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The Callisto Protocol, la recensione su PS5

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La paura e il terrore arrivano dallo spazio più profondo con The Callisto Protocol, il titolo della nostra recensione della versione per console PS5. Tutto è iniziato nel 2019, quando un tale di nome Glen Schofield decise di ripercorrere le sue origini, ricordando i bei tempi trascorsi alla Visceral Games e un tale di nome Dead Space. Inizialmente il titolo doveva essere connesso all’universo di PUBG: Battlegrounds. Nel mentre Striking Distance, sviluppatore di The Callisto Protocol, decise di percorrere la propria strada con un IP proprietario e un publisher (Krafton) alternativo.

Ragionare per paragoni è assolutamente fisiologico, e probabilmente anche voluto dagli sviluppatori stessi. Resta al fatto che, a nostro modesto avviso, The Callisto Protocol è una delle sorprese di questo 2022 videoludico, e siamo estremamente felici di aver partecipato a questo importante momento. Per il resto vi lasciamo alla nostra recensione di The Callisto Protocol, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console PS5.

The Callisto Protocol nemici

COINVOLGIMENTO

Dead Space va de retro… ma anche no. Il ricordo è sempre gradito, anche per attivare il fattore nostalgia (che fa sempre bene). Il team capitanato da Glen Schofield ha avuto le idee chiare sin dall’inizio, costruendo un esperienza survival horror dai contorni “classici” ma che interpretano le mode e le esigenze del momento. 

Prime impressioni e interpretazione del genere

The Callisto Protocol si presenta come un survival horror, nella sua accezione più classica, quasi in maniera anacronistica visti i tempi che corrono. Ritmi lenti, ansia costante, il tutto in un perenne stato di confusione circa il nostro scopo e la nostra esistenza come giocatori. Zero spiegazioni, con una nebbia che si dirada capitolo dopo capitolo. In verità qualcosina di “già visto” emerge tra i continui sibili captati, ma non vi diciamo altro.

Di primo acchito sembra che Striking Distance abbia voluto puntare su alcuni aspetti in particolare: brutalità, atmosfera, senso di impotenza e umanità. Argomenti che ritrovate anche nei dev-diary pre lancio, che vi consigliamo caldamente di recuperare per comprendere al meglio il percorso di sviluppo del gioco. Si vive con un costante senso di fatica. Arrivare alla conclusione del capitolo è snervante, una stanchezza che non provavamo dai tempi di Death Stranding, anche se per motivi diversi. Ovviamente anche questo fa parte dell’esperienza di The Callisto Protocol, e non è mica un difetto. Tutt’altro.

The Callisto Protocol paura

Fattore ripetitività e scalabilità livello di difficoltà

Di solito un survival horror viaggia su una direzione ben tracciata a livello di gameplay. Storia e personaggi sono i due aspetti fondamentali in chiave immersione, e il resto segue questi due “protagonisti”. Se in passato questa ricetta poteva anche funzionare, i tempi e le richieste dei giocatori impongono oggi alcuni ritocchi a questo modo di intendere il genere. Se pensate che anche un mostro sacro come Resident Evil abbia dovuto accettare questa dura verità, con il remake del secondo e del terzo capitolo, capite bene che la musica è cambiata.

Striking Distance, per il suo The Callisto Protocol, ha previsto un’esperienza suddivisa per capitoli, che non prevede interruzioni tra loro (se non le sole cutscene). Mini missioni tutte d’un fiato, con uno schema che propone la partenza dal punto A e l’arrivo al punto B. In mezzo ci sono nuovi nemici, che diventano sempre più ostici, numerosi e aggressivi, un arsenale che progredisce a seguito di raccolta di punti Callisto, e l’evolvere della storia. Il livello di difficoltà, quindi, aumenta man mano che ci si avvicina al termine dell’esperienza, sino a diventare quasi ai limiti del frustrante per via di alcune limitazioni nei movimenti del personaggio.

Il fattore ripetitività, invece, è forse insito nel genere stesso, anche per via della scelta di puntare più sul lato action e meno su quello survival “old style”. Vi ricordate gli enigmi diabolici delle maschere del primo Resident Evil, oppure quello della centrifuga dello storico Dead Space? Poteva essere una soluzione utile inserire questa componente da escape game, anche perché vi erano margini di movimento in tal senso. E invece, ogni run di The Callisto Protocol insegue quello schema descritto in precedenza, senza una mappa che orienta la nostra esperienza (funzionale, ci mancherebbe) e senza secondarie che allietano l’apatia da “solito”.

CONTESTO DI GIOCO

Abbiamo provato a schivare ogni forma di spoiler, per quanto possibile, anche se The Callisto Protocol meritava un minimo di contestualizzazione. Jacob ci racconta il suo dramma, vissuto all’interno di una prigione di massima sicurezza, immersa nello spazio più profondo. Il menù prevede questo, con lo portate da assaporare capitolo per capitolo sino a giungere alla conclusione della storia. 

Storia e protagonisti

The Callisto Protocol racconta la storia di Jacob, trasportare spaziale di professione che per via di una consegna andata male finisce nella prigione di Black Iron. Ironia della sorte, nel corso della sua prima notte in gattabuia succede il finimondo, con creature di ogni genere e tipo che divorano il personale e i detenuti rimasti. Non proseguiamo oltre nel racconto della trama, ma è chiaro come i fatti narrati siano liberamente ispirati a quanto successo a bordo della USG Ishimura nel primo storico Dead Space. Ma i riferimenti arrivano anche dal cinema con la serie Alien di Ridley Scott, anche se quella tipologia di alieni e “diversa” dal bestiario voluto da Striking Distance per The Callisto Protocol.

Il protagonista della storia è un tale di nome Jacob Lee, un personaggio che abbiamo ritenuto credibile rispetto alla storia raccontata ma con una sfaccettatura del carattere poco accentuata. È subito pronto ad essere il super eroe del momento, e sembra che si sia preparato a questo per tutta la vita. Riflessi super pronti, brutalità innata e senso del pericolo pari a zero. Non ci abbiamo visto un percorso di crescita di questo personaggio, una presa di coscienza progressiva del suo ruolo e della sua missione. Subito pronto a partire, con le vicende della storia che contestualizzano meglio il suo posto nel racconto della storia.

The Callisto Protocol storia

Credibilità rispetto al genere

Volendo fermarsi al rapporto che intercorre tra la storia, i personaggi e il genere scelto, l’alchimia tra i vari i tre elementi funziona. The Callisto Protocol regala dei momenti di pura tensione, alcuni dei quali ai limiti della sopportazione. Il team capitano da Glen Schofield non ha badato a spese quanto a brutalità. Ci sono dei momenti in cui capiamo perché il gioco non sia stato distribuito in Giappone per problematiche connesse al rating. Non è di fatto per deboli di stomaco.

Tutto il concetto di brutalità va anche ad amplificare il dramma del momento, con un Mr. Nessuno che agisce come una bestia che pensa solo a tutelare la sua incolumità, senza curarsi di quella altrui. Ed ecco che il concetto di umanità diventa il pretesto per giustificare i comportamenti di Jacob, la mera e sola sopravvivenza. Costi quel che costi, con tutti i mezzi a disposizione. Senza filtri, senza censure di sorta.

CONTROLLI/GAMEPLAY

Croce e delizia di ogni videogioco, ma anche il banco degli imputati prima di decretare la sentenza finale. The Callisto Protocol si preoccupa di rendere l’esperienza quanto più faticosa ed estenuante possibile al giocatore, un modo per far rivivere quello che prova Jacob all’interno della Black Iron. Agli sviluppatori non interessa molto approfondire le feature del DualSense, dedicando più attenzione ad altre aree (come la grafica e il comparto sonoro). Scelte che pesano a livello di esperienza. 

Feeling, complessità e accessibilità dei controlli

La curva di apprendimento dello schema dei controlli di The Callisto Protocol è senza ombra di dubbio tra le migliori in circolazione. Il tutto è “istintivo” e “guidato” al tempo stesso, con un tutorial essenziale che ci suggerisce cosa fare e un training on the job negli attimi immediatamente successivi. Non parliamo di nulla estremamente complesso pad alla mano, anche se in alcuni frangenti ci sembra di andare “a vuoto”. Parliamo, infatti, del sistema delle parate e delle schivate che, per essere efficaci, vanno eseguite con il giusto timing. Non sempre è cosa fattibile, visto che i nemici talvolta attaccano in branco e il nostro arsenale – così come i movimenti – sono limitati. Il rischio di “finire in mezzo” è all’ordine del giorno.

Un altro rammarico arriva anche dal fatto di non aver sfruttato al meglio il DualSense e le feature dedicate. Si poteva costruire un mondo dietro allo sfruttamento delle tecnologie messe a disposizione dal nuovo controller della PS5, sia sotto il profilo aptico che adattivo. Il tutto, tra l’altro, in maniera del tutto coerente con il genere scelto e le sensazioni di “fatica” provate nel corso dell’esperienza.

Una bella notizia arriva, invece, sul fronte accessibilità. The Callisto Protocol prevede una moltitudine di opzioni per migliorare la visibilità e i controlli di gioco per tutti coloro che rientrano nella categoria dei “diversamente gamer”.

The Callisto Protocol livelli

Struttura del gameplay e coerenza con il genere

Striking Distance ha voluto costruire, per il suo The Callisto Protocol, un esperienza “straight”. Si va diretti, dall’inizio alla fine del capitolo, con una narrazione che alterna gameplay a sequenze cinematiche, senza l’ombra di un caricamento (o almeno è quello che il giocatore percepisce). Zero interruzioni, un flusso di gameplay che si svolge in una mappa di gioco la cui struttura è a noi sconosciuta. L’assenza di una mappa e/o sistema di navigazione similari ci porta a restare con il perenne dubbio se quello che stiamo facendo sia giusto o sbagliato.

