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Street Fighter V secondo Sabaku No Maiku: il gioco rischioso di Capcom

In un video di prime impressioni che trovate a questo indirizzo ho discusso di come Street Fighter V (qui la recensione)si sia inserito oggigiorno in un mercato divenuto davvero competitivo, dopo un decennio con molta meno presenza di quanto non ci si aspettasse all’epoca dei cabinati… Ma al di là della qualità del picchiaduro, punto focale di una discussione molto attenta dev’essere lo stato nel quale il software è arrivato sugli scaffali: Capcom ha rilasciato un titolo oggettivamente incompleto, su questo nessuno può argomentare altrimenti. Privo di intere e basilari modalità di gioco, queste ultime verranno aggiunte nei prossimi mesi e, per quanto concerne nuove arene e lottatori, non verranno pubblicate ulteriori versioni “aggiornate” del prodotto, come Super, Hyper o Ultra Street Fighter, ma per nostra fortuna tale contenuto aggiuntivo sarà acquistabile anche con la valuta (fittizia) del gioco.

Siamo quindi davanti a uno scontro fra scelte avanguardistiche e positive come quest’ultima ed altre pericolose e non prive di una certa malizia commerciale, dato che se Capcom ha accettato volentieri il prezzo pieno pagato dai consumatori, dovrebbe anche comprendere il perché ad oggi si sia creato tanto fastidio nei riguardi della poca trasparenza con la quale essa accettato di distribuire il proprio titolo di punta: Capcom ha dichiarato che il mercato avrebbe visto arrivare un titolo incompleto, ma quest’ultimo non solo è stato venduto a prezzo pieno a differenza di altri suoi “colleghi” (ad esempio Killer Instinct, che ha venduto diversi livelli di contenuto a diversi prezzi), ma si comporta esattamente come un Early Access senza che però questa realtà sia notificata e riscontrabile nei principali punti di riferimento utilizzati da un acquirente medio per informarsi sul suo prossimo acquisto, ovvero la copertina di gioco ed il sito ufficiale.

Street Fighter V si unisce alle fila di nomi altisonanti, come Star Wars Battlefront, che stanno seguendo una strada pericolosa per il consumatore: essere videogiochi ben costruiti, ma rilasciati anzitempo per potervi lucrare sopra mentre lentamente, spesso troppo lentamente, vengono riempiti di contenuto, così da poter guadagnare tempo (ed ovviamente denaro) e creare l’illusione che giocando a Street Fighter V per poche ore ed in maniera discontinua (come in genere fa il videogiocatore medio di fronte ad un picchiaduro) si provi la sensazione di aver ottenuto dall’acquisto un valore maggiore, rispetto a quello percepibile giocando 50 ore con un prodotto completo al lancio. Questo processo mentale, per quanto contorto ed incredibile, funziona, e crea un forte rischio di abuso: avere all’orizzonte promesse di costante contenuto in arrivo, senza che ci si renda davvero conto di come le major si stiano approfittando di questo modus operandi, creato invece per scopi ben diversi.

275924Il sistema dell’Early Access è stupefacente sulla carta: sarebbe incredibile se l’utenza potesse far sentire la propria voce, guidando le software house verso una direzione o l’altra nel processo di sviluppo, specialmente quando si ha a che fare con un titolo che si basa totalmente sull’interazione degli utenti, ma per far questo non vi è alcun bisogno di pubblicare anzitempo un prodotto non finito, in quanto i veri appassionati non abbandoneranno comunque il gioco e fanno parte di quella fetta di consumatori che ha sempre supportato il lavoro, acquistando in questo caso le, ormai parte del passato, numerose riedizioni del picchiaduro in questione.

Non stiamo quindi parlando di un lavoro che segue la – triste ed infelice per chi si comporta in modo serio – nomea che si son fatti gli Early Access, ovvero quella d’esser titoli mediocri e mai completati, in grado di prender più denaro possibile e poi sparire nel nulla lasciando solo sgomento e delusione dietro di sé, ma di una vera e propria scelta fatta senza un attento advertising: Street Fighter V è un picchiaduro incredibile a dir poco, in grado d’essere il simbolo, nel panorama agonistico, dell’ottimo lavoro di Capcom e del vincente investimento di Sony. difensori di questa scelta commerciale sottolineano appunto come quest’ultima possa “smaltire” i giocatori occasionali, così da permettere ai professionisti di comprendere il prima possibile le meccaniche di gioco e prepararsi al meglio all’arrivo del nuovo contenuto… Se non che questo sarebbe dovuto esser chiarissimo per tutti prima dell’acquisto, senza doversi informare attraverso interviste ed outlet specialistici online, e che il contenuto in arrivo in questo caso non è “nuovo”, ma parte di ciò che oggigiorno si ritiene essere le fondamenta del genere: è persino assente un versus contro la CPU ed una modalità Arcade.

Street-Fighter-VTitoli come Splatoon della Nintendo hanno seguito un concept di rilascio simile, pur non ricevendo un simile schiaffo mediatico a causa di scelte più oculate: il contenuto aggiuntivo ha cominciato ad apparire immediatamente dopo il lancio ed il gioco non mancava di modalità base, con aggiornamenti fissi settimanali ed assenza totale di Season Pass a pagamento presenti nel caso del discusso picchiaduro, che costa ad oggi 90€ includendo quest’ultimo.

