Si torna a caccia di mostri in compagnia di Monster Hunter Wilds. Questa volta Capcom sforna quello che ci sentiamo di definire come un nuovo punto di partenza della saga, che sembra anzitempo essere arrivato ad un capolinea creativo non indifferente. I passi avanti sembravano pochi ed inconcludenti, con la parabola del more of the same che rimbalzava di capitolo in capitolo. L’azienda nipponica, che guarda con attenzione agli umori della community di riferimento, ha deciso di prendersi del tempo extra per la gestazione di questo nuovo capitolo, offrendo intelligentemente una sessione di closed beta sfruttata nel migliore dei modi.
Monster Hunter Wilds dimostra una grandissima attenzione verso il comparto narrativo, in una maniera del tutto inedita rispetto al passato. Attenzione che abbiamo rilevato anche verso la costruzione dei personaggi e nelle loro relazioni sino ad arrivare alle fazioni e agli NPC connessi (e non considerabili come comprimari). Il salto c’è e non è trascurabile, e fa si che quelle sequenze di gameplay ad alta intensità action non diventino solo fini e se stesse. Il cuore pulsante del gioco restano i combattimenti con i mostri, che anche in questo capitolo si presentano intensi e spettacolari. Bene anche la componente ruolistica, con un build system essenziale ma efficace.
Le noti dolenti arrivano dal comparto tecnico-grafico, con il RE Engine che fa registrare una battuta d’arresto in termini di eccellenza. Le impressioni avute in Dragon’s Dogma 2 si sono dimostrate tali anche in questa occasioni, con delle insofferenze prestazionali quando il mondo di gioco si allarga. Insomma, di carne al fuoco ce n’è è tanta, motivo per cui archiviamo la nostra consueta premessa per lasciare spazio alla recensione di Monster Hunter Wilds, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Un mistero da svelare
Le Terre Selvagge, un luogo inesplorato, ricco di antichi misteri e segreti. Una dimora non solo per specie di mostri ancora sconosciute all’uomo, ma anche per disvelare delle verità rimaste sepolte dalle sabbie del tempo. La Gilda alza il livello di allerta quando, dalle predette Terre, viene ritrovato un giovane di nome Nata. Costui sembra appartenere ad un popolo ritenuto dimenticato le cui radici sembrano collegate a quelle misteriose verità di cui prima. Ed ecco che entriamo in gioco noi, spavaldi Cacciatori a capo di una spedizione il cui compito principale, oltre che quello di fare incetta di mostri, è quello di reperire quante più informazioni possibili su Nata e il suo popolo e su una creatura leggendaria ritenuta estinta, il temibile Fantasma Bianco.
In questo viaggio, che alterna missioni principali ed incarichi secondari, non saremo mai soli. Il gruppo composto da Gemma, Alma, Olivia, Athos, Erik e Werner, potrà servirsi di fidati compagni provenienti dal mondo animale. I Seikret saranno utili tanto in battaglia quanto in fase di esplorazione e il nostro “miciottoso” Felyne ci aiuterà nel cd. “first responding”, ossia quando la fortuna inizia a voltarci le spalle. Il resto degli NPC aiuta anche ad introdurre il concetto di fazioni, ma non aspettatevi un qualcosa in stile strategico puro, dove lo sposare una causa comporta anche dei vantaggi in ottica storia/gameplay.
Rispetto ai precedenti capitoli della serie emerge quella chiara volontà di Capcom di investire nel comparto narrativo, da sempre considerato a mo’ di “tappabuchi” rispetto alle sequenze di gameplay. Sappiamo benissimo che la saga di Monster Hunter è votata anima e corpo all’azione e al supporto strategico della stessa, ma l’aver riservato una particolare attenzione alla cinematica, al racconto, alla costruzione dei personaggi e alla caratterizzazione del mood generale, ci pone davanti a quello che sentiamo di definire un interessante punto di partenza per quello che sarà il nuovo corso della saga.
Sia ben chiaro (e non per fare l’avvocato del diavolo), la strada è ancora molto lunga per scrollarsi di dosso il retaggio e la nomea del passato. Anche in questo capitolo i “momenti morti” ci sono e vengono aggirati, in diverse occasioni, con sequenze il cui sapore è molto “filleroso”. Ciònonostante, l’apprezzamento è doveroso e significativo.
Azione, strategia ed esplorazione, un trittico che non ha paura del “more of the same”
Monster Hunter Wilds è figlio del suo passato, e fin qui ci sembra di aver svelato la ricetta dell’acqua calda. Trattandosi di un gioco di natura seriale – e che vede i vari capitoli distanziarsi di circa 3/4 anni l’uno dall’altro – il vederlo allontanarsi, in termini di gestazione, rispetto ai suoi predecessori ha fatto comprendere a chiare lettere come la volontà fosse quella di fare qualcosa di”realmente” diverso e di impatto.
