Correva l’anno 2017 quando Ubisoft annunciò al mondo intero che l’universo di Avatar avrebbe ospitato anche un’esperienza in formato videoludico. Il nome di Avatar: Frontiers of Pandora sarebbe poi stato svelato a qualche anno di distanza, in occasione di un trailer proiettato nel corso dell’E3 2021, ed oggi eccoci qua, a commentare un nuovo viaggio sul pianeta Pandora. La nota multinazionale franco-canadese affida il compito a Massive Entertainment, dando sin da subito l’impressione che il titolo in cantiere non sarebbe stato una “passeggiatina”.
Metteteci, poi, la pandemia e le problematiche legate al distanziamento sociale e il sovraffollamento, e gli slittamenti sono stati una conseguenza inevitabile. La sfida non era facile, con un confronto da far tremare le gambe. Le scelte “furbe” sono state quelle di ereditare il contesto già costruito a livello cinematografico, traslare le vicende di gioco su una nuova zona di Pandora ed ereditare gli assett fondamentali della lore già ideata da James Cameron. Volete conoscere se l’idea ha funzionato o meno? Scopritelo nella nostra recensione di Avatar: Frontiers of Pandora.
Avatar: Frontiers of Pandora, un open world Ubisoft Style
In materia di open world, Ubisoft ha sfornato negli ultimi anni dei capolavori dimensionali senza soluzione di confronto. Basti pensare ai vari Far Cry, The Division, Ghostrecon e Assassin’s Creed. Una multinazionale che vede la sua presenza in 25 paesi del mondo, con sussidiarie e numerosi studi satellite in grado di unire competenza e professionalità senza eguali. Certo, l’ultimo periodo non è stato roseo per l’azienda franco-canadese, come del resto non lo è stato per l’industria videoludica tutta. Il COVID ha lasciato ferite profonde nel settore, che solo quest’anno ha lanciato dei chiari segnali di ripresa.
Ubisoft è uscita dalla stasi post-pandemica lanciando sul mercato Assassin’s Creed Mirage e l’ultimissimo Avatar: Frontiers of Pandora. Confronti pesanti, soprattutto per il secondo che deve fare i conti con un tale James Cameron ed un successo cinematografico mica da ridere. La multinazionale del gaming tenta la strada che meglio le riesce, ovvero un open world caratterizzato da un imponente estensione territoriale (che sfocia anche nell’eccessivo se paragonata ai contenuti ivi presenti). Non vogliamo dilungarci adesso su quest’ultimo aspetto, che sarà oggetto di un successivo approfondimento.
Sul fronte narrativo la storia di Avatar: Frontiers of Pandora prende in prestito alcuni stilemi già apprezzati nella controparte cinematografica. Siamo nel 2146, circa 8 anni prima delle gesta del Jake Sully di James Cameron. L’RDA avvia un programma per il reclutamento di 5 nativi del pianeta, strappati alle loro famiglie in tenera età. L’obiettivo è quello di creare dei soldati perfetti, in grado di mescolare forza fisica e know-how degli umani. Tra questi vi è un/una giovane Na’vi con un bramoso desiderio di vendetta. La sua fuga le permetterà di unirsi alla Resistenza, ma la sfida che le si aprirà davanti la metterà, sin da subito, di fronte a numerose scelte e verità.
Gli ingredienti della formula open world made-in Ubisoft ci sono tutti. Le componenti survival ed action vanno a braccetto, con la presenza di una sana iniezione di RPG (ma non eccessiva) ad alimentare costantemente l’interesse del giocatore di turno. La storia, purtroppo, non è in grado di reggere il confronto con quanto visto al cinema ed i personaggi – salvo alcuni comprimari – giungono privi di “mordente” sotto il profilo della presenza sul palco. Della serie “Ah, ma ci siete anche voi?”. Del resto, la vena narrativa seppur con degli elementi di pathos apprezzabili, viene inghiottita dalla presenza della componente open world, che richiama a sé il/la giovane Na’vi.
La bellezza di un mondo tutto da scoprire
I mondi pensati da Ubisoft, per i suoi giochi, sono tutti di matrice ispirativa. L’incarico che la nota multinazionale ha affidato a Massive Entertainment si presenta molto delicato sul fronte coerenza (per via del confronto cinematografico) e agevolato su quello realizzativo (l’ecosistema di Pandora, di fatto, è stato già concepito da altri).