È chiaro, Street Fighter V doveva uscire prima della Capcom Cup 2016 e EVO 2016, ma vi è stata una chiara discrepanza fra il prezzo di rilascio ed il contenuto presente sul software e per quanto il valore d’acquisto sia un dato assolutamente soggettivo, è inopinabile che il consumatore medio percepirà disonestà in questa scelta, specialmente in un mercato ove è appunto presente una forte competizione, piena di picchiaduro recenti che offrono, a minor prezzo, molto più contenuto. Fosse stato venduto a 40€ e con le feature mancanti in arrivo al costo di 10€ ciascuna, probabilmente l’intera opinione pubblica sarebbe stata diversa: non si tratta di “maniche corte” o capricci, ma di ciò che potrebbe essere in futuro un precedente pericoloso, dato che al momento tra le mani abbiamo un picchiaduro in cui è persino assente un tutorial per apprendere decentemente le feature di gioco…

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Se i publisher iniziassero a pubblicare più spesso titoli incompleti (non si parla di avere poco contenuto, ma di incompletezza oggettiva) per aggiornarli nel tempo, noi consumatori avremmo il diritto di saperlo. Non è accettabile né onesto che l’acquirente debba fare il giro di blog ed interviste prima di ogni singolo acquisto, il tutto deve essere esplicitato sulla cover di gioco, o perlomeno sul sito ufficiale: la scritta “More to Come”sul sito ufficiale non è una comunicazione minimamente sufficiente o professionale per dichiarare lo stato attuale di Street Fighter V, il quale ha tra l’altro evidenti problemi di server… Anch’essi troppo spesso difesi da una schiera di persone che non si rende conto di come sia opportuno aspettarsi di più. Solo perché è ormai una triste abitudine che i titoli al lancio abbiano sempre problemi di connessione, questo non implica il desiderare che la situazione non cambi: se non si fa sentire scontento, non si riceverà mai ciò che non si chiede.

Senza esagerare, Street Fighter V è uno dei più bei picchiaduro che ho mai provato, pieno di meravigliosi dettagli e di una complessità spaventosa, di cui parlo ampiamente nel video linkato in apertura; vedo il potenziale a fine processo di update di avere un nuovo “Alpha 3” sul mercato, ma se volete un consiglio… Fate altro per ora, comprate il Guilty Gear più recente, esplorate il restante mercato dei picchiaduro mentre la casa nipponica completa e mette a posto questo titolo. Per come stanno le cose al momento e con tutto il cuore, a meno che non siate veri appassionati, se voleste davvero un picchiaduro, anche multiplayer-only, non vi consiglierei mai l’acquisto a prezzo pieno di Street Fighter V, che allo stato attuale rimane di fatto un Early Access (o volendo una “E-Sport Edition”) in grado di offrire davvero troppo poco rispetto alla media dei picchiaduro presenti sul mercato.

E3 2016: svelati i nomi presenti alla nuova edizione

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L’ESA ha diffuso una prima lista dei vari publisher e sviluppatori che saranno presenti all’E3 2016, l’attesissimo evento dedicato al mondo videoludico. Tra i nomi noti  Microsoft, Sony e Nintendo, seguiti poi da altri grandi publisher come Activision, Bethesda, Take-Two, Electronic Arts e Square Enix.

Tutta la lista:

  • 505 Games
  • Activision Publishing, Inc.
  • Alienware
  • ASTRO Gaming
  • ATLUS
  • BANDAI NAMCO Games America Inc.
  • Behaviour Interactive
  • Bethesda
  • Bigben Interactive
  • BlackJack Studio
  • Capcom U.S.A., Inc.
  • CD PROJEKT RED
  • Crytek GmbH
  • Cubicle Ninjas
  • Deckbound
  • Deep Silver, Inc.
  • DGL Toys
  • dreamGEAR, LLC
  • Electronics Arts
  • Epic Games Inc.
  • EZ GAMES & EZ CARDS DISTRIBUTION INC
  • Focus Home Interactive
  • FOKUS BILGISAYAR San Tlc LTD STI
  • Gaijin Entertainment
  • Gameforge
  • GAMELOFT
  • GameSpot
  • Goodgame Studios
  • Grey Box
  • GungHo Online Entertainment Inc.
  • HORI USA Inc.
  • Hyperkin, Inc.
  • IGN
  • Immerex
  • InComm
  • Innex, Inc.
  • InnoGames
  • KOEI TECMO Games
  • Konami Digital Entertainment, Inc.
  • Maximum Games
  • MAYFLASH LIMITED
  • Mecca Electronics
  • Microsoft Corporation
  • Natsume Inc.
  • Nexon America, Inc.
  • Nintendo of America Inc.
  • NVIDIA Corporation
  • Nyko Technologies
  • Oculus
  • Performance Designed Products
  • Phononic
  • Plantronics
  • Prima Games
  • Razer
  • RDS Industries Inc.
  • RIZING GAMES
  • ROCCAT
  • SEGA Europe
  • Sony Computer Entertainment America LLC
  • Sony Computer Entertainment Europe Limited
  • Square Enix, Inc.
  • SteelSeries
  • Take-Two Interactive Software, Inc.
  • Telltale Games
  • Tencent America LLC
  • Tobii
  • Twitch
  • Ubisoft Entertainment
  • UCC DISTRIBUTING INC
  • Virtuix Inc.
  • Virtuos
  • Voyetra Turtle Beach, Inc.
  • Warner Bros. Interactive Entertainment
  • XPEC Entertainment Inc.
  • XSEED Games

I videogiochi possono essere arte? L’esperienza Unravel [SPECIALE]

Cosa è l’arte? Chi è in grado o in diritto di determinare cosa possa esser definito tale? L’arte è un concetto naturale o un’etichetta pensata dall’essere umano? Può un videogioco, bene secondario il cui scopo è divertire ed intrattenere, essere “arte”? Sono giovane, ho seguito studi scientifici e non ho alcuna competenza su simili sofismi, ma mi reputo una persona mediamente sensibile ed intelligente, in grado d’esprimere un’opinione, magari non corretta, ma almeno sensata. Troppo spesso e in ogni ambito si tende a fare di tutta l’erba un fascio, senza considerare le poche, ma importanti eccezioni; questo è inevitabile, l’essere umano è una bestia meravigliosa e piena di sfaccettature, ma per quanto il suo spirito possa desiderare liberta d’espressione, la mente e – purtroppo e per fortuna – anche il cuore fanno costante richiesta di sicurezze, definizioni, punti focali: siamo anime filosofiche ingabbiate in corpi matematici, questo il motivo per cui non saremo mai soddisfatti, mai appagati del tutto… Chi ci ha progettato non sapeva quel che faceva, o si annoiava.

