Un ritorno inatteso, ma pur sempre gradito, quello di Alone in the Dark, il titolo di questa nostra recensione su console PS5. Dobbiamo tornare di parecchio indietro con la memoria, e precisamente al 1992, quando un tale di nome Frederick Raynal inventò un genere che oggi conosciamo tutti come survival horror. Tanta paura e suspense, enigmi infernali (sotto il profilo della complessità e del ragionamento), una storia intrigante e dei personaggi misteriosi e ambigui, il tutto condito da atmosfere in perfetto stile lovecraftiano. Ovvero, creature aberranti e tentacolari, con una continua e costante sensazione di confusione sul cosa e come farlo.
Il tempo è passato – precisamente oltre 30 anni – e il ritorno a Villa Derceto viene servito con un fisiologico formato Remake. Al netto della storia e della caratterizzazione dei personaggi, rimasti fedeli all’opera originale, le componenti grafiche e gameplay subiscono un importante (e doveroso) intervento di restyle. Anche la pianta originale dell’immobile è stata rivista, fermo restando alcune chicche che provengono dal passato. Le sessioni “all’esterno”, su tutte, profumano di aria fresca.
Vi sono, però, alcune scelte che lasciano il tempo che trovano. Tra queste segnaliamo la volontà di non accelerare il ritmo generale del gioco, che si presenta estremamente lento e compassato. Un chiaro anacronismo rispetto ai tempi che corrono, che consentono di apprezzare oltremodo la componente esplorativa ma che castra completamente quella action. Il sistema di controlli si dimostra, infatti, poco reattivo, così come la velocità della telecamera. I risultati, nelle sequenze in cui siamo a tu per tu con le entità paranormali, non sono dei migliori. Lasciamo il testimone alle parole della nostra recensione di Alone in the Dark, titolo, vi ricordiamo, giocato su console PS5.
Bentornati a Villa Derceto con Alone in the Dark
Chi di voi ricorda la prima avventura svolta nella lugubre Villa Derceto? Correva l’anno 1992, ed un tale di nome Frederick Raynal decise di gettare le basi per un genere che oggi tutti conosciamo come survival horror e che ha visto numerosi interpreti illustri. Giusto a titolo di esempio: Resident Evil, Dino Crisis e Silent Hill. Probabilmente, nemmeno lo stesso sviluppatore francese si rese conto della gallina dalle uova d’oro che aveva concepito, ribattezzando il neo nato come un’avventura dinamica. Come non dargli torto all’epoca, ma solo adesso ci si rende conto meglio della sua lungimiranza.
Alone in the Dark ripropone, quindi, quell’avventura che girava su MS-Dos ed altre piattaforme “da museo”. Emily Hartwood ed Edward Carnby, selezionabili all’inizio della partita, ci accompagnano nella discesa della tenebrosa villa in una Luoisiana degli anni ’30. Una casa di riposo per artisti, sulla carta, dove la giovane protagonista cerca di ritrovare suo zio, misteriosamente scomparso senza lasciare alcuna traccia di sé. In verità queste ci sono, ed è nostro il compito di scovarle per portare a galla la verità che si cela dietro ogni porta di villa Derceto.
Tra sogno (o forse è più giusto parlare di incubo) e realtà, ogni cosa all’interno di questa magione è vincolata ad una logica causa-effetto. Le meccaniche base di gioco prevedono il “porta-centrismo”, ossia per andare avanti nella storia occorre sempre trovare una chiave ed aprire una porta. Gli enigmi sono (quasi) tutti legati a doppio filo con gli asset base del gioco – storia, personaggi, documenti e scenario – indi per cui non si possono skippare e procedere oltre se ci si accorge che la sfida è “apparentemente” non alla nostra portata (anche se, il più delle volte, ci si rende conto che è solo una questione di memoria e forza di volontà).
