Stare qui a elencare quante cose dobbiamo a Tim Shafer è quasi superfluo, proprio per questo quando il simpatico (e barbuto) americano pioniere dell’industria videoludica annunciò, nel 2012, una campagnia di crowdfunding per la realizzazione di un gioco punta e clicca “vecchio stile”, l’entusiasmo mondiale portò la campagna a cifre astronomiche, ridimensionando il progetto in qualcosa di maggiore. La storia dietro Broken Age e la sua realizzazione (e divisione in 2 capitoli) è nota, ed il gioco, uscito in forma completa ad Aprile, viene inserito nella IGC del Playstation Plus del mese di ottobre. Ma ha senso giocare a una avventura grafica su console?
Come già aveva dimostrato la Monkey Island Collection, contenente i due primi storici capolavori della più importante saga videoludica del genere, il passaggio a console può risultare leggermente ostico, poiché il puntatore del mouse viene sostituito con l’ultilizzo di uno stick analogico. Fortunatamente son passati gli anni e la tecnologia si è evoluta, paradossalmente rendendo molto più fruibile il genere “old school” delle avventure grafiche grazie all’utilizzo di touchpad e touchscreen rispettivamente su Ps4 e Ps vita.
Come se non bastasse, l’impegno del team della Double Fine è stato soprattutto quello di cercare di modernizzare le dinamiche del suddetto genere di giochi, creando un gameplay dinamico e fruibile anche per chi è meno esperto: se da una parte questo ha attratto molte persone estranee al genere ma interessate al progetto (soprattutto grazie alla splendida direzione artistica di cui parleremo più sotto), dall’altra ha comunque creato malcontento tra i fan storici delle avventure grafiche, che han trovato le dinamiche di gioco snaturate (a tal proposito, l’amico e collaboratore di Shafer, Ron Gilbert, scrittore dei primi due Monkey Island, sta realizzando un gioco considerato un VERO nuovo punta e clicca, Thimbleweed Park, buttateci un occhio qui). Non aiuta in tal senso neanche la prima metà del gioco (idealmente, la prima parte rilasciata) dove gli enigmi sono fin troppo semplici. Fortunatamente (o purtroppo) nella seconda parte l’asticella della difficoltà si alza considerevolmente, toccando picchi quasi assurdi com’è giusto che sia in queste produzioni.
Broken Age ha una struttura che include due storie e due protagonisti distinti, Vella e Shay, giovani ragazzi che si ritrovano, per vicissitudini, a vivere avventure apparentemente scollegate e molto diverse tra di loro, entrambe simbolo della voglia di ribellione tipica dell’adolescenza e della crescita personale in cui ci si ritrova necessariamente “vittime”. Si potrà passare in qualsiasi momento da una linea temporale all’altra (tranne in determinati segmenti narrativi), in maniera casuale ma spesso ragionata.
I due mondi si collegano, e il fantastico racconto di formazione ideato da Shafer ci porterà ad incontrare personaggi tra i più disparati, tutti fortunatamente ben caratterizzati ed interessanti. L’aumento progressivo della difficoltà del gioco non fa che aumentare anche la sensazione di crescita che si rispecchia nelle trame dei protagonisti. Come spesso capita, l’importanza data ai personaggi, specie nella seconda parte, finisce per prevalere leggermente sull’intreccio, senza però togliere un senso di completezza una volta giunti al finale della storia, che regala comunque degli ottimi colpi di scena e, talvolta, quasi trolla il giocatore, lasciando indizi che sembrano far unire i puntini del quadro generale in un modo, salvo poi non solo smentirlo, ma anche prendere in giro la stessa potenziale idea in maniera geniale.
Quello che continua a sbalordire è la straordinaria direzione artistica data al titolo Double Fine: la sensazione è quella di star sfogliando un libro illustrato in movimento, e a ogni saluto di un determinato personaggio, la curiosità di vedere “cosa si saranno inventati stavolta” cresce esponenzialmente. Purtroppo andando avanti c’è un certo riciclo nelle location che può dispiacere, ma la sensazione di “già visto” viene meno grazie alle evoluzioni del plot. Nulla da dire invece sulla parte audio: oltre alla splendida colonna sonora di Peter McConnell (già compositore, tra i tanti, di Grim Fandango, Brutal Legend e la saga di Sly Cooper) si aggiunge un ottimo doppiaggio inglese, realizzato da un cast di prim’ordine che include, tra i tanti, nomi come Elijah Wood, Jack Black, Wil Wheaton e Jennifer Hale.
In sintesi, quella creata da Shafer&Co è una grande opera, che esprime a pieno tutto quello che dovrebbero avere i videogiochi oggi: una forte direzione artistica, una trama appassionante e dinamiche sia del passato che del futuro. La materia grigia necessaria per portare a termine un titolo del genere lo rende però (purtroppo) poco appetibile al tipo di persone che cerca un semplice svago o divertimento più immediato. Possiamo dire, però, che il gioco vale la candela e lo sforzo si può (e si deve) fare.