https://youtu.be/_h80zM6u0f0

Ma quindi, il videogioco può essere una forma d’arte? Per rispondere a questa domanda dovrei tornare sulla prima che ho posto, ovvero cosa sia “arte”. La mia risposta? “Dipende”. Allora il videogioco può essere una forma d’arte? “Dipende”. Non conosco la risposta a molte domande, soltanto la mia. Per me, l’arte è più una condizione che una definizione: l’arte si manifesta, non si crea. È uno stato della cosa, non la cosa in se. L’arte tocca la sensibilità umana e lascia un segno: più potente è l’arte – e più sensibile la persona – più intensa e duratura sarà l’impronta lasciata. Ciò che trasmette l’arte non è sempre positivo, anzi: spesso la si ritrova in lavori nati da condizioni fisiche e/o emotive assai negative degli artisti, come malattie, lutti, dipendenze, povertà, odio… Ma anche amore. La mia risposta alla seconda domanda, quindi, è: , il videogioco può essere una forma d’arte, esattamente come una canzone, un quadro, una poesia, una torta. L’arte è assoluta e relativa come la Trinità per un cattolico: sai che esiste, la senti, ma non riesci a darle forma e definizione perché ognuno la immagina e percepisce in maniera diversa, anche se chiunque, posto davanti ad essa, saprebbe riconoscerla per quel che è.

I videogiochi, come ogni cosa, sono cambiati col passare degli anni. Tecnologia, ricchezza e valori morali sono solo alcune delle variabili che ne hanno determinato l’evoluzione in certi casi, l’involuzione in altri, il successo e la notorietà o il fallimento e la scomparsa. Il Darwinismo è sempre più spesso messo in dubbio da questa o quella nuova teoria religiosa o parascientifica, ma di certo si applica in maniera rigorosa alla realtà videoludica. Spero di non offendere nessuno dicendo che se tutti gli uomini e donne senzienti dovrebbero – dovrebbero – essere in grado di percepire l’arte, il discorso cambia nel caso in cui si voglia comprenderla. La “traduzione” di un’opera richiede esperienza, cultura ed empatia, e di fronte all’arte molti di noi – me compresa – si comportano come neonati in lacrime: proviamo qualcosa, senza però saperla spiegare agli altri e nemmeno a noi stessi, al punto, a volte, da non realizzarne nemmeno l’esistenza ad un livello cosciente.

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Dovrei scrivere pagine e pagine solo per elencare alcuni dei potenzialmente infiniti casi particolari – le famose “eccezioni” – che ad un primo sguardo confuterebbero del tutto ogni mia parola scritta finora sull’argomento; per fortuna non sono interessata al proselitismo e il diavoletto cinico che vive nella mia testa mi sta suggerendo di non preoccuparmi, visto che probabilmente nessuno con opinioni diverse dalle mie arriverà mai a leggere fin qui. Un’opera d’arte non deve necessariamente esser figlia di un sol uomo, anzi: tuttavia, il detto “pochi ma buoni” non potrebbe essere più appropriato nel caso si discuta di videogiochi. Se l’unione di più modi di pensare, esperienze e conoscenze può accrescere il valore e la maturità di un’opera, aggiungerne troppi e troppo diversi può risultare controproducente, privando il lavoro finito di una sua identità. Non a caso, l’ultimo Unravel è stato sviluppato da Coldwood Games, team di sviluppo composto da persone molto affiatate fra loro e dal numero relativamente esiguo. Metto subito in chiaro che non ritengo Unravel un titolo perfetto: l’aspetto artistico di un videogioco non è comunque la prima o l’unica componente da giudicare e neppur si tratta dell’unico esempio di “arte videoludica” che mi ha trasmesso qualcosa durante la mia “carriera” da videogiocatrice… Tuttavia, una discussione completa su ogni mia singola esperienza si trasformerebbe in un elenco noioso e logorroico, in questa sede mi limiterò quindi a discutere del giovane Unravel, facendo riferimenti esterni legati esclusivamente a Journey, titolo tanto diverso ma con molto più in comune di quanto appaia ad un primo sguardo.

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Annunciato durante l’E3 del 2015, il gioco è stato distribuito da Electronic Arts il 9 febbraio di quest’anno sia in formato fisico che digitale. Ho provato questo titolo conoscendone nulla o quasi a parte il launch trailer; dopo pochi minuti, mi son trovata confusa su quante sensazioni mi stesse trasmettendo. Il gameplay nudo e crudo è quello di un platform bidimensionale con qualche puzzle, tanto semplice – e per certi aspetti geniale – quanto limitato e tendenzialmente ripetitivo. I livelli sono semplici e gli oggetti segreti molto facili da individuare e recuperare; le uniche difficoltà all’avanzamento sono legate ai comandi non sempre precisi o reattivi e alla fisica un po’ imprevedibile degli oggetti coi quali si dovrà interagire durante la partita. Unravel ci porta a prendere il controllo di Yarny – questo il nome del lanoso protagonista – attraverso una decina di livelli di gioco, ciascuno dei quali avrà musiche ed ambientazioni diverse ed una differente storia da narrare in silenzio. Se a livello puramente tecnico ci troviamo davanti ad un lavoro notevole, ma sicuramente lontano dalla perfezione, Unravel è riuscito a far breccia nel mio cuore ed in quello di molti altri con una splendida colonna sonora e delle ambientazioni ispirate alla realtà bucolica svedese, cui vanno ad aggiungersi le dolcissime animazioni della creaturina rossa che dovremo guidare tra insidie, scoperte e nuove amicizie… Ed è davvero incredibile la potenza emotiva che gli sviluppatori sono riusciti a trasmettere semplicemente tramite le peripezie di un pupazzetto di lana, qualche foto e dei livelli bidimensionali.