Domande del tipo, se nella stanza di fianco c’era una cassa con degli oggetti super segreti da raccogliere o se li c’era una scorciatoia ed io ho imboccato direttamente l’autostrada per l’inferno, fanno parte dell’esperienza di gioco. La continua sensazione di vagare “a zonzo” permane sino alla fine, anche se la complessità del level design scema man mano che ci avviciniamo al gran finale (ma anche questo è coerente con le vicende del buon Jacob).

Il tutto lo abbiamo comunque trovato coerente rispetto al genere survival horror. L’inventario non è illimitato, anzi, coincide rispetto a come è “vestito” il personaggio. Un’arma a tracollo e una pistola infilata dietro nei pantaloni. Il concetto di tirare fuori armi “dal cilindro” stonava con il realismo che il team di Schofield ha voluto assicurare in The Callisto Protocol. Stesso discorso vale per le chain che vedono concatenare attacchi fisici e “tecnologici”, ancorate allo spazio e al tempo a disposizione. Insomma, tutto gira ad un unico assioma: siamo delle prede. L’obiettivo è solo uno, sopravvivere.

DIMENSIONE ARTISTICA

In una parola: sublime. Il comparto grafico, se apprezzato in modalità “non prestazioni”, è qualcosa che non si vedeva da tanto. 4K UHD spalmato in ogni angolo dell’ambientazione, con scenari da far accapponare la pelle. Il comparto sonoro rende giustizia a quello visivo, costruendo un ecosistema esperienziale che viaggia sullo stesso binario del terrore e della paura. Non per deboli di stomaco, questo ve lo possiamo assicurare.

Ambientazione, stile e fattore immersione

Siamo delle prede il cui unico obiettivo e sopravvivere e abbandonare quanto prima la prigione di Black Iron. I riferimenti “filosofici” alla USG Ishimura si sprecano, ma è una cosa assolutamente normale. Glen Schofield, prima di diventare il CEO di Striking Distance, è stato il creatore e produttore esecutivo di Dead Space. Quindi, di cosa vogliamo parlare ancora? È normale che la proprietà intellettuale è rimasta nelle mani di EA che ne detiene il marchio, ma la “testa” dietro il successo della serie è la sua.

The Callisto Protocol lo hanno etichettato come un filosofico remake di Dead Space, e sinceramente ci troviamo d’accordo in parte con questo “timbro”. Un survival horror all’interno di una base spaziale. Scusate ma ne conoscete altri di successo? Dal punto di vista di marketing e del fattore nostalgia la vicinanza tra i due titoli ha fatto sicuramente bene, ma poi bisogna un attimo prendere le dovute distanze.

La scelta di realizzare un’esperienza “faticosa” è la chiave di tutto. La brutalità, le ambientazioni claustrofobiche, corpi smembrati ovunque e un costante senso di impotenza. Variabili che richiamano le nostre emozioni più profonde, che ci ricordano la sostanziale differenza tra un videogioco e una pellicola. Tutto gira attorno alla nostra presenza. Siamo noi protagonisti e registi in The Callisto Protocol.

The Callisto Protocol scenari

Grado di definizione grafica e livello di realismo

Una scelta che pesa sull’economia dell’esperienza finale: raytracing/4K/30fps oppure risoluzione dinamica/60fps? Non esiste una scelta sbagliata e tutto ricade sotto la vostra responsabilità. Vi possiamo dire solo come lo abbiamo giocato noi, con alcuni momenti immortalati grazie alla photo-mode presente nel gioco. La scelta, come in altre passate occasioni, è ricaduta sulla priorità grafica, voltando le spalle ai 60fps. Per dovere di cronaca lo abbiamo provato anche in modalità prestazioni e l’esperienza risulta fisiologicamente molto più fluida. Non sono, però, mancati degli sporadici cali di frame in occasione di momenti di troppo affollamento in mappa.

Bene la definizione degli scenari e degli elementi di contesto. Male la gestione di alcuni effetti speciali come la foschia e le animazioni degli oggetti infuocati. Ci sono momenti il fattore immersione risente di queste scelte infelici, un “risparmio” che sicuramente si poteva evitare vista l’assoluta bellezza delle ambientazioni. Trattandosi di una prigione spaziale, non possiamo pretendere una varietà di arredamenti e location, che arriva comunque con la presenza di alcune dominanze cromatiche, in grado di dipingere dei quadri che trasudano disperazione ed orrore.

Un aspetto lo vogliamo sottolineare, visto che ha toccato direttamente lo scrivente da vicino. Vi sono dei momenti in The Callisto Protocol che arrivano direttamente allo stomaco. Striking Distance ha optato per la crudezza e la brutalità senza filtri, talvolta anche di difficile sopportazione. Direzione artistica sublime, con una fotografia che merita una menzione speciale in questa nostra recensione. Il tutto celebrato con i nostri scatti originali.

The Callisto Protocol ambientazione

Colonna sonora ed effetti audio

Non abbiamo una vera e propria colonna sonora in The Callisto Protocol, se non vogliamo considerare come tale quella constante nenia simile ad un sibilo distorto. Estenuante all’inizio, ma poi ci si fa l’abitudine, anche perché probabilmente c’è un perché anche in questo… o forse no?! E poi siamo nel regno del subliminale, con voci demoniache che invocano il nostro nome (non possiamo fare esempi “espliciti”, ma sapete esattamente di cosa parliamo), e qualcuno prova anche ad interagire con noi. Ma ci voltiamo e non troviamo nessun essere umano ad aspettarci, solo mostri assetati di sangue.

Sul fronte effetti sonori, però, dobbiamo fare alcune premesse. The Callisto Protocol lo abbiamo interamente giocato con cuffie Audio 3D, apprezzando l’estensione del comparto audio in tutte le sue dimensioni. Tintinnii e sospiri che accarezzano l’intero padiglione auricolare, prima di entrare nel timpano ed attivare il cervello. Wake Up and Run, Jacob. Talvolta, infatti, siamo rimasti imbambolati dalla crudezza della scena per essere subito richiamati in causa dopo aver udito una tridimensionalità sonora che ci ha portato ad attivare le sinapsi e percepire il pericolo. Se non ricordiamo male questa è l’immersione giusto?!

INTRATTENIMENTO

Possiamo andare in scena con The Callisto Protocol? La risposta è un secco NI. Non vi sono moltissime modalità (una per l’esattezza) e la dimensione competitiva è inesistente. Certo, il suo lato cinematografico si presta per una serie di argomentazioni da affrontare in live, ma è una cosa che dovete valutare voi. 

Modalità di gioco e rigiocabilità

Arriviamo alle dolenti note, se così le possiamo definire. Quanto a modalità di gioco, The Callisto Protocol non offre molto. Nessun minigame e nessuna modalità accessoria. Solo modalità Storia e nulla di più. Questo lascia pochi margini anche in chiave rigiocabilità, anche se le nostre affermazioni vanno parametrate rispetto al Season Pass.

Quello che sappiamo oggi è che tra i contenuti aggiuntivi “a pagamento” troviamo, oltre a delle nuove animazioni che interessano le morti del protagonista, vi è anche una modalità chiamata Contagion. Questa introduce il concetto di permadeath e aumenta il livello di difficoltà del gioco.

Feature multigiocatore e predisposizione allo streaming

Il lato cinematografico di The Callisto Protocol lo rende fisiologicamente pronto allo spettacolo e allo streaming. Non essendoci una dimensione competitiva del gioco, tutto passa nelle mani del conduttore e degli spettatori, con validi argomenti che vengono serviti nel corso dei vari capitoli. E forse più da Just Chatting che da streaming gameplay, per via della sua inclinazione cinematografica che apre a diversi dibattiti sul genere horror e survival.

The Callisto Protocol energia

In conclusione

The Callisto Protocol è la creatura perfetta di Striking Distance, tutto quello che il buon Glen non ha potuto fare quando era a bordo di Visceral Games ed è rimasto nel limbo del dimenticatoio. Una seconda chance, sfruttata nel migliore dei modi. Ci abbiamo visto tantissimo di Dead Space. Quella disperazione e quel costante senso di claustrofobia e la paura che tutto quello che facciamo non serva ad una beneamata fava. 

Certo, non è tutto oro quello che luccica. L’insidia del fattore ripetitività è dietro l’angolo, e l’offerta a livello contenutistico non offre molte soluzioni alternative oltre al concetto di missione principale. La scelta è ricaduta su una narrazione in stile cinematografico, ponendo un attenzione maniacale ai dettagli grafici e sonori. Sulla piazza i termini di paragone sono ai livelli di tripla A, con il rammarico di non averlo visto tra la nominations dei TGA 2022. Fosse uscito qualche mese prima le cose sarebbero andate diversamente. 

Dead Island 2: lo showcase svela un nuovo video di gameplay e ulteriori dettagli

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Il nuovo avvincente showcase di Dead Island 2 trasmesso ieri sera, ha svelato ai giocatori nuovi dettagli sui contenuti in modo divertente e coinvolgente attraverso un corto cinematografico in live action, che include anche uno sguardo approfondito a filmati esclusivi. Guarda lo showcase su Youtube

Lo showcase è un’avventura pulp in live action con tre personaggi immaginari, ambientata in un universo simile a Dead Island 2. Con i militari ormai lontani, segui questi impavidi sopravvissuti alla  ricerca di un rifugio sicuro dall’epidemia e dalle orde di zombie. Mentre vagano nella villa apparentemente abbandonata del produttore di videogiochi e film sulle Hollywood Hills di Los Angeles, scopriranno presto che nessun posto è sicuro.

Durante lo showcase è stato presentato anche il nuovo trailer Dead Island 2 Welcome To HELL-A: unisciti ai protagonisti del gioco Jacob e Amy in un tour da cartolina. Assisti alla nostra esclusiva tecnologia gore, ammira le armi aggiornabili, il sistema di combattimento e, naturalmente, i raccapriccianti zombi, mentre i protagonisti ti mostrano il loro elegante playground fatto di distruzione, sole e zombie.

