Sono cambiate moltissime cose in questi due anni, ma Death Stranding Director’s Cut ci dimostra, ancora una volta, la sua immensa grandezza. Al pari di Ghost of Tsushima Director’s Cut, non faremo una “solita” recensione. Ci concentreremo, infatti, sulla nostra esperienza e come questa sia cambiata (sempre in meglio si spera, ndr) sulla next gen PS5. Kojima Productions si presenta come third-party all’interno della grande famiglia dei Playstation Studios. Il know-how della nuova generazione di casa Sony, entra all’interno del gameplay di Death Stranding Director’s Cut, accogliendo tutti i cambiamenti più importanti lato esperienziale.
Il feedback aptico ci fa provare, sulla nostra pelle, quella fatica che Sam prova mentre ricostruisce le UCA. Il salto grafico lo si vede più nel FOW (Field of View) che nella risoluzione. Già ottima, ricordiamo, nella versione per PS4 Pro. I 60fps consentono una maggiore fluidità nei movimenti, che aiuta nei momenti più concitati. Per quanto apprezzabili in poche occasioni, le situazioni di occlusione ambientale sono state migliorate ulteriormente.
In un open world le occasioni non sono moltissime, ma alcuni riflessi invocano l’utilizzo della photo-mode. Su questo ultimo punto, per dovere di cronaca, segnaliamo che tutte le foto sono state scattate utilizzando questa modalità. Il consiglio, come sempre, è quello di spendere del tempo per catturare attimi di paradiso.
Hideo Kojima non perde occasione per rimettersi in discussione. Il game designer giapponese rivede alcune dinamiche di gameplay, migliorando ciò che era già rasente alla perfezione e aggiungendo dei contenuti utili per dare un motivo in più per tornare “alla deriva”. E poi c’è tutta la questione legata al suo essere dannatamente profetico. Ognuno di noi, chi più e chi meno, sta vivendo il suo “Death Stranding”. Il contatto con le persone è una cosa che inizia a mancarci e Sam, ancora una volta, ci ricorda il perché è importante non perdere mai la speranza verso il futuro. Su questo argomento ritorneremo più avanti, nel corso di questa nostra recensione di Death Stranding Director’s Cut. Cancelliamo tutti il save-game PS4 e facciamo finta che sia la nostra prima volta. Di fatto, a livello umano, lo è.
La ricerca della perfezione
Della serie “non accontentarsi mai”. Hideo Kojima aveva ancora qualcosa in mente per la sua ultima creazione. Tralasciando – ma solo per qualche momento – le feature “d’istituto” della nuova PS5, quello che sono migliorate in Death Stranding Director’s Cut sono le dinamiche base del gameplay. Il gioco, all’alba dell’uscita su PS4, si presentava ostico e di difficile digestione. Il concetto di difficoltà pervadeva ogni cm della mappa di gioco. In parole povere, giocando ci si stressava invece di rilassarci. Lasciando stare il fatto che era proprio questa l’intenzione del suo ideatore, questi capisce che forse qualcosa, sotto questo punto di vista, poteva cambiare.
L’atterraggio è, quindi, più morbido. Le cose succedono e accadono, ma il tutto avviene con la costante sensazione di non morire da un momento all’altro. Tutto questo non ha disperso la sua vera natura, visto che la missione resta sempre la stessa. Aiuta, invero, chi non ha avuto la fortuna (e l’onore, ndr) di giocarlo due anni fa. Per tutti gli altri, è bello ricordare – come se fosse un passato ormai lontano – come quella costante paura di non farcela sia oggi un insegnamento. Un ennesimo del maestro Kojima.
È poi c’è tutto il discorso del citazionismo. La missione speciale nella fabbrica abbandonata, contenuto inedito di Death Stranding Director’s Cut, è un vero e proprio omaggio al passato del game director giapponese. Sam, per l’occasione, entra nella famiglia Snake, con una sessione da giocare tutta in stealth. La location, poi, fa il resto. Ovviamente, non vi diciamo altro, giusto per non spoilerare troppo (e anche perché amiamo alimentare il vostro hype, ndr).