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Per sciocco che sia, questo gioco mi ha commossa senza che ne comprendessi inizialmente le ragioni: è stato bello, una volta terminato, poter riflettere sull’esperienza, metabolizzarla ed infine arricchirmi come persona, donna e videogiocatrice. Unravel ci e si racconta grazie alla musica e le ambientazioni di ciascun livello, in maniera simile a Journey: mostra i ricordi di una famiglia, esperienze, periodi ed eventi che nel bene e nel male ne hanno segnato i componenti e che noi, alter ego del piccolo Yarny, scopriremo e raccoglieremo “dentro di noi”, per poi riunirli in un vecchio album di fotografie sotto forma di scatti, note scritte a mano e bottoni ricamati. Unravel è una lenta rivelazione di ciò che è accaduto durante la vita di persone tanto diverse tra loro, eppure unite dalla forza dell’amore: Yarny attraversa giardini, prati, campi innevati, ma anche acquitrini, discariche e cimiteri; assiste allo sbocciare di una relazione, a una delusione lavorativa, a una gita in famiglia, ad un lutto improvviso; conosce i sentimenti di uomini e donne, giovani ed anziani, vivendoli in prima persona proprio grazie ai loro ricordi, al potere della memoria e dell’amore, che – letteralmente – li lega e lo anima. Yarny sa di non far parte del mondo che lo circonda, ma vuole comunque comprenderlo, superandone ogni ostacolo anche a costo della sua stessa incolumità: qualunque cosa accada, l’altro capo della matassa lo ricondurrà sempre a casa. È un pupazzo di lana, ma anche una creatura di pura forza vitale, pura energia, ingenuo e curioso come un bambino, solo con meno “filo” a disposizione per esplorare il mondo e la vita intorno a lui.

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Anche Journey tratta i temi della vita, della crescita e della morte, ma nonostante i due lavori abbiano molti aspetti in comune, presentano differenze notevoli. Yarny è una creatura più antropomorfa, espressiva e concreta del protagonista di stoffa di Journey; il mondo esplorato nel primo gioco è fotorealistico, colorato, a differenza dei livelli del secondo, quasi del tutto monocromatici e pensati per essere essi stessi metafore delle fasi della vita. Entrambi i titoli puntano ad una graduale presa di coscienza del giocatore, ma Journey lo fa in maniera più criptica, spirituale, egocentrica: Yarny conosce la vita di “altri” attraverso i ricordi che raccoglie e fa suoi, mentre in Journey ad esser vissuta è l’esistenza del protagonista stesso, in un ciclo di nascita e curiosità, crescita e spensieratezza, cambiamento e paura, decadimento e fatica, dolore e morte ed infine ascesa, gioia e reincarnazione. 

Unravel non nasconde il rischio di fallire, morire e perder ogni cosa:  non a caso è il gioco stesso a prevedere la possibilità di sbagliare e dunque del “game over“. Al contrario, Journey rappresenta un ineluttabile ciclo vitale, inarrestabile, costante ed in un certo senso invincibile: è il destino a guidare il protagonista nel suo viaggio solitario, la possibilità di incontrare qualcuno durante il suo – e nostro – cammino non rende le cose necessariamente più semplici o complicate, ma di certo diverse, e più o meno belle a seconda del nostro umore durante la partita, in una perfetta metafora degli incontri che ci riserva la vita dal momento in cui apriamo gli occhi per la prima volta. Infine, è soprattutto nella maniera di porsi in rapporto al mondo circostante che Unravel e Journey si distanziano maggiormente. Yarny deve farsi largo tra mille pericoli ed insidie, arrampicarsi e – anche stavolta, letteralmente – districarsi tra enigmi, puzzle, ostacoli e barriere, mentre in Journey tutto risulta più scorrevole, e non per ragioni legate esclusivamente al gameplay: la creatura di stoffa ha dalla sua una capacità misteriosa, in grado di metterla in costante “risonanza” col mondo di gioco, nemici compresi: la realtà è composta dalla stessa materia del protagonista, e questo comunica molto chiaramente di come, dopotutto, l’intero pellegrinaggio che il giocatore affronta è sì la vita del singolo “viaggiatore”, ma anche una vera e propria “esperienza collettiva” di un mondo che si trasforma per noi e con noi, ciclo dopo ciclo, rinascita dopo rinascita.

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A farla da padrone in entrambi i titoli è comunque il comparto audio, che in assenza di dialoghi vede le musiche come mezzo principale per trasmettere emozioni… e in ambo i casi, pur con stili tanto diversi, sviluppatori e compositori hanno fatto centro: riascoltare la colonna sonora mi commuove e fa riaffiorare ricordi anche a distanza di tempo e senza impugnare un controller, e non penso di esser l’unica a provare un brivido nel ripensare ai momenti in cui certe tracce accompagnano gli eventi dei due giochi.

In conclusione, Journey ed Unravel sono o no delle “opere d’arte”? Di certo non si tratta di lavori perfetti, il primo per via di un gameplay quasi nullo e poco rigiocabile, il secondo a causa dei problemi di cui ho già parlato, ma entrambi i titoli hanno lasciato un segno dentro di me e ricordi che difficilmente dovranno essere recuperati in futuro da una dolce creaturina di lana. Non ho mai apprezzato l’arte presuntuosa, volutamente criptica ed astratta, che l’artista deve spiegare per esser compresa da noi “comuni mortali”: la trovo fastidiosa quanto i Season Pass e i DLC Day-One dei videogiochi ed altrettanto costosa e in malafede. Ma non sono qui oggi per recitare il ruolo del bambino de “Il vestito nuovo dell’Imperatore”, non mi piace puntare il dito e dire l’ovvio; ho solo espresso la mia opinione su come un mucchio di dati digitali – sempre più ingombrante col passare degli anni – possa render migliore una persona, semplicemente facendole premere qualche pulsante mentre osserva uno schermo… Unravel, gusti permettendo, è ciò che ogni amante di Journey non dovrebbe lasciarsi sfuggire: diverso, eppur così simile, è un lavoro che racconta una storia di vita quotidiana in un mondo tremendamente comune, ma visto e scoperto dagli occhi di lana di una creatura unica, magica, speciale.