Nel gioco sono presenti tutte le classiche attrazioni turistiche, da Beverly Hills alle rive di Santa Monica – anche se l’insegna di Hollywood è in fiamme -, una vera anteprima di Dead Island 2 in cui il Paradiso incontra l’Inferno.

Il brutale combattimento del gioco si rivela in tutto il suo splendore con armi da taglio, calci, combattimenti e roghi attraverso l’uso di katane, machete, spade, martelli, pistole e altro ancora. Dead Island 2 presenta il Fully Locational Evisceration System for Humanoids (F.L.E.S.H.), una tecnologia all’avanguardia progettata per offrire l’esperienza zombie più raccapricciante mai vista in un videogioco. Inoltre, scopri come migliorare le armi con aggiornamenti e componenti aggiuntivi e come i giocatori possono sfruttare la loro infezione zombie acquisendo poteri devastanti.

Un’altra sorpresa all’interno dello showcase è l’anteprima di Alexa Game Control, che consente ai giocatori di eseguire azioni di gioco usando la propria voce, disponibile in inglese per Dead Island 2 su Xbox e PC, negli Stati Uniti, in Canada e nel Regno Unito. Attualmente è possibile effettuare il pre-order dell’ambita Dead Island 2 Limited Edition: l’HELL-A Edition, ricca di oggetti unici dal mondo del gioco, per garantire un’esperienza immersiva ad ogni fan di Dead Island. I giocatori che prenoteranno qualsiasi edizione di Dead Island 2 riceveranno il “Memories Of Banoi Pack”, che include due armi uniche che celebrano il gioco originale di Dead Island e una carta abilità speciale.

Inoltre, è inclusa una splendida statuetta da collezione in resina dipinta a mano di Amy, mentre si rilassa nell’iconico ristorante Burger 66 dopo una strage di zombie. Questa statuetta premium unica è disponibile per l’acquisto esclusivamente tramite Deep Silver su DeadIsland.com.

L’HELL-A Edition include:

  • Esclusivo SteelBook con disco di gioco
  • Expansion Pass
  • Mappa turistica di Venice Beach
  • 6 carte Tarot Slayer
  • 2 spille
  • 1 Patch
  • Golden Weapons Pack
  • Pulp Weapons Pack
  • Character Pack 1 & 2

Il “Memories of Banoi Pack” include:

  • Banoi War Club
  • Memories of Banoi –  mazza da baseball
  • Weapon Perk – Balanced
  • Personal Space Skills Card

A PROPOSITO DI DEAD ISLAND 2

Dead Island 2 è un Action RPG in prima persona ambientato in un setting unico: una visione infernale, ma elegante e vibrante, di Los Angeles, soprannominata HELL-A. Non mancheranno la formula unica che ha reso nota la serie, il dark humor ed i toni esagerati nell’uccisione degli zombie e tutta la spavalderia e il carisma che ti aspetteresti da Dead Island.

Dead Island 2 sarà disponibile il 28 aprile 2023 su Xbox Series X e Xbox One, i sistemi di gioco e intrattenimento all-in-one di Microsoft, i sistemi di intrattenimento PlayStation®5 e PlayStation 4 e su Epic Games Store per PC. Per maggiori informazioni su Dead Island 2 seguici su Twitter e Instagram  DeadIslandGame.

Fallout 76: Nuka-World in tour e stagione 11 ora disponibili e gratis per tutti i giocatori

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L’aggiornamento Nuka-World in tour è ora disponibile gratuitamente per tutti i giocatori di Fallout 76. La fiera itinerante si è finalmente stabilita in Appalachia! Raggiungi la regione del Cumulo di Cenere per trovare tre nuovissimi eventi pubblici, affrontare il mostruoso titano di ultracite, provare i giochi di abilità del Nuka-Cade, incontrare nuovi personaggi, guadagnare ricompense e altro ancora!

Guarda il nuovo trailer di Nuka-World in tour

Inoltre, oggi comincia la stagione 11 per tutti i giocatori. Completa le sfide e sali di grado per ottenere tantissime ricompense, tra cui zaini a tema Nuka-Cola, decorazioni per il C.A.M.P., skin per armatura atomica e molto altro. Continua a leggere per scoprire le novità di Nuka-World in tour

NUOVI EVENTI PUBBLICI

Nuka-World in tour ha organizzato varie attività in tutto il parco, inclusi tre nuovi eventi pubblici che avranno luogo ogni 20 minuti e conterranno nuove ricompense, dalle nuove armi ai nuovi capi di abbigliamento fino ad arredi per il C.A.M.P. e altro!

NUOVO BOSS DELLA REGIONE

Unisciti agli altri per sconfiggere un nuovo boss della regione: il devastante titano di ultracite. Preparati per una battaglia di epiche proporzioni. Il titano di ultracite è la creatura più grande mai vista in un gioco di Fallout! Equipaggiati al meglio e affronta questa sfida unica.

OTTIENI IL RECORD NEL NUKA-CADE

Concediti una pausa dagli eventi pubblici o dallo scontro con il titano e dirigiti nella sala giochi Nuka-Cade per divertirti insieme a tutta la famiglia! Ci sono tutti i tuoi preferiti, tra cui “Caccia al bandito”, “Nuka-Zapper” e “Schiaccia il Comunista”. Siamo inoltre felici di introdurre “Bottle Blaster”, che metterà la tua forza a vera prova. Giocando otterrai punti Nuka-Cade, che potrai scambiare con fantastici premi.

COSTRUZIONE SFRENATA CON LA VISUALE LIBERA

La visuale libera è una nuova funzionalità per i costruttori. In modalità di costruzione, seleziona X sulla tastiera o Start sul controller per entrare in modalità visuale libera. La visuale si stacca dal tuo personaggio, permettendoti di costruire liberamente a nuove altezze e attraversare muri, porte, finestre e pavimenti.

Need for Speed Unbound, la recensione su PS5

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Le strade di Lakeshore City sono pronte ad ospitare le folli corse di Need for Speed Unbound, il titolo della nostra recensione per console PS5. A circa 3 anni di distanza da Need for Speed Heat ci viene proposto un nuovo capitolo della serie, il 25esimo per la cronaca. EA ritorna all’ovile, affidando lo sviluppo ad una vecchia conoscenza, quelli di Criterion Games.

Inizialmente pianificato per il 2021, il titolo è stato posticipato per non togliere troppa visibilità a Battlefield 2042, scegliendo una finestra di lancio meno affollata (per quanto possibile, ovviamente). Aspettative e responsabilità piuttosto importanti per uno studio che ha già all’attivo 3 capitoli della serie, per non parlare di tutta l’esperienza costruita con Burnout. La strada scelta è quella di uno stile unico, in grado di rompere gli schemi rispetto al passato. Rischioso ma ripagante, al netto delle sentenze dei giocatori. La nostra l’abbiamo lasciata alle parole della recensione di Need for Speed Unbound, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console PS5.

COINVOLGIMENTO

Need for Speed Unbound arriva carico di buoni propositi. Da Ghost Games si passa a Criterion Games, restando sempre in casa EA. La formula rispetto ad Heat non cambia molto, ma il contesto è veramente piacevole. Si vede che c’è la volontà di cambiare e puntare a fare qualcosa di diverso, percorrendo una strada “seriale” che manca dai tempi di Underground.

Prime impressioni e interpretazione del genere

Che la musica sia cambiata, rispetto all’ultima uscita sul campo, si capisce sin dalla prima derapata. Il riferimento a Need for Speed Heat non è puramente casuale, anche se il lontano ricordo ci riporta indietro ai fasti della serie Underground, con quel “Yo” style servito in salsa Rap ed Hip Hop. Resta il fatto che Need for Speed Unbound arriva in un momento storico particolare. EA ha ormai conquistato il dominio indiscusso su una moltitudine di IP con tema la simulazione sulle quattro ruote.

Dal rally alla Formula 1, sino a quelle che escono fuori dagli schemi della simulazione vera e propria e sorridono all’arcade. Per certi aspetti non vi nascondiamo che ci abbiamo visto quella carica di eccentricità che contraddistingue Dirt, seppur in maniera molto meno “accentuata”. Dopo la parentesti Ghost Games, il pallino del gioco passa nelle mani di Criterion Games chiamata in causa per dare una scossa alla serie che stava deragliando verso un pericoloso limbo.

Urge segnalare l’assenza di un tutorial degno di questo nome (anche se vi possiamo assicurare che non serve ad una beneamata “fava” visto che il training on the job è perfezionato nel migliore dei modi) e la completa localizzazione del titolo in italiano. Attenzione a questo ultimo aspetto, visto e considerato che non si deve assolutamente dare per scontato con i tempi che corrono. Di solito è la prima cosa che si taglia per ottimizzare i costi di produzione di un videogioco.

Need for Speed Unbound storia

Fattore ripetitività e scalabilità livello di difficoltà

Quattro settimane di corse, calendarizzate dal mattino e alla sera, il tutto in due momenti separati e senza un naturale ciclo giorno notte. Vi fate le gare previste, vi guadagnate i soldi, evitate l’arresto (sia in gara che non) e ritornate al garage. Uno schema che viene interrotto solo una volta arrivati alla domenica, dove ritorna la lore del gioco e la storia prosegue alla settimana successiva.

Uno schema che non nasconde lo spettro della ripetitività, interrotto da pochissime attività secondarie e una mappa di gioco che “disperde” delle sfide che non alimentano in maniera significativa le nostre casse. Il bello arriva, invece, dall’AI degli avversari, e in particolare della polizia. Giocato a livello intermedio le gare sono veramente toste e il traguardo del podio non è cosa “scontata” come succedeva in passato nei momenti iniziali del gioco.

