelle di alcune icone immortali. Giocare nei panni delle versioni robotiche di Parappa, Kratos, Aloy e Crash – giusto per citarne alcuni – avrebbe ancora di più spinto l’acceleratore su questo aspetto, oltre a fungere da deviazione per le dinamiche di gameplay. Ed è il secondo assett, dopo quello visto prima circa il livello di sfida, in cui gli sviluppatori sembrano non aver voluto osare. Non mancava molto per ergersi a capolavoro di questa generazione, davvero molto poco.