Dark Souls III: Trailer Gameplay ufficiale

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Bandai Namco  ha diffuso il Trailer Gameplay ufficiale di Dark Souls III, l’atteso terzo capitolo del franchise videoludico sviluppato da From Software.

l’attesissimo DARK SOULS III, arriverà il 12 aprile 2016 per PlayStation 4, Xbox One e PC.

DOOM: terza e ultima parte delle 22 ragioni per amarlo

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Arriva oggi l’ultima parte delle 22 ragioni per amare DOOM, un’iniziativa pensata per celebrare il 22 anniversario del titolo che, lo ricordiamo, uscì in tutto il mondo il 10 dicembre 1993 cambiando per sempre la storia dei videogiochi e stabilendo un nuovo termine di paragone nell’ambito degli sparatutto in soggettiva.

In questa ultima parte del’articolo dedicato alla 22 ragioni per amare DOOM trovano spazio alcune delle caratteristiche salienti del gioco come la SnapMap, il motore grafico id tech 6 (che consente al gioco di girare a 1080p e 60 fps su tute le piattaforme) e la ricca modalità multiplayer.

Ecco tutto nel dettaglio:

UAC

Sì, l’UAC (Union Aerospace Corporation) è tornata. Ed è coinvolta in affari piuttosto loschi, come diverrà presto evidente al DOOM Marine. Questo, naturalmente, creerà un discreto caos. Su Marte. Così ha inizio la vostra missione.

SnapMap

A proposito di Marte… “Adoro il fatto che DOOM sia la prima cosa che i programmatori cercano di far girare su un nuovo hardware”, afferma Tom Mustaine, amministratore delegato della Escalation Studios. “Se in futuro gli umani metteranno piede su Marte, immagino che il primo computer che accenderanno avvierà il sistema operativo… e poi DOOM. Giocare in multiplayer a DOOM da Marte alla Terra con un ping ragionevole sarebbe un vero sogno!”.

Sebbene possa sembrare un’esagerazione, la flessibilità offerta da DOOM grazie alla sua innovativa modalità SnapMap farà apparire possibile qualsiasi cosa per i creatori domestici: gli intuitivi strumenti di SnapMap permetteranno di creare mappe a modalità giocatore singolo, cooperativa, multigiocatore o altri tipi di esperienze di gioco. Sviluppato da un team parallelo di Escalation (letteralmente seduto accanto al team di DOOM di id Software), l’obiettivo di Mustaine era semplice: “Permettere a chiunque di divenire un creatore!”.

Per Mustaine, questo punto è fondamentale, poiché il DOOM originale ha assunto un ruolo cruciale nel suo percorso di sviluppatore di videogiochi. “Col tempo, il DOOM originale è divenuto un portale per infiniti contenuti, fornendo una via per lo sviluppo professionale di videogiochi per me e per molti altri appassionati come me”, spiega. “Essere in grado di prendere un’idea, modellarla in un pacchetto scaricabile e condividerla con il mondo è qualcosa in cui il DOOM originale è stato pioniere. Con SnapMap, vogliamo ampliare tale esperienza per rendere disponibili ai giocatori contenuti illimitati, nonché la possibilità di creare, modificare e condividere con facilità.”.

Deathmatch

Vuoi creare una modalità Deathmatch con SnapMap? Nessun problema. Ricorda, questa leggendaria modalità multigiocatore è stata inventata dal DOOM originale. È divenuta così popolare, che nel gennaio 1993 è stata definita “la causa numero uno della riduzione di produttività nelle aziende di tutto il mondo!”

Altre modalità multigiocatore

Il Deathmatch è solo una delle modalità… ehm, ammazza-produttività del nuovo DOOM. Che altro possono aspettarsi i giocatori? “Vogliamo promuovere lo stile di multigiocatore vecchia-scuola presso l’attuale generazione di giocatori e console”, spiega il capo programmazione multigiocatore Evan Eubanks. “Speriamo che l’introduzione delle nostre meccaniche con i demoni, le nuove modalità, le armi, la personalizzazione di giocatore/armi e altri aspetti piacciano ai vecchi fan e ai nuovi”.

Insieme ad altri programmatori della id, Eubanks lavora con un team di Certain Affinity, uno studio di Austin con una lunga storia di sviluppo multigiocatore alle spalle. Insieme, non solo stanno reinventando il Deathmatch, ma anche dando vita a nuove versioni innovative delle classiche modalità, compresa la frenetica Via della Guerra, che eleva la formula “cattura la bandiera” incorporando un punto di cattura in continuo movimento.

Questa combinazione di meccaniche di gioco classiche e miglioramenti moderni rende il multigiocatore la parte preferita del gioco per Eubanks: “Ovviamente, sono di parte”, ammette, “ma non vedo l’ora che un gioco riporti in auge i vecchi sparatutto stile-arena con cui sono cresciuto”.

Nuove armi multigiocatore

Oltre a nuove modalità, mappe creative e opzioni di personalizzazione innovative, il multigiocatore di DOOM vanta anche due nuove armi: il cannone statico e il fucile Vortex. “Quando proverete il gioco, vi renderete subito conto di quanto siano potenti e divertenti queste armi”, promette Eubanks.

idTech 6

Le armi non sono l’unica cosa potente di DOOM. Ci vuole un motore di gioco formidabile per creare uno degli sparatutto più veloci e intensi di sempre. Ed ecco idTech, un motore creato su misura che ha supportato tutti i DOOM e molti altri giochi di vari studi. Sviluppato da un team guidato dal veterano nonché direttore tecnologia della id, Robert Duffy, il team tecnologico si è evoluto includendo alcuni tra i migliori talenti di Crytek (un altro studio noto per la sua vocazione tecnologica), che ha lavorato a fianco di altri veterano della id e con il nuovo studio id in Germania.