A peggiorare la nostra permanenza nelle strade di Lakeshore City ci penseranno gli agenti di polizia, che pattugliano incessantemente ogni cm quadrato delle città. Appena si sconfina verso il livello di allerta 3, evitare la gattabuia diventa “la sfida nella sfida”. Ed ecco che la memoria ci riporta alla bellissima esperienza di Need for Speed Hot Pursuit Remastered, basato tutto su questo aspetto, che torna “a bomba” in Need for Speed Unbound.

Need for Speed Unbound protagonisti

CONTESTO DI GIOCO

La serie di Need for Speed, salvo qualche rara eccezione, non ha mai spiccato per storia e personaggi. L’importante è correre, vincere, guadagnare soldi ed acquistare auto. La trama aiuta solo a mascherare questo classico loop, oltre a creare uno stimolo per conoscere come andrà a finire. Sempre che tutto finisca, ovviamente. 

Storia e protagonisti

Se pensate di trovare una storia accattivante e di personaggi caratterizzati al meglio, non li troverete di certo in Need for Speed Unbound. Se escludiamo la piccola parentesi del reboot della serie con il capitolo Need for Speed, concepito dagli stessi sviluppatori in ottica “cinematografica”, qui la trama è solo un pretesto per avere degli obbiettivi da raggiungere.

La storia ruota attorno al rapporto tra Alec (il vostro pilota) – e Yaz, due ragazzi tolti dalla strada dal buon Rydell e inseriti nel programma dei lavori socialmente utili. Fortuna vuole che nel Rydell’s Rydes trovano un senso alla loro vita e scoprono la passione per le quattro ruote e per le corse. L’indole delle persone, purtroppo, non si cambia, e il rapporto tra i due si interrompe. Anni dopo si ritrovano, sfidanti per il titolo della “Grand”, una corsa che vede coinvolti i migliori bolidi e piloti di Lakeshore City. 4 settimane e un solo vincitore, sta voi capire chi tra i due la spunterà.

Need for Speed Unbound prime impressioni

Credibilità rispetto alla serie

Ogni capitolo di Need for Speed vive e muore. Non esiste una lore a puntate o una storia che si sviluppa in episodi. Ci avevano provato, se non ricordiamo male, forse in un lontano passato, generazioni di console fa, senza riscuotere evidentemente un successo sperato. Paragoni rispetto a NFS Heat, il capitolo più vicino a NFS Unbound, hanno poco senso se li intendiamo sotto il profilo storia e personaggi. Entrambi proponevano un contesto “a eventi” ed entrambi lo hanno inteso solo per trovare un pretesto che mascherasse la mera sequela di gare.

Possiamo, invece, evidenziare un aspetto che ci ha particolarmente colpiti come non succedeva da qualche anno a questa a parte al volante con quelli di Criterion Games. La carica di eccentricità e creatività. Tralasciando il comparto artistico, che affronteremo più avanti nella recensione, ci abbiamo visto una precisa volontà di creare un’esperienza degna di questo nome, che esula da quelle previste da un “semplice” simulativo su 4 ruote. Questo intento transita nel gameplay e arriva al giocatore, ed è quello stimolo per tentare di chiudere nel migliore dei modi la sessione di corse e riscuotere bei bigliettoni.

Need for Speed Unbound inseguimenti

CONTROLLI/GAMEPLAY

Parola d’ordine: arcade. Criterion Games cerca di allontanarsi da quella simil-seriosità voluta da Ghost Games per Heat, ricordando i bei tempi di Hot Pursuit. Derapate ai limiti dell’umana concezione e leggi della fisica liberamente interpretate. Non vogliamo altro che questo dalla serie, altrimenti il rischio è di diventare la “brutta” copia di qualcosa che già esiste. 

Feeling, complessità e accessibilità dei controlli

La domanda sorge spontanea: controller o volante e pedaliera? Come evitare un tale interrogativo allorquando si è alle prese con un gioco di guida. Per vostra fortuna siamo in grado di fornirvi una risposta, dopo aver provato il gioco per circa una decina di ore abbondanti, sia con il DualSense che con il Logitech G923. Meglio il primo che il secondo. Il problema è dato dalla non compatibilità di Need for Speed Unbound con il Trueforce, rilegando il dispositivo di guida di Logitech ad un mero volante con vibrazione. Il che diventa poco funzionale quando si affrontano curve in derapata ad altissime velocità.

Al contrario il DualSense fa benissimo il suo lavoro, invertendo la tendenza circa l’inutilità di un controller “old style” in funzione di sistemi di guida dedicati. I trigger adattivi fanno benissimo il loro lavoro, aiutando il giocatore a capire quando e come gestire le derapate, aspetto fondamentale per guadagnare punti extra e prezioso nitro. Le impostazioni base del gioco ci permettono, inoltre, di regolare aspetti ulteriori quali la sensibilità delle levette e la reattività del veicolo. Due facce della stessa moneta che vanno utilizzate con estrema parsimonia.

Un dettaglio c’è che non abbiamo apprezzato in chiave accessibilità, l’assenza di un sistema di indicatori visivi in fase di guida. La navigazione è affidata alla mini-mappa e non direttamente sull’HUD, distogliendo l’attenzione dalla guida per capire che strada intraprendere. Stesso discorso vale in fase di gara, senza fornire alcuna indicazione circa la velocità di arrivo al punto di corda e la modalità di percorrenza della curva.

Need for Speed Unbound grafica

Struttura del gameplay ed interpretazione del genere

Come anticipato all’inizio della nostra recensione, Need for Speed Unbound prevede una sequela di gare, organizzate di giorno e di notte nel corso di un intera settimana. Dal lunedì al venerdì, salvo piccoli incarichi da portare a termine – come il servizio taxi e la consegna di veicoli – il vostro lavoro di pilota vi porterà confrontarvi in gare di diversa natura e tipologia.

Si passa dal manto stradale alla terra, in circuiti monotematici e alcuni caratterizzati da un elevato grado di promiscuità della superficie. Alcuni sono veloci, ed altri decisamente più tecnici, che si estendono tra contesti urbani e naturalistici. Nonostante le gare siano diverse, nel corso della settimana è facile che vengano proposti circuiti già affrontati in passato, senza alcuna modifica “sostanziale” del tracciato. Questo aspetto è da non sottovalutare quando si incorre in episodi da apatia per ripetitività, visto che ne può alimentare la sua ampiezza e intensità.

Per vincere ci servono auto, tante auto. Per acquistarle ci servono soldi, tanti soldi. Per ottenerli dobbiamo vincere gare, tante gare. Il trio delle meraviglia – auto, soldi e gare – giace alle fondamenta di tutta la struttura del gameplay. Il garage ci aiuta a perfezionare i nostri veicoli con potenziamenti e fix che definiscono una particolare classe del veicolo. Ve ne sono ben 4 – B, A, A+ ed S – e queste servono anche come requisito di accesso per determinate gare.

Vien da se che occorre avere un auto per ogni occasione, in modo tale da poter partecipare alle varie tipologie di gare che ci vengono proposte. All’inizio sarà tosta, soprattutto nel corso della prima settimana, quando girerete con una “bagnarola” (la nostra era un Chevrolet Camaro SS 1967, simile a quella di Toretto nella celebre saga di Fast and Furious).

Need for Speed Unbound eventi

DIMENSIONE ARTISTICA

Need for Speed Unbound ci porta a sfrecciare tra le strade urbane ed extraurbane di Lakeshore City, con un grado di libertà che ricorda il buon vecchio Forza Horizon. Lo stile è tutto, tentando un approccio rischioso ma che a nostro avviso ripaga bene quelli di Criterion Games. A conti fatti, l’esperienza è decisamente originale. E mi raccomando alle cuffie, vi serviranno “come il pane”.

Ambientazione, stile e fattore immersione

Need for Speed Unbound si svolge all’interno di Lakeshore City, una piccola metropoli americana “di fantasia”, liberamente ispirata a Chicago. La città propone un contesto urbano, caratterizzato da grattacieli ed edifici imponenti, che scemano la loro intensità ma man che dal centro ci si sposta in periferia. Sarà fondamentale sbloccare un numero di rifugi congruo ad evitare di tornare tutte le volte dal buon vecchio Rydell, correndo il rischio di finire dietro le sbarre e perdere quanto guadagnato nel corso delle gare.

Non essendo una mappa monotematica, che comunque offre diverse soluzioni in chiave “open” (ovviamente non siamo ai livelli di Forza Horizon), il fattore immersione subisce sistematicamente dei nuovi spunti di interesse a livello visivo. Ci sono sempre cose da fare. Non si tratta “solo” di andare dal punto A al punto B, fare una gara e passare alla prossima. Lakeshore City è una continua sfida, fornita anche dalla struttura stessa della mappa di gioco, che non è lineare ma articolata su diversi livelli di altezza. Questa consapevolezza aiuta anche in fase di fuga, quando dobbiamo escogitare un modo per far perdere le nostre tracce.

Lo stile è tutto, e questo Need for Speed Unbound ne ha da vendere. La folle idea di mixare il cellshading in stile anime (tecnica vista in Dragon Ball Z: Kakarot, Tiny Tina’s Wonderlands e Tales of Arise) con dei modelli poligonali moderni e in 4K, è stata semplicemente geniale. Eravamo titubanti all’inizio, anche perché in tutta onestà siamo restii a degli esperimenti “anacronistici”. Rispetto alla serie, però, è quella eccezione che conferma la regola, un chiaro segnale della volontà di rompere gli schemi e dare libero sfogo all’estro creativo.

Need for Speed Unbound gare

Grado di definizione grafica e livello di realismo

Transitiamo nelle zone “hot” di ogni titolo, quelle che talvolta decretano la fine di un gioco dopo nemmeno la prima ora di gameplay. Per carità, Criterion Games ci ha sempre abituati più che bene in passato, e non è un caso che EA li abbia richiamati in causa per lo sviluppo di Need for Speed Unbound. Evidentemente un palmares che li ha visti coinvolti in ben 3 capitoli della serie sono un bel biglietto da visita. C’è però da dire una cosa: ora come allora, sotto il profilo grafico dobbiamo solo chinare il capo ed apprezzare il grande lavoro svolto.