Le cd. “aggiunte” vanno anche a migliorare l’arsenale di Sam, oltre che alleggerire il carico sulle sue spalle. Tra queste figurano il fucile Maser, la catapulta con paracadute, le rampe di lancio, i ponti chirali con ID “anti-mulo” e il support skeleton (e qualcos’altro che ci siamo sicuramente dimenticati di citare, ndr). Kojima non ha perso l’occasione per inserire delle interessanti deviazioni rispetto alla missione intrapresa da Sam Porter. I circuiti della Fragile Racing aiutano ad alleviare la carica di stress a cui siamo sottoposti nel nostro viaggio. In verità servono anche per provare sul campo i nuovi veicoli che si aggiungono al parco mezzi, dove spicca su tutti la veloce Roadster.
Non chiamatelo profeta, ma solo artista
Si dice che alcuni autori riescano a predire il futuro, anticipando, di li a poco, quello che il destino ha in serbo per l’umanità. Ora, per quanto i complimenti per Hideo Kojima si sprechino (e sono tutti meritati, ndr), non riteniamo che Death Stranding sia profetico quanto, invece, attuale. Avete, per caso, rigiocato ad un Metal Gear ultimamente? Se non lo avete fatto questo è il momento giusto, in modo da rendervi conto quanto, di questa serie, ci sia all’interno del gioco. Iniziando dal carattere spinoso e misterioso di Sam.
A nostro avviso, Death Stranding non doveva uscire nel 2019. I motivi, per dare senso a questa affermazione, sono tanti e non tutti di natura ideologica. Iniziamo dal fronte tecnologico. Il potenziale della nuova PS5 ha già fatto capire in che direzione si muoveranno i suoi titoli di punta, e in particolare quelli dei third-party. L’immensità del suo lato open world, per quanto la resa fosse già eccellente su PS4, non aveva modo di manifestare il suo reale potenziale. La magia del DualSense stimola l’immersione in una maniera inedita e che nessuno, ad oggi, è in grado di emulare. Il polimorfismo degli ecosistemi presenti nella mappa di gioco rende, poi, l’esperienza di gioco dinamica. Un aspetto di cui ci siamo accorti solo adesso e che vale più della metà dell’esperienza.
Hideo Kojima ama lanciare dei messaggi nei suoi giochi. Alcuni sono chiari e limpidi come la luce del sole, altri, invece, sono subliminali e molto intimi. Metal Gear Solid, una volta arrivati a The Best is Yet to Come, ti invitava ad una pioggia di lacrime. Ma non era tutto merito della stupenda voce di Aoife Ní Fhearraigh, visto tutto quello che si era raccolto nel corso dell’intensa esperienza di gioco. Lo stesso vale per Death Stranding.
Il mondo, così come lo conoscevamo noi, è stato stravolto. La pandemia ci ha tolto la normalità, privandoci anche di un gesti semplici come un abbraccio e una stretta di mano. Avevamo bisogno di andare alla deriva, perché solo così ci si accorge che cosa conta veramente nella nostra vita. E quindi sì, il mondo aveva bisogno di Death Stranding Director’s Cut. Forse più adesso che due anni fa. E chi vi scrive, per rendere merito al lavoro svolto da Kojima e dai ragazzi e ragazze di Kojima Productions, ha cancellato il suo vecchio salvataggio. Il tutto solo per godersi un’altra “prima volta”.
In conclusione
Non abbiamo fatto il nostro solito compitino con questa recensione PS5 di Death Stranding Director’s Cut. Abbiamo preferito, invece, seguire il nostro istinto, con la speranza che una parte di noi riesca a filtrare tra negli spazi bianchi lasciati da parole e paragrafi. Ad onor del vero, l’obiettivo è sempre quello, ma con l’ultimo lavoro di Kojima l’onere è più sentito. Come avete visto non siamo entrati troppo nei dettagli tecnici, lasciando spazio, invece, alle componenti umane ed emozionali. Una scelta guidata dal gameplay che, con le potenzialità della nuova PS5, riesce a regalare ancora molte emozioni.
Siamo rimasti a secco di DLC e di contenuti extra in questi due anni. Kojima Productions doveva far qualcosa di sostanzioso per saziare questo appetito e ciò è stato. I nuovi incarichi, la missione extra con i muli, il fucile Maser e i circuiti di gara – giusto per citare i più importanti – sono serviti a riaccendere quella fiamma che non si è mai spenta. Era solo bassa, in attesa di qualcosa. Un attesa che si è conclusa con Death Stranding Director’s Cut. Noi, come voi, ci godiamo il momento. Il genio creativo di Hideo Kojima non si ferma mai, aspettando un suo nuovo capolavoro.