“Molti membri del nostro team tecnologico lavoravano alla Crytek, quindi li conosciamo e collaboriamo con loro da tempo”, spiega il capo programmatore rendering Tiago Sousa, nella id da un anno e mezzo, “È stata un’unione interessante e produttiva, che ci ha portato ad apprendere le basi dell’idTech e a ricercare dove e come intervenire per migliorarlo”.

Con il debutto di un nuovo DOOM, arriva un nuovo motore: idTech 6. Che cosa possono aspettarsi i giocatori dall’idTech 6? “Vogliamo che la gente si chieda come fanno DOOM e l’idTech 6 a essere così visivamente incredibili a 60 frame al secondo in 1.080p su tutte le piattaforme, quando gli altri titoli non riescono a ottenere simili risultati neanche con 30 frame al secondo”, afferma il capo programmatore progetto Billy Khan. “Il nostro obiettivo consiste nel creare il gioco dall’aspetto migliore in 1.080p a 60 fps”.

Ma per Khan non contano soltanto i numeri. “L’idTech 6 permette a grafici e progettisti di decorare rapidamente il mondo di gioco con dettagli notevoli., “Il renderer su base fisica e il sistema d’illuminazione dinamica dell’idTech 6 permettono ai nostri grafici di ottenere personaggi e ambienti più realistici e incredibili che mai”. Tutto concorre a creare un gioco veloce e coinvolgente a frame rate fluidi.

Per Sousa, lavorare con il motore idTech 6 è un sogno, nonché un’occasione di “ripagare” la id per aver ispirato la sua carriera di sviluppatore di videogiochi. “La id è stata una grossa fonte d’ispirazione in gioventù e nel corso della mia carriera: “DOOM è stato un titolo pioniere sotto diversi aspetti. Molte meccaniche degli sparatutto in soggettiva moderni sono ispirate al DOOM originale, mentre dal punto di vista tecnologico è stato il primo gioco a utilizzare texture in 2.5D e approssimazione d’illuminazione quando i PC erano ancora molto lenti, non c’era ricerca né condivisione di informazioni. Il mio sogno non è certo modesto, ma vorrei contribuire a riportare l’idTech in cima alle tecnologie moderne”.

Creare una visione

Occorrono gli sforzi congiunti di id Software, Certain Affinity (multigiocatore) ed Escalation Studios (SnapMap) per dare vita a DOOM. Al timone di questa impresa c’è il team di produzione di id. Guidato dal produttore esecutivo Marty Stratton, il team di produzione non solo gestisce le cose, ma aiuta a stabilire e dirigere la visione complessiva del gioco. È un compito importante, che richiede continuo adattamento, proprio come DOOM…

“Ci troviamo a ripeterlo spesso, ma quando si gioca a DOOM non si può mai fermarsi”, afferma Stratton, “Se ti fermi, muori. La combinazione di velocità, armi, quantità di nemici e mosse di uccisioni epiche creano una sensazione molto aggressiva e un flusso di combattimento coinvolgente, che ritengo unico negli attuali sparatutto in soggettiva.”.

Per il responsabile generale Garrett Young, veterano dell’industria recentemente approdato alla id, l’intero team ha molto di cui andare orgoglioso. Oltre ai risultati del suo sviluppo, DOOM segnala anche la rinascita di uno studio storico. “Sono fiero del team che abbiamo messo insieme, probabilmente il migliore di sempre qui alla id”, afferma Young. “Non stiamo solo creando un magnifico DOOM, ma anche uno studio. Stiamo riunendo talenti che potranno creare grandi giochi ora e nel futuro. È il mio team ideale nel mondo dell’industria odierna. Direi che è un momento emozionante per trovarsi alla id.”

The Division: Ubisoft svela Collapse, il simulatore

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Tom Clancy’s The DivisionUbisoft annuncia il lancio di Collapse, un’esperienza interattiva in grado di mostrare con quanta rapidità un virus possa diffondersi, portando al collasso totale della società: lo stesso scenario su cui si basa il nuovo gioco di ruolo e d’azione online

Collapse è un’esperienza interattiva online che utilizza dati reali per creare una simulazione coinvolgente e personalizzata della fine della società moderna. L’utente è il paziente zero di un virus estremamente contagioso e dovrà fare delle scelte che avranno conseguenze pratiche sulla diffusione della pandemia.

Basato sui dati di OpenStreetMap, oltre che su dati open source della NASA e rotte aeree della IATA, con il contributo di alcuni esperti di gestione delle emergenze e operatori pubblici, Collapse include più di 3.800 città, che attualmente ospitano ben il 95% della popolazione mondiale. L’utente può confrontare i vari scenari, selezionando un diverso epicentro o facendo altre scelte nel simulatore, per individuare le città più vulnerabili e quelle più sicure.

Il simulatore è basato sulla trama di Tom Clancy’s The Division. Il gioco è infatti ambientato in una New York in piena crisi e devastata da un virus letale, il vaiolo Chimera. Viene così attivata la Divisione, un’unità segreta di agenti speciali in grado di agire autonomamente per riportare l’ordine e riprendere il controllo della città.

Collapse è un drammatico promemoria della fragilità e della complessità dei sistemi interdipendenti sui quali contiamo ogni giorno, come elettricità, trasporti, comunicazioni, banche e ospedali. Quando uno di loro crolla, gli altri sono destinati a precipitare nel giro di pochi giorni. Collapse mostra con quanta rapidità crollerebbe il nostro mondo in caso di una pandemia simile a quella di Tom Clancy’s The Division, aiutando così a comprendere meglio lo scenario del gioco.

Per provare Collapse e scoprire con quanta rapidità crollerebbe la propria città, visitare: http://collapse-thedivisiongame.ubi.com.

Tom Clancy’s The Division sarà disponibile per Xbox One, PlayStation 4 e PC dall’8 marzo.