Il “solo” rammarico è quello di aver insistito in un ciclo “giorno/notte” spezzato in due fasi e non fluido come succede negli open world. Ci siamo persi delle fughe per la libertà al tramonto piuttosto che all’alba, con la photo mode che piange questa occasione persa. L’illuminazione globale è “quasi” perfetta. Alcune defezioni, purtroppo, le dobbiamo segnalare quando si passa controluce nelle gallerie con dei veri e propri “muri” di colore nero. La città, così come i veicoli, si riflette nei numerosi specchi d’acqua regalati dalla pioggia.

E il tutto girà perfettamente in 4K e 60fps, senza mai aver assistito a fastidiosi episodi di lag. Certo, da qualche parte si doveva risparmiare, altrimenti col cavolo si garantivano queste cifre. Premesso che gran parte degli elementi presenti nei tracciati – e sulla mappa in genere – sono soggetti a distruzione, le animazioni non sempre sono realistiche. Alberi e cespugli che si sbriciolano in poligoni poco “naturali” e veicoli i cui danni si limitano e delle leggere ammaccature e qualche vetro rotto.

Need for Speed Unbound calendario

Colonna sonora ed effetti audio

Da sempre punto di forza dell’intera serie, anche Need for Speed Unbound non si esime da questo ardua responsabilità. Pezzi che alimentano la nostra voglia di correre, derapare e sverniciare le fiancate di chi ha pensato, anche solo per un istante, di poterci soffiare il primo posto. Considerate che anche questo aspetto, seppur in maniera minimale (anche se non ne siamo tanto convinti) alimenta il serbatoio del fattore immersione. D’altronde immaginatevi voi alla guida di uno tra i 143 bolidi a disposizione con le note di Shittin’ Me a tutto volume.

Sul fronte effetti sonori, non possiamo dirvi con certezza che il rombo dei motori sia lo stesso delle compagini reali, ma è difficile identificarne uno uguale all’altro. Dettaglio che, se degnamente cuffia-muniti, può essere determinante per ricaricare la vostra voglia di vincere. Per “degnamente”, visto che la presente recensione è dedicata alla versione PS5, parliamo di cuffie Audio 3D, visto e considerata la piena compatibilità con tale tecnologia. Rispetto a NFS Heat, siamo già ben più avanti sotto il profilo esperienziale, con i cavalli che fanno vibrare i timpani.

Need for Speed Unbound auto

INTRATTENIMENTO

Se vi state chiedendo se Need for Speed Unbound è “twitchabile” la risposta è decisamente un SI. La presenza del comparto multigiocatore accende tutta la nostra competitività, quella che ci porta ad imprecare quando il primo posto sfuma davanti ai nostri occhi. Si vince e si perde, anche se in live è più auspicabile il primo dei due. 

Modalità di gioco e rigiocabilità

Need for Speed Unbound offre due modalità di gioco. La storia offre un esperienza single player senza alcuna apertura verso la condivisione con il mondo esterno. L’unico aspetto è la presenza dell’account EA Play utile alle leaderboard e all’aggiornamento delle informazioni del profilo. Ma non vi sono richieste di aiuto di altri giocatori e né la presenza di “ghost car” che attendono una sfida. Solo voi, il controller e il gioco. Capite bene che, una volta arrivati ai titoli di coda, la voglia di ricominciare il gioco daccapo – magari ad un livello di difficoltà più alto – non sarà sicuramente una cosa a cui opterete molto volentieri.

Discorso diverso vale per la modalità Online. A conti fatti, farete le stesse cose del single player, ma con l’eccezione di partecipare a sessioni di mathcmaking in server da massimo 16 giocatori. La playlist delle gare non include, al momento in cui scriviamo la presente recensione, le staffette ma tutte le altre tipologie di gare sono presenti. Ogni gara può contenere al massimo 8 giocatori “umani”, con possibile completamento della run da parte degli NPC.

Need for Speed Unbound ambientazione

Feature multigiocatore e predisposizione allo streaming

La modalità Online di Need for Speed Unbound fornisce delle valide motivazioni quando si arriva al famoso endgame. In verità è anche un modo per uscire “dal solito” proposto dalla modalità Storia e fare qualcosa di diverso. Se si è all’interno di un gruppo di 4 amici, poi, il divertimento è assicurato. Si va di party e via, anche fruendo della funzione Crossplay attiva. Unico aspetto da curare è la presenza all’interno di EA Friends per abbattere le barriere tra le console.

Di fatto questa sua naturale predisposizione ad un’esperienza condivisa, unita al forte spirito competitivo della modalità multigiocatore, rende Need for Speed Unbound un candidato perfetto per delle intense sessioni di streaming. Al momento non segnaliamo la possibilità di bypassare le problematiche di copyright delle canzoni e il mascheramento dei nomi degli account dei giocatori. Non escludiamo, però, che in un futuro prossimo (e non troppo remoto) tali feature vengano rese disponibili tra le opzioni.

Need for Speed Unbound colonne sonore

In conclusione

Ancora con il ricordo “fresco” di Heat, l’esperienza di Need for Speed Unbound ci ha piacevolmente sorpreso. Poteva essere un “more of the same” a cui siamo abituati nei titoli con frequenza episodica ed invece siamo rimasti fregati. Il merito va a Criterion Games che ha voluto interrompere alcune pericolose tendenze del passato, con delle sane iniezioni di creatività ed originalità che oggigiorno sono cose assai rare. 

Alcuni annosi problemi sono insiti nella struttura stessa del gameplay. La fisiologica sequela di gare viene opportunamente “mascherata” da una trama effimera e poco convincente. Non è quella che fa la differenza, sicuramente. Cosa che, invece, non possiamo dire del comparto artistico, assolutamente degno di nota. Natale è vicino, e Need for Speed Unbound può far felice grandi e piccini. 

Evil West, la recensione su Xbox Series X

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Vampiri, banditi e altre strane aberrazioni vi accoglieranno in Evil West, il titolo della nostra recensione della versione per console Xbox Series X. Abbiamo già apprezzato, in passato, il lavoro svolto dalla software house polacca di Flying Wild Hog’s. Sono loro quelli dietro alla trilogia di Shadow Warrior, che ha saputo guardare negli occhi un colosso come Doom e trovare il modo per non essere etichettato come doomslike.

Questa volta, però, non si tratta di un FPS ma un action RPG in terza persona, ambientato in un selvaggio west dominato da vampiri e da altre creature infernali. Il tutto con una fortissima carica di humour e della sanissima violenza gratuita che sfocia, talvolta, nel gore. Abituati alle avventure dell’eccentrico Lo Wang, vestire i panni di Jesse Rentier non ci spaventa affatto.

Evil West storia

Ad attenderci ci saranno numerose ondate di nemici, che culminano con la presenza di una boss fight caratterizzata da un discreto grado di difficoltà. La progressione del personaggio è guidata dallo scorrere degli eventi, con una facoltà di esplorazione che rasenta lo zero. L’assenza delle secondarie si sente, con un gameplay guidato dalla sola presenza della storia principale, interrotta dalla sola possibilità di trovare manoscritti e dollari.

A rendere l’atmosfera assolutamente unica ci pensano le colonne sonore e livello di definizione grafica che forse è tra i migliori proposti sinora dalla software house polacca. Ogni livello è una libera interpretazione di alcuni momenti importanti della storia americana, con città e luoghi che rievocano le atmosfere del vecchio e selvaggio west. Senza proseguire con la nostra “solita” premessa vi lasciamo alla recensione di Evil West, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.

Dal selvaggio west con furore

Non sono tanti i titoli che dichiarano le regole del gameplay “tutte e subito”, ed Evil West rientra in questa eccezione. La formula magica viene svelata nel corso del primo livello, che funge come grande tutorial. I “richiami” avvengono solo in occasione dell’arrivo di nuove armi e/o mostri, ma nulla di trascendentale. Sebbene la carne al fuoco sia tanta, non si ha mai l’idea di essere sommersi da nozioni. Il focus è sempre sul gameplay e rendere l’esperienza scorrevole e mai pesante. Scelta che abbiamo apprezzato oltremodo.

L’anima RPG del gioco non si svela sin da subito. Il “timido” skill tree propone uno sviluppo del personaggio che interessa la resistenza ai danni, il livello di salute e la potenza delle armi. Il concetto di “abilità” gira attorno alla capacità di generare danni rispetto all’arsenale del cowboy ammazzamostri. La possibilità di alternare attacchi fisici e “da sparo” poteva essere una bella idea, che non è stata però resa nel migliore dei modi. Complice un sistema di controlli che, seppur reattivo, non integra al meglio le “catene” tra le due tipologie di attacco, prestando il fianco a dei momenti in cui si va “a vuoto” e si resta alla mercè del mostro di turno.

Evil West mostri

Ogni livello viaggia, più o meno, nello stesso modo. C’è una componente esplorativa che si limita a veicolare il protagonista in direzione obbligate, lasciando piccoli spazi a deviazioni che non portano ad alcuna missione secondaria. Solo monete e qualche manoscritto. I combattimenti seguono una logica “a ondate”, simile in quella vista in Outriders. La zona si chiude con delle pareti invisibili e si combatte sino all’eliminazione dell’ultimo nemico.

La storia c’è ma non è nulla di eccezionale. Clichè già scontati presi in prestito dal mondo del cinema, dove l’unica nota positiva arriva da un comparto artistico che offre delle libere interpretazioni della storia. Con quegli ultimi cowboy che proteggono l’ascesa degli Stati Uniti d’America dalla minaccia di un gruppo di vampiri guidati dal temibile Peter d’Abano.