Ed ecco che la scelta è ricaduta sull’esplorazione di un nuovo fronte del pianeta, derivativo e con dei richiami alla controparte cinematografica. Parlare di collocazione delle vicende videoludiche rispetto al continuum narrativo ci resta difficile oltre che apparire superfluo. Non è che per cogliere il massimo da questa esperienza videoludica ci dobbiamo sciroppare le oltre 6 ore di pellicole, anche se è comunque è caldamente consigliato recuperare l’eventuale “perduto”.
Questa nuova penisola si presenta oggettivamente immensa. Sino allo sbocco della monta volante toccherà a farsela “a piedi”, ma non tutti i mali vengono per nuocere. Se siete appassionati di game photography la photo mode presente in Avatar: Frontiers of Pandora vi aiuterà a cogliere il meglio di questo open world, con scenari mozzafiato e bellezze paesaggistiche da applausi. Non ci aspettavamo niente di meno dal team di sviluppo, con un merito che va ampiamente riconosciuto. Si passa, però, da una ricchezza di dettagli degli ambienti esterni, ad una pochezza descrittiva di quelli interni. Meglio sicuramente i primi.
Anche gli stessi Na’vi, per quanto la loro fisionomia sia frutto di un genetico copia e incolla, appaiono oggettivamente troppo uguali tra loro. In alcune sessioni di dialogo – salvo alcuni comprimari importanti sotto il profilo della storia – sembra di essere circondati da sosia e ciò ingenera confusione e distacco. Si poteva evitare prevedendo una completa localizzazione in italiano. Stranamente, questa non è presente nella versione attuale del gioco (e non sappiamo se in futuro arriverà con una patch dedicata). Diventa oltremodo complesso seguire le linee di dialogo con gli astrusi nomi e terminologie previste dalla lingua madre dei Na’vi.
Il confine tra action e survival
Il nostro codice genetico di giocatori ci mette davanti a delle situazioni che, quasi in maniera del tutto fisiologica, evocano similitudini e confronti. Premesso che questa è la prima volta in cui il franchise ideato a James Cameron transita su console in maniera “massiva”, andare a sbirciare a delle altre produzioni made in Ubisoft è un passaggio che non riusciamo ad evitare. Il primo confronto autorevole arriva da una delle teste di serie della multinazionale franco-canadese, ovvero la serie Far Cry. Somiglianze che toccano tutti i punti cardine di queste due esperienze: presenza di una componente open world e il duplice rapporto action/survival.
Della prima abbiamo già ampiamente discusso sotto il profilo artistico, con la sua esistenza che non si esaurisce al mero godimento sensoriale. Essa contamina – in senso assolutamente positivo – anche il gameplay, invitando il giocatore alla raccolta dei frutti e i prodotti di Pandora. L’ecosistema del pianeta al servizio del crafting, aiutando il/la protagonista a sopravvivere con la creazione di derrate alimentari, armi, oggetti di equipaggiamento. Per quanto questa componente si dimostri lunga e talvolta noiosa, non è possibile farne a meno ai fini dell’esperienza di gioco. Esiste, però, un rovescio della medaglia, ovvero quello di unire l’utile e il dilettevole, invitando “spintaneamente” il giocatore ad esplorare questa nuovo fronte del magico pianeta dei Na’vi.
Se da una parte la componente survival è giustificata a livello di gameplay, quella action giunge – almeno sino alla prima parte di gioco – eccessivamente sbilanciata. Gli scontri non sono ad armi pari. I Na’Vi possono contare solo sulla loro agilità e la forza fisica ma non hanno lo stesso arsenale dell’RDA. La dimensione stealth tende a prevalere su quella action, con un fine che è giustificato dai mezzi (e tutto sommato aggiunge anche un filo di realismo). Man mano che il potenziale del nostro Na’vi cresce, aumentano anche le sue capacità atletiche e fisiche, generando danni considerevoli (ma sempre parametrati al nemico che si ha davanti).
Lato meccaniche di gameplay, il sistema di gioco di Avatar: Frontiers of Pandora è strutturato su missioni. Il nuovo fronte di Pandora è governato da 3 tribù. Nell’ambito di queste, il completamento di incarichi principali e secondari – oltre al progredire nella storia – aiuta ad ottenere il favore della tribù nella battaglia che vede il fronte di Resistenza impegnato contro i colonizzatori umani capeggiati dallo spietato Mercer. Una struttura, dunque, in perfetto stile open world by Ubisoft.