Uncharted 4: l’incredibile story trailer

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Guarda l’incredibile story trailer di Uncharted 4: Fine di un Ladro, il nuovo capitolo del franchise d’avventura Uncharted.

https://youtu.be/oU8CQbzkpwc

Hitman: l’opening cinematic trailer

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Io-Interactive e Square Enix hanno diffuso il nuovo opening cinematic trailer di Hitman:

HITMAN sarà lanciato l’ 11 Marzo per PlayStation 4, Xbox One e PC. La beta di HITMAN sarà disponibile dal 12 al 14 Febbraio su PlayStation 4 e dal 19 al 21 Ferbbraio su PC. I giocatori che effettueranno il pre-order dell’Intro Pack o del Full Experience avranno accesso garantito alla Beta.

Tutti i pre-order prevedono il ‘classico’ REQUIEM pack che include degli elementi digitali esclusivi in-game ispirati da Hitman: Blood Money tra cui la tuta bianca Requiem Legacy, la camicia Blood Money, cravatta e guanti, un silenziatore cromato ICA-19 ed esplosivi.

Gli utenti PlayStation avranno anche accesso a The Sarajevo Six. 6 Bonus Contracts, ognuno di questi sarà rilasciato con ogni location e vedrà l’Agente 47 viaggiare per il mondo alla ricerca di sei ex membri di un’ unità paramilitare chiamata CICADA, questa storia secondaria è in esclusiva per gli utenti PlayStation 4.

Far Cry Primal: tutti i dettagli del nuovo titolo Ubisoft

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Ubisoft annuncia che Far Cry Primal, il nuovo ed emozionante episodio della serie di Far Cry, è ora disponibile in tutto il mondo per PlayStation 4 e Xbox One. Far Cry Primal porta la rinomata esperienza sandbox nell’età della pietra tra mammut e tigri dai denti a sciabola, in uno scenario liberamente esplorabile dove il giocatore dovrà lottare per sopravvivere e raggiungere il vertice della catena alimentare. Far Cry Primal sarà disponibile anche per Windows PC dal 1° marzo.

Sviluppato dallo studio Ubisoft di Montreal, Far Cry Primal è ambientato nella maestosa terra di Oros nel 10.000 a.C., la prima vera frontiera dell’umanità. Vestendo i panni di Takkar, un esperto cacciatore e l’ultimo sopravvissuto del suo gruppo, i giocatori dovranno affrontare i tanti pericoli dell’età della pietra. Per riuscire a trovare, salvare e proteggere tutti i membri dispersi della tribù Wenja, Takkar dovrà costruire un arsenale di armi letali, respingere feroci predatori e superare in astuzia le tribù nemiche, diventando un vero superpredatore.

Takkar avrà a disposizione una vasta gamma di armi, tra cui il letale arco doppio, le bombe di api e persino il fuoco, ma potrà disporre anche della speciale abilità di addomesticare e comandare alcuni animali selvatici. In qualsiasi momento potrà infatti richiamare animali come il gufo o il tasso per eliminare i nemici, perlustrare una zona o creare un diversivo durante una battaglia e una battuta di caccia. Grazie al prezioso aiuto di questi insoliti alleati, i Wenja potranno svilupparsi e ritrovarsi, malgrado la natura spietata di Oros e dei suoi abitanti.

Nei territori EMEA, altre alla versione base, è disponibile la Far Cry Primal Collector’s Edition, che garantirà a ogni appassionato di Far Cry i migliori contenuti per sopravvivere nella selvaggia terra di Oros.

Questa speciale edizione da collezione include:
Contenuti fisici
Il gioco Far Cry Primal.
Un esclusivo cofanetto da collezione con l’apertura a forma di teschio di tigre dai denti a sciabola.
Il dizionario ufficiale della lingua Wenja: la tua guida completa a Oros, con diverse parole e frasi utili da usare nel gioco. È una raccolta sintetica del lavoro di molti esperti, che hanno creato un linguaggio unico e basato sul protoindoeuropeo appositamente per il gioco.
Una confezione Steelbook esclusiva.
La mappa di Oros.
La colonna sonora ufficiale del gioco e alcune registrazioni audio in Wenja per scoprire le basi della lingua ufficiale di Far Cry Primal.

Contenuti digitali: tutti i contenuti digitali disponibili, tra cui il pacchetto completo “La leggenda del Mammut”, una nuova arma e 4 pacchetti di potenziamenti.
• “La leggenda del Mammut”: 3 missioni extra per quasi 45 minuti di gioco aggiuntivi, in cui il giocatore avrà l’opportunità unica di impersonare uno degli animali più maestosi di Oros, il mammut, con cui potrà annientare i nemici e difendere il suo branco da predatori e umani.
o Duello tra creature: lo spirito di un potente rinoceronte ha osato sfidare la tua immensa forza. Riafferma il tuo dominio e affronta il rinoceronte con il suo branco in uno scenario molto insidioso.
o Il vecchio mammut intrappolato: alcuni spietati cacciatori hanno intrappolato il leader del tuo branco. Distruggi il loro accampamento e guida il vecchio mammut verso la libertà.
o Caccia il cacciatore: è arrivato il momento di vendicarsi. Guida il tuo branco per distruggere chiunque minacci la sopravvivenza della tua specie.
• Una nuova arma, la clava insanguinata: una clava insanguinata fatta di ossa e denti, un tempo posseduta da Ull, il feroce leader degli Udam. Quest’arma è indistruttibile e non può essere bruciata dalle fiamme.
• 4 pacchetti di potenziamenti che consentono di accedere in anticipo a risorse rare e opzioni di personalizzazione uniche.

The Town of Light, l’anteprima: l’orrore di un ospedale psichiatrico in un videogioco

Si può fare un gioco prendendo come spunto le malattie mentali? Sicuramente si. Nel panorama videoludico esistono molte esperienze del genere, ma con The Town of Light lo studio LKA*it ha voluto fare un passo oltre. La legge Basaglia ha chiuso i “manicomi” negli anni ’70, ma queste strutture rimangono ancora in piedi, abbandonate nella maggior parte dei casi, come succede per il vecchio ospedale psichiatrico di Volterra. Proprio in questa ambientazione devastata è stato ambientato The Town of Light.