Creatività da vendere, ma non basta

Evil West è un action RPG dai ritmi piuttosto intensi, con momenti di violenza gratuita accompagnati da uno stile che, tutto sommato, è piuttosto funzionale al contesto di gioco. Le colonne sonore, a metà tra Django e Dal Tramonto all’Alba, aiutano a (ri)trovare sempre quella verve che si perde sin dai primi momenti di gioco. Il fattore ripetitiva, purtroppo, non lascia scampo. È inevitabile, visto e considerato che, tolte le ambientazioni e le diverse missioni, la logica del wave system fisiologicamente comporta l’insorgere di questo annoso problema.

La possibilità di giocare in co-op è un buon pretesto per evitare di finire dentro l’apatia e rinnovare l’interesse per il gioco, anche se ci rendiamo conto che si tratta solo di una mera illusione che svanisce già dopo le prime partite. Il vero dilemma è l’assenza di attività secondarie, utili per uscire dalla gabbia delle “principali”. Con uno sviluppo del personaggio piuttosto obbligato, il mordente arriva dall’evoluzione dell’outfit di Jesse. Pura “ignoranza” in salsa western.

Evil West gameplay

Dobbiamo, invece, elevare agli onori della cronaca tutto il comparto artistico di Evil West. Il lavoro di ricerca e sviluppo, in tale ambito, è decisamente servito a costruire un contesto credibile e assolutamente originale. Due aspetti che, oggi giorno, si faticano a trovare in un videogioco degno di questo nome. Per quanto la formula di gameplay sia diventata scontata ancor prima di giungere alla metà dell’esperienza, vi confessiamo che non vediamo l’ora di rituffarci in un futuro secondo capitolo del gioco.

La prova generale non è stata superata a pieni voti, ma siamo sicuri che quelli di Flying Wild Hog’s faranno tesoro da questa uscita sul campo. Il talento, allo studio polacco, non manca. La trilogia di Shadow’s Warrior ha avuto “gli attributi” per sfidare nientepopodimeno che un mostro sacro come Doom, e non è uscita con le ossa rotte. Questi ragazze e ragazzi sanno il fatto loro e non fanno mai il passo più lungo della gamba. E noi lo apprezziamo e non vediamo l’ora di rituffarci nel vecchio e selvaggio west.

Evil West armi

In conclusione

Evil West è la prova che dimostra, ancora una volta, come una bella idea – se sviluppata in maniera corretta – ha il potenziale per costruire una serie. A nostro avviso quelli di Flying Wild Hog’s ci sono riusciti, anche se la prima uscita sul campo ha qualcosa da rivedere. Le dinamiche di gameplay non lasciano scampo all’insorgere della ripetitività, arginata da un comparto artistico degno di nota. Il wave system e lo sviluppo “essenziale” del personaggio non forniscono, purtroppo, dei validi stimoli per evitare l’apatia da “more of the same”. 

Nonostante questo il contesto creato è originale, e fornisce più di un pretesto per guardare oltre. La storia poteva, forse, contenere qualche colpo di scena in più. I personaggi, compreso l’imperturbabile Jesse Rentier, sono tutti azzeccatissimi e sono funzionali a creare quel link emozionale che ci spinge a desiderare un seconda avventura. Magari più “profonda” di questa, magari con un budget di sviluppo ben più alto di questo. Ad un passo dal TGA 2022 una nomination la poteva forse pure strappare. 

Football Manager 2023, la recensione su PC

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Ci accompagna da oltre 20 anni, e come di consueto arriva il momento di Football Manager 2023, il titolo di questa nostra recensione della versione PC. Un appuntamento fisso, una ricorrenza da segnare nel calendario, un evento da celebrare e che ci spinge a cancellare tutti i nostri impegni per qualche giorno (laddove possibile, si fa per dire). Sports Interactive ci presenta il suo gioiellino con le dovute e richieste novità. Sappiamo bene quanto la community “coccoli” il manageriale di calcio della software house inglese, forse tra i titoli che più annovera un seguito così nutrito a livello di fan.

Non vi aspettate, però, degli stravolgimenti epocali. Quelli non rientrano più nei piani triennali entro cui sembra muoversi lo sviluppo del titolo. Dopo l’edizione che propone il “big update”, le altre inseguono il percorso già tracciato con degli interventi utili ma non strutturali. Quest’anno, infatti, lo scossone arriva con l’inserimento delle licenze ufficiali delle competizioni europee. Finalmente la Champion’s League, l’Europa League e l’UEFA Europa Conference League regaleranno dei momenti unici nel corso della settimana calcistica di ogni allenatore. Un nuovo mordente per puntare alle competizioni “che contano”.

football manager 2023 licenze

Il mercato vede un miglioramento sensibile del ruolo dell’agente, che passa da parte passiva ad attiva nel corso di una trattativa. Sempre in ottica mercato, ma con uno sguardo anche alla gestione della rosa, si dimostra interessante la presenza della nuova feature dello Squad Planner, un’area in cui è possibile analizzare il potenziale dei giocatori e vedere come si “sposano” all’interno di una o più tattiche. Un occhio di riguardo è stato riservato anche al ruolo della tifoseria, che mette il manager di turno tra l’incudine e il martello. La temibile scure non è più nelle mani della sola dirigenza, anche il pubblico reclamerà la nostra testa se la squadra non gira.

Bene, il tempo per le consuete premesse sembra essere arrivato al termine. Senza dilungarci oltre, vi lasciamo alla nostra recensione di Football Manager 2023, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per PC (Steam).

Un futuro da pianificare

In Football Manager 2023 non vestiamo solo i panni di un allenatore “all’italiana”, ma siamo dei veri e propri manager in stile Sir. Alex Fergusson. Gli aspetti da controllare sono molteplici, dal mercato al monte ingaggi, sino ad arrivare alla gestione della tattica e dello spogliatoio. Si passa dalla giacca e cravatta alla tuta in maniera continua e costante, il tutto tenendo a mente sempre i traguardi che la dirigenza ci ha imposto di raggiungere.

In questa baraonda è molto facile perdere la bussola e non sapere più il “perché” e il “per come” di alcune nostre scelte, anche in ottica mercato. La foga di correre ad acquistare è insita in ogni manager che ha fame di successi e vittorie, e talvolta può diventare controproducente nell’economia della stagione. La regola base è sempre la stessa: mai fare il passo più lungo della gamba.

football manager 2023 match grafica

Per evitare passi falsi Sports Interactive ha introdotto in Football Manager 2023 questa nuova feature dove e possibile fare delle proiezioni rispetto alla rosa e al modulo di gioco scelto. Appena approdiamo in un nuovo team veniamo bombardati di messaggi e rapporti che non consentono una visione d’insieme rispetto alla rosa da gestire. Sinora si è sempre ragionato sui singoli e mai in un contesto d’insieme. Adesso tutto questo è possibile, con tanto di proiezioni verso il futuro.

L’aspetto, però, che più ha destato il nostro interesse è la possibilità di riorganizzare la rosa secondo una matrice di esperienza e prospettive di crescita. Questo, a nostro modesto avviso, è il volano perfetto per la costruzione di un team che vede giocatori affermati prendere per mano i giovani e guidarne la loro crescita. Un aspetto molto a cuore alla community del manageriale di calcio e che gli sviluppatori non hanno mai abbandonato in questi anni, sino alla perfetta celebrazione del momento con l’introduzione di questo Squad Planner.

Non solo licenze ufficiali

Il sogno di ogni allenatore è quello di sentire la “musichetta” della Champion’s League non solamente dallo schermo, ma in campo respirando l’atmosfera delle gare che aspetti da una vita. Football Manager 2023 ci farà provare questa emozione, magari dopo una carriera iniziata con la Pro Vercelli e il caldissimo pubblico del Silvio Piola. Chi vi scrive pratica questo rituale da ormai più di vent’anni a questa parte, sognando sempre in grande.

Un sogno che adesso coincide con le competizioni europee. La presenza delle licenze ufficiali della Champion’s League, l’Europa League e l’UEFA Europa Conference League – oltre quelle di alcuni grandi club italiani ed europei in genere – arricchisce ulteriormente l’offerta contenutistica di questo nuovo capitolo del manageriale di calcio edito da Sports Interactive. Sin dal fatidico giorno del sorteggio, il contesto delle Coppe si tinge di nomi e colori ufficiali, senza le fisiologiche omissioni di questi ultimi anni.

football manager 2023 squad planner

In tutto questo ben di Dio, c’è un piccolo fattore che quest’anno definire determinante è un eufemismo. Si tratta della tifoseria, da sempre una presenza costante in ogni Football Manager ma che non ha mai avuto un ruolo attivo ai fini dell’esperienza finale. Quest’anno la musica cambia di parecchio. Siamo, infatti, costretti ad ascoltare gli umori dei sostenitori del club, che non sempre coincidono con quello che si aspetta la dirigenza dal nostro operato. Una situazione che ci mette nella scomoda posizione tra l’incudine e il martello.

Una tifoseria che assume delle connotazioni diverse a seconda della categoria in cui vi trovate. Torniamo sempre alla nostra amata Pro Vercelli e alle 5.500 persone che animano il giorno partita e non solo. È importante conoscere il calore di questa tifoseria, anche per capire che tipo di allenatore dobbiamo essere. Lo stadio è un grande teatro dove noi siamo i registi dello spettacolo. Chiedetelo a Jose Mourinho, Jurgen Klopp e Pep Guardiola, che vanno oltre il ruolo del manager diventando dei veri e propri trascinatori.

Piccoli update e grandi esclusi

Come ogni anno non possiamo dire di essere pienamente soddisfatti. Football Manager 2023 propone degli update che investono alcune aree del titolo più di altre, tralasciando alcuni aspetti che meritano, a nostro avviso, un intervento già da qualche anno a questa parte. Tutto il marketing e il business legato alla gestione del team vengono subiti passivamente in fase di gioco. Non abbiamo alcuna voce in capitolo sulla costruzione di un eventuale campus per far crescere i campioni del futuro, veicolare le vendite del merchandising e la possibilità di gestire un team esports. Sono solo esempi di quello che non possiamo fare, aspetti che non sembrano minimamente interessare agli sviluppatori.

