Le sabbie del deserto nascondono una storia fatta di disperazione e speranze, riportate alla luce da Atlas Fallen, il titolo di questa nostra recensione per console Xbox Series X. Focus Entertainment e Deck 13 presentano un action RPG che vuole prendere le distanze dal mondo dei souls, puntando molto sulla velocità e un ritmo fast paced. Il gameplay che ne deriva è frizzante e non troppo complesso, con una curva di apprendimento non molto ripida e che centellina le cose da imparare.
Una scelta che paga bene, e che sopperisce le carenze importanti di un comparto narrativo che non spicca nè per storia e nè tantomeno per personaggi. Un vero peccato, anche perchè il mondo di gioco meritava di essere “raccontato” e vissuto al meglio. Sotto il profilo grafico, il plauso va all’engine proprietario Fledge, ancora acerbo ma sicuramente promettente. Meglio a 60fps che a 30fps, questo è indubbio.
E senza indugiare oltremodo, vi lasciamo alla nostra recensione di Atlas Fallen, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Una speranza tra le sabbie
In un mondo che ricorda moltissimo gli scenari del capolavoro cinematografico Dune, Atlas Fallen ci racconta una storia di un popolo dominato da uno spietato Dio del Sole che non lascia nulla ai suoi sudditi, se non che sabbia e disperazione. I dominati, ridotti in schiavitù, vivono nel ricordo dei tempi che furono, e di quell’unico tentativo di ribellione, terminato anni orsono in una strage senza precedenti.
Il destino fa riemergere dalle sabbie dimenticate del tempo un guanto del potere, dove, al suo interno, giace uno spirito guida pronto a reclamare la sua memoria dissolta tra le dune e disseminata nel regno. Nei panni di un eroe senza nome e con un futuro già scritto (e non propriamente roseo), raccogliamo questa pesante eredità, che ci obbliga a sfidare a viso aperto i malvagi adepti di questa spietata divinità, tra cui la temibile e perfida Regina.
Esaurite le premesse narrative di Atlas Fallen, notiamo alcune lacune importanti in due assett fondamentali del videogioco: personaggi e narrazione. Per quanto la storia non spicchi per originalità (e sfidiamo, oggigiorno, a trovare qualcuno in grado di edificare una trama che sia tale) le parti in causa si dimostrano tutte assenti da spessore. Meri riflessi della storia, con la componente del dialogo a scelta multipla che non da luogo a nessuna interazione “diversa” dal normale flusso narrativo.
Un discorso analogo anche per quello che riguarda la storia, che non da luogo ad alcun colpo di scena e con le informazioni “cardine” riservate sempre nei soliti passaggi obbligati. Queste due mancanze influiscono negativamente sull’alimentazione della tipica curiosità di matrice openworldiana, sapendo già che il mondo non nasconde nulla di imperdibile.
La furbizia di Deck 13 è stata quella di non appesantire troppo il gameplay con formule di derivazione souls, come già accaduto nelle loro due precedenti esperienze The Lords of Fallen e i due capitoli di The Surge. Sicuramente figlie del tempo ma che non esprimevano forse al meglio il talento creativo a disposizione. Forti di questa eredità – e sicuri di poter meglio impiegare il loro engine proprietario Fledge – la volontà è stata quella di costruire un qualcosa di molto più action, disimpegnato (sotto il profilo RPG) e caratterizzato da una componente esplorativa veloce e dinamica.
E ci sono riusciti alla grande, edificando un gameplay sempre frizzante e coinvolgente. La strategia, inoltre, del non svelare “tutto e subito” è anche funzionale alla decisione presa di invertire la rotta rispetto al passato. Il rammarico arriva, purtroppo, dalle scelte fatte sul fronte narrativo.
Surfing tra le dune
Quanto ad originalità, la componente esplorativa è forse la migliore cosa che si sia vista in questi ultimi anni dalle parti del mondo dei videogiochi. Fare del sano surfing tra le dune di sabbia, un perfetto mix di genio e sregolatezza. Per quanto la dimensione della mappa non spicchi per grandezza, cavalcare le onde di questa vasta distesa desertica è decisamente molto meglio di premere sul tasto “viaggio rapido”. Il design delle ambientazioni non offre, di certo, degli scorci alla Horizon Zero Dawn – titolo a cui gli sviluppatori si sono voluti ispirare per l’ideazione di Atlas Fallen – ma questo oceano sabbioso nasconde delle insidie di cui è meglio guardarsi.
Il bestiario, in perfetto stile RPG, è suddiviso in livelli di potenza e prevede nemico base, mini boss e boss. Il loro spawn è “quasi casuale” e mai singolaremtega. La loro sconfitta concede l’ottenimento di alcuni elementi di loot, quali valuta in game e materie prime pro-potenziamento. Interessante, invece, la possibilità di combattere con i nemici sia in cielo che in terra.
Per quanto concerne, invece, l’arsenale a disposizione, vi sono dei chiari ed evidenti rimandi al capolavoro di Santa Monica Studio God of War. L’utilizzo di 3 armi – un’ascia, una lama con catena e un guanto – tutte potenziabili con un livello di crescita che prevede tre “ascensioni” (le evoluzioni delle armi vengono così identificate) e con elenco di combo già ben identificato. Le cosiddette “chain” non sempre vanno a buon fine, dando la colpa, talvolta, all’eccessiva frenesia del gameplay.
In tal caso, è facile perdersi un tasto per strada, utile al completamento della sequenza pro-combo. Non ci mettiamo la mano sul fuoco, ma ogni tanto succede anche che non “entra” e la chain si va a far benedire ( e che guarda caso accade nei momenti in cui ci sono troppi nemici a schermo).
Resta il fatto che, sotto il profilo della stabilità, quelli di Deck 13 hanno compiuto un buon lavoro. Giocato in modalità “pro fps”, i 60fps sono granitici, pagando, però, una “scarsa” pulizia grafica in genere. La risoluzione, infatti, si abbassa di parecchio, come anche il livello di dettaglio. Lo stesso elemento della sabbia, diventa fastidioso alla vista, creando delle situazioni di confusione grafica non desiderate. La presenza della photo-mode, sotto quest’aspetto, non mente.
La pretesa dei 4K può anche essere esaudita senza grossi problemi, ma i 30fps pesano come un macigno di proporzioni esagerate. Il famoso “fast paced” si va a far benedire, così come tutto il contesto voluto dagli sviluppatori. L’errore è stato quello di non puntare tutto sulla presenza di una sola modalità, che poteva avere ragione di esistere allorquando tutti i suoi aspetti minimali non finivano sotto la scure del downgrade.