Gli ambienti sono stati riprodotti con una fedeltà al limite del fotorealismo, facendo sprigionare da ogni luogo la tremenda sensazione che ancora questi posti pulsino delle ombre delle persone che per troppo tempo sono state ospiti della struttura. Naturalmente i creatori del gioco hanno inserito degli elementi di fantasia, ma senza deturpare la realtà, solo modellandola alle esigenze del gameplay. Il gioco si svolge su due piani temporali distinti: il presente, nel quale ci muoviamo attraverso gli ambienti, e il passato, rappresentato dalle vicende della co-protagonista, Renée. La ragazza ha vissuto all’interno dell’Ospedale da prima della Seconda Guerra Mondiale fino alla chiusura del sanatorio. Già da tempo sulla pagina ufficiale FB del gioco si possono leggere i diari della ragazza, creati appositamente per farci immergere ancor più in profondità nelle viscere dalla sua vita. Saremo gli unici compagni di viaggio in questa esperienza che è difficile chiamare semplicemente “videogioco”.

Si tratta di un horror, questo è certo, ma la narrazione, l’immersione profonda nel flusso di pensieri di Renée, lo rendono qualcosa di più, quasi fosse un documentario interattivo che ci inchioda alla sedia. Giocando ci siamo trovati di fronte ad un dualismo: da una parte volevamo proseguire nelle nostre scoperte, ma dall’altro eravamo spaventati, anzi più correttamente ci siamo sentiti a disagio, da quello che potevamo scoprire di nuovo, terrificante, doloroso. La sensazione sgradevole di sapere che quelle vicende, quei fatti, seppur romanzati, possano essere stati vissuti da uno degli ospiti degli Ospedali Psichiatrici, ci ha provocato una serie di emozioni forti e incredibilmente coinvolgenti. Possiamo anche abbandonare la linea narrativa principale per dedicarci all’esplorazione degli ambienti e alla scoperta di elementi che non fanno altro che arricchire l’esperienza complessiva.

Verremo inoltre a conoscenza di molti dettagli che riguardano sia la vita degli ospiti di queste strutture che delle strutture stesse, entrando ancor più in empatia con coloro che hanno subito per anni, addirittura interi decenni, la reclusione forzata. I metodi di cura, le varie forme di malattie psichiatriche, le aberrazioni compiute in quei luoghi si amalgamano con le vicende di Renée, facendoci piano piano affondare ancor di più nelle paludi di quel terrore reale e palpabile che è stato il ricovero negli Ospedali Psichiatrici. Non è stato sicuramente facile costruire una storyline così di impatto, sono occorsi anni per reperire le informazioni, per renderle omogenee all’impianto narrativo, evitando che si creasse una dicotomia tra la storia e le spiegazioni sulla vita nei manicomi.

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Così come è stato fatto un lavoro certosino per la narrazione, anche per quel che riguarda l’impianto grafico siamo rimasti positivamente stupidi dalla maniacale cura dei dettagli che è stata riposta nella realizzazione sia degli esterni che degli interni. L’esplorazione esterna ci mostra i vecchi padiglioni dell’istituto psichiatrico resi con un livello di dettaglio che li rende difficilmente distinguibili da quelli reali. Gli interni sono stati arredati con una serie di elementi utili alla struttura narrativa. Qua l’impegno a non scostarsi da quella che era comunque la realtà delle vecchie stanze, ormai spoglie e brulle, è stato importante, perché nonostante si sia evidentemente lavorato di fantasia, non c’è una sola nota stonata in tutta l’architettura. La cosa che colpisce è che tutta la realizzazione non è stata fatta con modelli pre-calcolati.

Ogni ambiente è completamente interattivo, illuminato da un sistema di illuminazione dinamico, abbellito da una serie di effetti particellari come ad esempio la polvere che si illumina colpita dai raggi del sole che filtra dalle finestre. Questo però ci fa pagare un prezzo altissimo in termini di prestazioni. Purtroppo per godere appieno della maestosità grafica realizzata da LKA*it bisogna avere un PC di elevata potenza, dotato di una scheda grafica che possa supportare adeguatamente il rendering, gli effetti di luce e tutti gli innumerevoli filtri che rendono The Town Of Light un’esperienza realmente appagante per la vista. Il gioco è stato pensato già dagli esordi per essere giocato in maniera ottimale utilizzando la Realtà Virtuale e siamo sicuri che, essendo già immersivo attraverso un semplice monitor, sarà sicuramente ancor più coinvolgente una volta indossato l’HMD (Head Mounted Display).

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La cosa che ci sconvolge, positivamente, è che questa realizzazione sia frutto di un team indipendente tutto italiano, il succitato LKA*it, che ha inizialmente raccolto fondi attraverso una piattaforma di crowfounding, ma che poi ha iniziato a muoversi sulle proprie gambe, grazie alla solidità del progetto che sono riusciti a  presentare. Il team ha ricevuto molteplici riconoscimenti sia in ambito nazionale che internazionale, attirando l’attenzione di un pubblico sempre più ampio. Siamo abituati a considerare il mondo indie come qualcosa di innovativo, ma sempre relegato a produzioni “low-budget” che quindi realizzano prodotti validi ma dalle grosse limitazioni tecniche, soprattutto in ambito grafico.

Ci troviamo invece davanti a una produzione che non ha assolutamente nulla da invidiare alle grosse case di produzione, che ammorbano purtroppo il mercato con prodotti fotocopia. Inoltre molti difetti e bug delle precedenti release sono stati corretti, rendendo l’esperienza più fruibile. In passato abbiamo riscontrato problemi tecnici, come ad esempio la perdita dei salvataggi, ma la build da noi testata ci è sembrata stabile.

Il gioco sarà disponibile su Steam dal 26/02/2016 e possiamo assicuravi che se nella versione definitiva saranno mantenute le premesse della build di preview che ci è stata fornita, ci troveremo sicuramente di fronte ad un titolo valido, dove una storia coinvolgente ed una grafica stupefacente si integrano alla perfezione, portandoci direttamente nell’oscuro abisso della Città della Luce.