Graficamente non siamo ancora ai livelli prestazionali grafici che si potrebbero idealmente raggiungere con le potenzialità delle attuali schede grafiche. Non vogliamo un qualcosa in stile FIFA 23 ed eFootball 2023, ma qualcosina di più si potrebbe fare. Le animazioni sono migliorate, così come l’AI e i movimenti in genere. Purtroppo, succedono ancora delle cose inspiegabili, con portieri che compiono dei movimenti scellerati a prescindere dalle loro stats. E poi c’è ancora il solito momentum del post campionato d’inverno, con l’immancabile serie di risultati negativi che veicolano la nostra frustrazione in direzione poco rassicuranti.

football manager 2023 recensione pc

Interessante, invece, il rinnovato ruolo dell’agente del giocatore, con cui imbastire delle vere e proprie guerre fredde per ottenerne il cartellino. Si deve passare da lui per tentare di portare a casa la stella del futuro o il campione del momento, uno sbarramento fatto di strategie e concessioni. Non si ottiene nulla per nulla, ma non è detto che usciremo sconfitti dalla battaglia, non se pendiamo troppo dalle labbra dall’aspirante Raiola (pace all’anima tua buon Mino).

E poi un giusto riconoscimento al “mazzo” che ci siamo fatti nel corso della stagione – e della nostra carriera in genere – arriva dalla Timeline del Manager. Un momento in cui analizzare, a bocce ferme, quanto sinora costruito, ricordando gli alti ma anche i bassi, le difficoltà, le sfide e comprendere come tutto è cominciato. Utile alla fine della stagione, ma anche quando la fortuna sembra averci voltato definitivamente le spalle. Il mestiere del manager non è cosa facile, indi per cui un bello specchio è sempre utile.

football manager 2023 visione societaria

In conclusione

Contenti o delusi? Come sempre ogni edizione ci lascia soddisfatti a metà, con novità che interessano alcune aree specifiche del gameplay, lasciando inesplorati settori che meritano già da qualche anno interventi importanti. Football Manager 2023 si concentra sul ruolo dell’agente e sulla riorganizzazione della costruzione della rosa nel breve-medio-lungo termine. La presenza, inoltre, delle licenze ufficiali delle competizioni UEFA arricchisce ulteriormente l’offerta contenutistica, con contesti e situazioni che assumono delle connotazioni reali. 

Gotham Knights: arrivano due nuove modalità, Attacco eroico e Scontro

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Warner Bros. Games e DC hanno annunciato l’arrivo di due nuove modalità per Gotham Knights, Attacco eroico e Scontro, che sono già disponibili come aggiornamento gratuito per chiunque possieda il gioco.

Attacco eroico è una modalità cooperativa online che permette ai giocatori di unire le forze in squadre da quattro e avventurarsi nei sotterranei di Gotham City per affrontare i nemici e completare sfide in 30 piani ricchi di azione. Questa modalità presenta una nuova minaccia che è all’origine del caos: la forma di vita aliena super avanzata nota come Starro il Conquistatore, nonché lo straordinario ibrido metà uomo-metà pipistrello Man-Bat, che è sotto il controllo di Starro.

Scontro è una modalità cooperativa online per due giocatori in cui si possono affrontare le versioni potenziate dei supercriminali DC principali del gioco, come Mr. Freeze, Harley Quinn, Clayface e Talia al Ghul. Sconfiggendo questi boss nella modalità Scontro i giocatori otterranno nuovi progetti per l’equipaggiamento leggendario e colorazioni uniche per costumi e Batmoto per ogni nemico sconfitto.

Attacco eroico e Scontro sono modalità cooperative online indipendenti accessibili come aggiornamento gratuito per tutti i possessori di Gotham Knights. La modalità Attacco eroico diventa disponibile una volta raggiunto il Case File 05 nella campagna principale, mentre la modalità Scontro si sblocca una volta che i giocatori sconfiggono il boss nei Case File di ciascun criminale principale. Per ulteriori dettagli sulle nuove modalità, visita la pagina dedicata alle domande frequenti.

Sviluppato da Warner Bros. Games Montréal, Gotham Knights è disponibile per PlayStation 5 (PS5™), Xbox Series X|S e PC e include i personaggi della Bat-famiglia: Batgirl, Nightwing, Cappuccio Rosso e Robin. Una nuova generazione di supereroi DC altamente addestrati che dovranno dimostrarsi all’altezza del ruolo di protettori di una Gotham City sempre più vulnerabile in seguito alla morte di Batman. I giocatori dovranno risolvere i misteri che collegano i capitoli più oscuri della storia della città, cimentandosi in epici scontri con famigerati supercriminali e affrontando una serie di sfide mentre sviluppano la loro personale versione del Cavaliere Oscuro.

Il trailer di Gotham Knights – Attacco eroico e Scontro

The Devil in Me, la recensione su PS5

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La serie di The Dark Pictures Anthology si arricchisce con un nuovo capitolo, The Devil in Me, il titolo di questa nostra recensione per console PS5. Rispetto alle nove avventure promesse da SuperMassive Games siamo a quota 4, portando a termine la prima stagione e in attesa di una seconda che, al momento, non è ancora inserita in calendario. I questi 4 capitoli, il papà di Until Dawn – salvo una brevissima parentesi con The Quarry – ha sviluppato una storia episodica dove l’unico filo conduttore è stata la presenza del Curatore.

Ogni capitolo vive e muore, con un tema a farne da padrone e una storia che lambisce fatti reali ma liberamente interpretati. Man of Medan ci ha portato a bordo della SS Ourang Medan, Little Hope ci proietta ai tempi della caccia alle streghe, House of Ashes, infine, disvela nelle viscere della terra l’esistenza della mitologica Babilonia. Il pretesto “storico” è un modo intelligente per coinvolgere il giocatore in qualcosa che conosce e che appartiene alla realtà.

the devil in me trama

The Devil in Me, al pari dei precedenti 3 capitoli, ci vuole raccontare una storia, quella del primo serial Killer americano. 27 omicidi a lui imputati, anche se si ritengono molti di più, quasi tutti commessi all’interno del suo castello degli orrori, il World’s Fair Hotel. Il gioco inizia, come di consueto, con un prologo di matrice storica che ci ricongiunge ai giorni nostri. Solo un modo per introdurci nel contesto degli eventi di questo quarto capitolo della serie The Dark Pictures Anthology.

Concludiamo, quindi, questa Season 1 esplorando una nuova dimensione della paura. Come sempre, ogni nostra scelta porterà a delle conseguenze, che, sommate tra loro, condurrano ad uno dei diversi finali previsti. Senza perdere ulteriore tempo, vi lasciamo alla nostra recensione di The Devil in Me, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console PS5.

Prime impressioni: Un escape game mortale

È passato poco più di anno dall’ultima avventura di House of Ashes. Il terzo capitolo della saga The Dark Pictures Anthology, con un biglietto di sola andata verso le profondità della terra, aveva toccato il genere sci-fi/horror, aprendo la strada verso il cruento. La trama apparve “scontata” sin dalle prime battute, con quei mutaforma che all’inizio sembravano degli strani vampiri ma che poi si sono rivelati tutt’altro.

Ora il nemico è un “solo” uomo, o meglio il remake di un altro realmente esistito. Non andiamo oltre su quest’aspetto, onde evitare sgradevoli spoiler, ma l’idea di avere a che fare con un serial killer all’interno di un escape game è molto allettante. Il ricordo è andato al mitico SAW L’enigmista, anche se la componente psicologica non è così preponderante come la pellicola di James Wan.

Qui è tutto molto più semplice. Fai delle scelte e beccati le conseguenze. L’ansia da prestazione viene enfatizzata da alcuni graditi ritorni come il controllo del battito cardiaco e le sequenze in cui non si deve far rumore per attirare l’attenzione del carnefice. L’aggiunta di peso è data dai momenti stealth, dove ci si deve nascondere per evitare sguardi che possono decretare la nostra fine anzitempo.

the devil in me HH Holmes

La prima parte del gioco, quella in esterna, ha attirato tutta la nostra attenzione sotto il profilo artistico. La cura dei dettagli, e la fotografia degli scenari in genere, è tra le migliori dei 4 capitoli. Fuori concorso, se la gioca sicuramente con The Quarry. Quello che ci è piaciuto forse meno sono stati i movimenti dei protagonisti, troppo legnosi e talvolta poco verosimili. Ed è qui che si è compreso come questa Season 1 sia arrivata “stanca” al suo capitolo finale.

Contesto di gioco: Le forme della paura

The Devil in Me ci fa rivivere, in chiave assolutamente moderna, quelle che accadde all’interno del World’s Fair Hotel. Un tale di nome Granthem Du’Met, all’apparenza presentatosi come un misterioso benefattore, invita tutta la crew della Lonnit Entertainment nella sua residenza sita su un’isola vicino alle coste del lago Michigan. Il sig. Du’Met è un collezionista di artefatti e cimeli appartenenti al noto serial killer H.H. Holmes, e l’idea di poter girare un episodio della loro serie dedicata ai famosi omicidi alletta quasi tutto lo staff.

Forse più per denaro che per puro spirito di avventura, il gruppo capitanato dall’introverso Charlie Lonnit si imbarca verso quella che potrebbe essere la fine anticipata del loro programma televisivo. È chiaro sin da subito che qualcosa non torna. Il sig. Du’Met sembra nascondere qualcosa e il contesto dell’isola è tutto fuorché idilliaco. La più sveglia del gruppo, la reporter Kate Wilder, capisce subito che c’è molto di più di quello che sembra.