E quando Capcom si mette in testa di lasciare il segno è difficile che questo non accada: 8 milioni di copie vendute a 3 giorni dalla sua uscita, diventando il gioco dell’azienda nipponica più venduto in unità di tempo (secondo quanto riportato da Wikipedia). Quale è il misterioso segreto dietro questo successo? Al netto di quanto già narrato per il comparto narrativo, gran parte delle migliorie ed innovazioni arrivano dal fronte gameplay.
La matrice di base prevede una funzionale alternanza tra le dimensioni action e RPG, con la prima che domina la scena in maniera egregia. Il combat system enfatizza sempre la dominante delle combo, ovvero mosse da incastrare in maniera consequenziale per arrivare a togliere quanti più punti vita possibile. La novità arriva dal Focus mode, ovvero una meccanica di combattimento che evidenzia a video quelli che sono i possibili punti di debolezza del mostro di turno, su cui insistere per aumentare, in maniera esponenziale, il numerino alla voce “Danni”.
Che sia in sella al nostro fidato Seikret o no, ogni arma è dotata di animazioni uniche, che raggiungono il loro culmine quando performiamo le nostre mosse speciali. Sfumature che emergono maggiormente in questo capitolo della serie, ad ulteriore dimostrazione della volontà degli sviluppatori di enfatizzare l’aspetto cinematico delle sequenze di combattimento e rendere il tutto quanto più spettacolare possibile.
I mostri, ovviamente, non stanno a guardare e se avvertono il pericolo tendono ad essere più aggressivi rispetto al passato. La scelta di passare ad un modello open world fa si che, anche nelle fasi di esplorazione “tranquille”, si è obbligati sempre a restare sul chi va là, facendo attenzione a non attirare non solo una creatura ma anche un intero branco (e poi lì si che sono tanti dolori).
La dimensione RPG di Monster Hunter Wilds, se paragonata rispetto al passato, non si discosta moltissimo per filosofia. Un build system che invita il giocatore di turno a non tenere a mente troppe variabili in fase di costruzione del cacciatore. Al tempo stesso, il vestito deve essere adatto all’ambientazione di riferimento, con dei perk che aumentano le statistiche del personaggio se idonee all’ecosistema di riferimento. Un aspetto che occorre tenere a mente anche in fase di crafting di armi ed armature, in modo da scegliere sempre il miglior abito per l’occasione.
Il RE Engine al bivio, tra eccellenze e cadute
Fino adesso non abbiamo fatto altro che evidenziare tutti gli aspetti positivi del gioco, che poi sono quelli che possiamo considerare tranquillamente come i veri punti di forza di questa nuova esperienza made in Capcom. Eravamo convinti di annoverare tra questi anche le qualità grafiche ed artistiche del gioco, ma contrariamente ai pronostici accade qualcosa di inaspettato (o quasi, se proprio dobbiamo dirla tutta). Ladies and gentleman, anche il RE Engine non è immune a difetti.
Il noto motore grafico ideato dal colosso nipponico ci ha regalato, in questi anni di attività, delle esperienze visive senza paragoni. L’apice l’abbiamo toccato in Resident Evil Village, un vero e proprio capolavoro tecnico ed artistico. Ma già in Dragons Dogma 2 qualcosa ha iniziato a scricchiolare. Quella dovizia di dettagli e quella magistrale cura del livello artistico generale subiva una battuta d’arresto, e gli addetti ai lavori iniziarono a farsi due domande sulla tenuta strutturale del motore grafico.
Tradotto, regge o non regge un open world? La risposta a questo interrogativo doveva, dunque, arrivare da Monster Hunter Wilds e purtroppo non fa altro che alimentare quella perplessità iniziale. Capiamoci, artisticamente il gioco è una capolavoro. L’alternanza di quelle che sono i periodi stagionali, e che si riverberano a loro volta sulla flora e la fauna, aiutano a rinnovare l’interesse verso questa esperienza in maniera costante e continua. Il ciclo dell’Abbondanza è quello che più dimostra la riuscita di questo asset, da riutilizzare assolutamente per i futuri capitoli della serie.
Purtroppo le 3 modalità grafiche non riescono a creare quel giusto bilanciamento tra peggioramento delle prestazioni a livello visivo e reattività della scena di gioco. La modalità bilanciata, che doveva essere quella in grado di trovare un buon compromesso, si incaglia sia sul fronte della risoluzione che degli fps, con dei vistosi cali quando il livello di effetti speciali a video inizia a diventare importante. Per noi parlare del livello di dettaglio degli elementi di contesto, come il fogliame, le pareti, le superfici delle rocce ecc.., che evidenziano, a chiare lettere, quella sofferenza nel gestire “il tutto” da parte dell’engine.
Da una parte si deve tagliare, in termini di risorse, per far si chè che la baracca resti in piedi, e nei tagli emerge il problema. Insomma, il RE Engine – allo state dell’arte – deve rientrare ai box, al netto di un esperienza di matrice open world, e Monster Hunter Wilds ne è la dimostrazione. Adesso toccherà alle patch agli update futuri smentirci.