Di survival, in verità, c’è ben poco. Non essendoci un crafting legato a dei componenti primari, basta solo prendere bene la mira e non farsi divorare da “inutili” ansie da mostri (che avanzano inesorabilmente verso di noi e che sembrano immuni ai nostri proiettili). Gli scary moment sono all’ordine del giorno in Alone in the Dark, fatevene una ragione. Insomma, è il classico gioco che va giocato al buio (e magari soli a casa, con un bel temporale ed una pioggia scrosciante). Non lo suggeriamo noi, il titolo parla piuttosto chiaro.
Un survival horror che profuma di (troppo) classico
I tempi dei survival horror appartengono, ormai, ai ricordi legati al nostro passato da giocatori, quando da neo adolescenti ci chiudevamo in camera per morire “masochisticamente” di paura (per poi condividere l’esperienza con i nostri amici, mentendo spudoratamente e facendo finta di essere dei veri “macho”). Dai bei tempi andati a quelli attuali, che hanno visto un grande classico come Resident Evil tornare al pubblico in una formula meno survival e più action. Non ci sentiamo assolutamente di condannare la scelta di Capcom e similari, per quanto una lacrimuccia ci è pure consentita.
Alone in the Dark, invece, decide di navigare contro corrente, riproponendo un classico in versione “classica”. Piccola e doverosa premessa: sia graficamente che sul fronte controlli, siamo di fronte ad un remake puro. Ok per la trama ed i personaggi – che già nel 1992 erano coerenti e ben costruiti – ma per il resto è, a conti fatti, un gioco nuovo. Esaurita questa doverosa premessa, il mood generale è anacronistico. Tutto molto lento e poco reattivo, così come era un tempo. È un attimo finire in mezzo ad uno stuolo di creature aberranti senza conoscere, con chiarezza, i motivi alla base del nostro trapasso. Solo urla lancinanti e il tentativo di estrarre l’arma e prendere la mira. Game-Over, grazie e arrivederci.
La poca responsività dei controlli si riflette anche sulla telecamera, che si dimostra – spesso e volentieri – di non reggere il passo con il ritmo della scena. Bene le cut-scene, al posto giusto e al momento giusto, in grado di garantire uno sviluppo cinematografico dell’esperienza di gioco. Lato immersività, al netto delle defezioni prima citate, il lavoro di restauro è di pregevole fattura. Certo, un minimo di cura in più sull’espressione e sulle animazioni dei personaggi non sarebbe stato un male, ma visto il tenore della produzione non ci sentiamo di calcare la mano su questo aspetto.
Quando i videogiochi ci obbligavano a riflettere
Alone in the Dark ci mette davanti ad una scomoda verità, che in questi anni abbiamo preferito nascondere come la polvere sotto il tappeto, ovvero non siamo più abituati ad impegnarci in ragionamenti complessi. Pieces Interactive compie un lavoro magistrale nel riproporre un gioco “dimenticato” dai gamer più attempati, che ancora ricordavano, però, alcune chicche rimaste sepolte nella memoria. Chi, invece, giunge per la prima volta dalle parti di Villa Derceto, si trova dinnanzi ad un qualcosa di estremamente lento e compassato, che richiede ulteriori sforzi nella risoluzione di enigmi bloccanti per il proseguo dell’avventura.
La verità, per quanto dura, è da accettare. Al netto dei suoi difetti tecnici – è già ampiamente discussi – Alone in the Dark è una finestra sul passato, che ci ricorda come erano i videogiochi di un tempo, dove le richieste di memoria, creatività ed intelletto erano dei requisiti base prima di stringere il pad tra le mani. Oggigiorno, il fattore sfida si è spostato altrove, e non ci sentiamo di condannare le scelte fatte dagli sviluppatori negli ultimi anni, anche perché sono lo specchio delle generazioni. I jRPG hanno lasciato spazio agli aRPG, e l’unico a resistere imperterrito negli anni sembra essere solo l’immortale soulslike.
I survival horror classici sono, ahinoi, delle reliquie da museo, adatte solo a chi ha voglia di farsi un bel tuffo nel passato, prendendosi i giusti tempi, e anche ingoiando qualche inefficienza di troppo.