The devil in me dimensione artistica

La formula del survival horror, in questa occasione, viene somministrata in formato escape game. Sinora si era rimasti in un qualcosa che era legato alla parte esplorativa. Volendo trovare delle similitudini con qualcosa che conosciamo molto bene, il contesto è simile a quello di Resident Evil, meno la componente fantastica dei diabolici enigmi. Il tutto va pesato nell’economia della stagione 1, ricordando quanto visto nei primi 3 episodi.

Supermassive Games si è limitata a non stravolgere mai le dinamiche di gameplay ma solo ad effettuare dei piccoli fix tra un capitolo e l’altro. Di contro si è spesa oltremodo per realizzare sempre una storia convincente quanto credibile, con personaggi in grado di rendere al meglio. Tolto Man of Medan, Little Hope e House of Ashes, hanno evidenziato un breve declino della componente creativa. The Devil in Me interrompe questo trend negativo ma senza grossi scossoni. Non vi aspettate gli stessi scary moment vissuti all’interno della SS Ourang Medan.

Gameplay: Alcune novità sì, ma non troppe

The Devil in Me, al pari dei suoi predecessori, propone un gameplay basato sulle dinamiche del causa-effetto. Ad ogni nostra azione corrisponde una conseguenza, che può manifestare i suoi effetti nell’immediato ma anche nel lungo termine. Vi sono diversi fattori da tener presente prima di capire se una scelta fatta ci porta all’effetto desiderato, ma non esiste mai una “scelta giusta”. Si prende una decisione e si attende l’esito, bello o brutto che sia.

Non vale nemmeno il discorso legato al personaggio principale, visto che morto un papa se ne fa un altro. È quasi impossibile non simpatizzare per uno piuttosto che un altro, come anche individuarne qualcuno non necessario per lo svolgersi degli eventi. Resta il fatto che le relazioni e i connotati caratteriali giocano un ruolo fondamentale per l’interazione tra i vari protagonisti della storia. Non siamo ancora ai livelli di un’intelligenza artificiale in grado di interpretare i comportamenti, magari nella season 2 qualcosa cambia.

the devil in me grafica

I Quick Time Event tornano più in forma che mai. In alcuni momenti verrà richiesto uno sforzo ai nostri riflessi affinché si raggiunga un determinato obiettivo. Non è detto che però la nostra bravura venga premiata con un qualcosa di non doloroso. A volte, infatti, è meglio perdere che trovare. Lasciando da parte modi di dire e luoghi comuni, è interessante la presenza dei momenti stealth, un qualcosa di già visto in House of Ashes e a tratti in The Quarry.

Tra le assolute novità troviamo la possibilità di evitare gli sguardi indiscreti, nascondendosi o celando la propria presenza. Può sembrare, passateci il termine, una “fesseria” ma il tutto diventa coerente quando c’è la propria vita in gioco. Sicuramente, nelle sessioni in esterna assume una connotazione diversa rispetto ai momenti claustrofobici del tremendo escape game che ci attende dentro la residenza del sig. Du’Met.

Dimensione Artistica: Bene, ma non benissimo

Un crescendo sotto il profilo grafico, ma per il resto vi sono ancora alcuni grandi interrogativi che necessitano una risposta rapida. The Devil in Me ci porta a fare questa considerazione, al netto delle tre precedenti esperienze. La nuova generazione di console è servita, senza ombra di dubbio, ad enfatizzare le doti realizzative di Supermassive Games. I comparti grafico e sonoro dell’intera saga sono ineccepibili, e sappiamo tutti quanto queste componenti incidano in un survival degno di questo nome.

Se da una parte il “progresso” è servito ad allietare il palato del gamer esigente, da una altra vi sono degli aspetti che inspiegabilmente sono rimasti tali senza interventi correttivi. Le animazioni, in primis, appaiono piuttosto datate e talvolta anche poco verosimili. Stesso discorso vale per la mimica facciale e gli sguardi, che non sembrano minimamente far trasparire l’enfasi del momento. La sequenza iniziale, sotto questo aspetto, ci regala dei momenti piuttosto dubbi.

The devil in me finali gioco

Arrivati al termine della stagione, e senza essere intervenuti su questi aspetti (elementi già noti in Man of Medan), fa capire come la saga sia arrivata “stanca”, o quanto meno con la voglia guardare oltre. Lo abbiamo visto in Life is Strange: True Colors come questo dettaglio serva a concretizzare al meglio il fattore immersione e vivere ogni momento di gioco. Un survival non può non tener conto di questo aspetto e la Season 2 deve, senza ombra di dubbio, intervenire nel migliore dei modi.

Le sequenze in esterno regalano degli scenari che ci hanno fatto tornare in mente quanto visto in The Quarry, seppur il titolo non appartenesse alla saga di The Dark Pictures Anthology. Quell’isola con il faro è stato è un bel tributo alla terrificante esperienza vissuta nel campeggio estivo di Hackett’s Quarry. Una cura dei dettagli sopra le righe, d’altronde sotto questo aspetto, Supermassive Games non ci ha mai deluso.

The devil in me gameplay

In conclusione

Giunge il momento di tirare le somme rispetto alla nuova esperienza con il quarto capitolo della saga The Dark Pictures Anthology. The Devil in Me, come i suoi predecessori, si affida alla storia per raccontare una storia. Questa volta al primo serial killer americano, che ritorna ai giorni nostri con un efferatezza che lascia basiti. Quell’ondata cruenta che aveva toccato le coste di The House of Ashes, diventa una marea in questo nuovo episodio. Scelta che ci sembra giusta, anche rispetto alla tematica trattata. 

Ma non basta affidarsi, solo, al gore ed alla violenza per stimolare l’interesse del pubblico. Gli scary moment mancano già da qualche capitolo a questa parte, e la cosa non è un bene per un survival horror. Bene il gameplay che introduce alcune nuove dinamiche dall’aspetto molto interessante. Un po’ meno le animazioni dei personaggi, che richiedono un intervento di restyle non indifferente. Dimensione artistica, invece, sempre al top della forma. 

Crash Bandicoot 4: It’s About Time sbarca su console nex-gen

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Il marsupiale arancione più amato del mondo è sbarcato su PlayStation 5, Xbox Series X|S e Nintendo Switch grazie alla nuova versione next-gen di Crash Bandicoot 4: It’s About. E non è tutto: il 26 marzo arriverà infatti anche la versione PC su Battle.net!

In occasione del lancio di Crash Bandicoot 4: It’s About Time sulle nuove piattaforme, Activision Blizzard, Inc. (NASDAQ: ATVI) sta preparando un evento speciale per il 25° anniversario di Crash! Nella prima di molte celebrazioni per festeggiare questo speciale compleanno i giocatori potranno accedere gratuitamente alle skin Bare Bones per Crash e Coco, disponibili al completamento del secondo livello del gioco.

I giocatori di PlayStation 5 e Xbox Series X|S si troveranno di fronte a iN.credibili immagini in qualità 4K a 60FPS, per ammirare ogni dettaglio del mondo popolato da Crash  coi suoi amici e nemici. I possessori di console next-gen godranno di tempi di caricamento più rapidi, inoltre grazie all’audio 3D potranno immergersi completamente nel gioco, saltando direttamente nell’atmosfera frenetica dei livelli di gioco. Chi possiede, in particolare, una PlayStation 5 potrà divertirsi grazie ai controller DualSense ed i suoi sensibilissimi pulsanti trigger per un gameplay ancora più immersivo. Inoltre, la funzione Activity Card per PS5 permetterà ai giocatori di analizzare i propri progressi in ogni livello, fornendo una guida specifica per raggiungere obiettivi e molto altro. Xbox Series X|S utilizzerà invece la modalità Smart Delivery, la quale consente agli utenti di giocare la versione appropriata di Crash a seconda della console utilizzata. Il divertimento, inoltre, non si ferma qui! La festa arriva infatti anche su Switch, permettendo ai fan di giocare a Crash Bandicoot 4: It’s About Time ovunque essi vogliano.

realme sarà protagonista della Milan Games Week 2022

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realme, il brand di smartphone in più rapida crescita in Europa, sarà protagonista della Milan Games Week 2022 dal 25 al 27 Novembre 2022 a Rho Fiera Milano grazie alla collaborazione con il team di e-sport PSC. Durante l’intera durata della fiera sarà possibile provare, giocando anche online ad alcuni popolari mobile games, alcuni dei dispositivi di punta targati realme come realme GT 2 Pro, realme 9 Pro+, realme GT Neo 3 150W, realme 10 e molti altri all’interno dello stand PSC, Padiglione 20 – G28.

Inoltre, in occasione della partecipazione alla popolare fiera e grazie alla partnership con PSC, realme lancia la realme Cup, torneo che vedrà gli utenti sfidarsi al famoso gioco online Call of Duty in versione mobile, che inizierà ufficialmente in occasione della Milan Games Week e darà la possibilità ai vincitori di aggiudicarsi fantastici prodotti e gadget griffati realme.

La realme Cup

La piattaforma protagonista della realme Cup sarà COD Mobile in modalità Battle Royal Duo, uno dei giochi più popolari e avvincenti del momento. Le iscrizioni al torneo, completamente gratuito, saranno aperte a partire dal 25 novembre alle ore 20 sul sito www.pscesports.org/realmecup e sull’app ufficiale di PSC e si chiuderanno il 3 dicembre alle ore 20.

Il torneo prevede una prima fase di qualifiche aperta a tutti i player iscritti che si terranno dalle 21 alle 22:30 nei giorni 5 e 7 dicembre, mentre le tappe ufficiali della disfida saranno in data 12, 14, 19 e 21 dicembre, nella medesima fascia di orario. Tutte le sessioni saranno trasmesse in live streaming su Facebook al seguente link: https://www.facebook.com/gaming/GS991tv.

I vincitori del torneo e anche un fortunato spettatore, verranno premiati con numerosi prodotti realme come il nuovo smartphone lanciato dall’azienda, realme 10, e le nuove cuffie realme Buds Air 3, oltre a gadget personalizzati.