E siamo a quota “Sei”, anche se negli ultimi anni c’è stata un po’ di confusione attorno alla nomenclatura della serie. Treyarch e Raven Software decidono di fare un po’ di ordine, celebrando al meglio il matrimonio con Microsoft e l’atteso (e tanto chiaccherato) ingresso nel catalogo del Game Pass. Call of Duty: Black Ops 6 arriva dopo ben 4 anni di gestazione, generando un’attesa alimentata anche dalle premesse che anticipavano grandi cambiamenti sul fronte del gameplay.
Premesse che si sono manifestate veritiere al lancio, anche se avevamo già avuto modo di provare in anteprima la modalità multigiocatore nel corso della closed beta. L’Omnimovement ha rimesso in discussione alcuni concetti “statuari” delle meccaniche di gioco, sorridendo a tutti coloro che non amano starsene con le mani in mano. Sulle note del del “Chi si ferma è perduto”, aiutati dalle dimensioni contenute delle nuove mappe, ci si affronterà a viso aperto in frenetici scontri 6vs6 e 2vs2. Dei cd. “Camperoni” nessuna traccia (salvo bug di layout del level design).
La modalità Campagna offre una seconda puntata che riprende la storia dal “dove eravamo rimasti” in Call of Duty Black Ops 6: Cold War, virando bruscamente verso il fantapolitico cospirativo di matrice tipicamente americana. Sinceramente parlando, sotto il profilo narrativo abbiamo assistito ad una delle migliori uscite sul campo degli ultimi anni. Non poteva mancare – e non manca affatto – l’esperienza in compagnia delle orde di Zombie e qualsivoglia aberrazione demoniaca che si presenta con un canovaccio di matrice derivativa rispetto al passato. Stop alle chiacchere ed entriamo nel vivo della nostra recensione di Call of Duty: Black Ops 6, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Un nuovo appuntamento con la storia
La saga di Black Ops, da sempre, è quella che meglio ha interpretato il concetto di “fuori di testa”. I personaggi, da sempre, sono stati sopra le righe, così come anche le situazioni e le vicende narrate. Fatti ed episodi storici realmente accaduti vengono sfruttati per la causa e raccontare delle storie parallele, sempre credibili (in chiave narrativa) ma talvolta “esagerate” per peso specifico. Della serie “Diamine, ma come mai di questa cosa non ne parlano nei libri di storia?”.
Guerre mondiali sventate grazie ad un proiettile, intrighi internazionali che coinvolgono le agenzie segrete di tutto il mondo, ed un’eterna diatriba tra Occidente (USA) e Oriente (Russia e Medio Oriente) che sembra non finire mai (e come dargli torto, visto che anche nella realtà la situazione è analoga). In questo clima di tensione ci sono sempre loro, gli stessi del precedente capitolo. Invero, la storia prosegue dopo i fatti narrati da Black Ops Cold War, che se vi ricordate non finiva proprio in maniera “bellissima” per i componenti del team di Adler.
La continuità narrativa è un aspetto preponderante della saga, a maggior ragione in questi ultimi anni con l’introduzione di personaggi chiave come il summenzionato Adler, Woods (non più in splendida forma) e che affiancano un nutrito roster dove spica il buon Case. E vi confessiamo anche che il non aver giocato Black Ops Cold War (o il non ricordare gli eventi cardine per sopraggiunta dimenticanza) è un fattore che vi creerà un po’ di confusione nei momenti iniziali del gioco, per quanto tutto l’ecosistema è fatto per spiegare e non escludere nessuno.
Detto ciò, si riparte con un piede verso la sospensione e la cancellazione dell’Unità, tutto per colpa di un VIP che non doveva morire ed un gruppo paramilitare denominato Pantheon che si è autoinvitato al tavolo delle trattative. Il quartier generale funge, come da tradizione della saga, da centro nevralgico delle operazioni, sviluppo del potenziale del combattente e raccolta/condivisione di prove ed informazioni. Le evidenze vanno trovate nel corso delle missioni, ma sarà anche fondamentale interagire con i vari NPC presenti nel QG.
Raccordo con il passato, proiezione verso il futuro
Ogni capitolo di Call of Duty (aggiungiamo il “Che si rispetti”) ha avuto sempre una qualche capacità di fare un passo avanti rispetto a quello che lo ha preceduto. Non stiamo quì a fare statistiche su numeri degli episodi regolari e spin-off ma, salvo qualche passo falso, la saga è sempre riuscita ad evolversi nel tempo. In questo preciso ambito, la gestazione di Call of Duty: Black Ops 6 è durata circa 4 anni, un tempo che ha fatto sottintendere, a tutti gli addetti ai lavori, che qualcosa di importante stava per accadere. I tempi erano maturi per accontentare una bella fetta della community che chiedeva, a gran voce, degli importanti passi avanti alla voce “gameplay”.
La partita, dunque, si gioca attorno alla nuova feature che prende il nome di Omnimovement. Un termine che già da solo non ha bisogno di spiegazioni, anche se merita un doveroso approfondimento. La volontà di Treyarch (in primis) e Raven Software è stata quella di stimolare un nuovo punto di vista rispetto al gameplay. Non solo il “spara spara” selvaggio dove vince chi mira meglio, ma diventa fondamentale anche il modo di muoversi sullo scenario, anticipando e prevedendo le intenzioni dell’avversario di turno. La possibilità di scattare in tutte le direzioni, alla base del concetto stesso di Omnimovement, consente di elaborare un numero di strategie offensive e difensive ben più alto rispetto al passato, ma vale sempre il gioco “della coperta”. Tutto non si può ottenere.
Le mappe pensate per questa nuova tornata di sfide in modalità multigiocatore sono assai contenute, concepite per delle sfide 6vs6 (ce ne sono 12 di mappe) e addirittura 2vs2 denominate “Strike” (4, per adesso). Parafrasando e senza fare troppi ed inutili giri di parole: sessioni di combattimento molto più intense, scontri rapidi e veloci e durate dei match non estenuanti. Se volessimo fare un paragone con quanto visto nel Modern Warfare 3 di Sledgehammer Games siamo veramente agli antipodi. Un bene o un male? È troppo presto per giungere ad un qualcosa che assomigli ad una sentenza, ciò che conta è che un passo decisivo verso il futuro è stato compiuto (o quanto meno è quello che si auspica).
E della serie “A volte ritornano” non poteva mancare all’appello la modalità Zombie, immancabile appuntamento della serie Black Ops. Anche in questa nuova iterazione, la stessa viene condita con un minimo di trama ”spicciola” che serve solo “a colorare” il tutto ma senza lasciare nulla sotto il profilo della concretezza. Il gameplay insegue la scia del wave system, ovvero ondate di orde di non morti che si fanno sempre più impegnative ad ogni run. I premi sono ambiti ma resta – sempre e comunque – il classico figlio di un Dio Minore. Ideale per concludere una sessione di COD, ma nulla di più.