Il mito risorge in grande stile con Diablo II: Resurrected, secondo capitolo del franchise Diablo, il titolo della nostra recensione per console Xbox Series X. Correva l’anno 2000 quando Blizzard lanciava sul mercato l’esperienza ARPG definitiva, che ancora oggi accoglie intere comunità di giocatori. Fu uno dei primi a credere nell’importanza del gioco online, con l’introduzione di Battle.net. Si passò dalle stanze delle sale giochi al mondo intero in un battito di ciglio. Quello che successe, poi, è divenuto leggenda. Ancora oggi ci sono giocatori che bazzicano sui server della versione storica, ancorati ai fasti del passato.
Il colosso americano, in vista del lancio di Diablo 4 previsto per il prossimo anno, tenta un’operazione di refresh anticipato. L’incarico delicato viene affidato a Vicarius Visions, esperta in operazioni di remastered “pesanti”. L’abbiamo vista all’opera con Tony Hawk’s Pro Skater 1 + 2, svolgendo un grandissimo lavoro su tutti i fronti. Certo, parliamo di Diablo II, il padre del concetto di ARPG moderno. Il peso sulle loro spalle è piuttosto gravoso, ed è un attimo che ti ritrovi il mondo addosso.
L’intervento di restyle ha interessato, per motivi piuttosto ovvi, tutto il comparto artistico. Fermo restando la possibilità di giocare con una versione “originale” del gioco, il resto viene inondato dalla potenza delle console di nuova generazione. I filmati in CGI sono stati migliorati per reggere il passo dei tempi. Stessa sorte è toccata alla risoluzione grafica e all’illuminazione globale, in grado di farci apprezzare i 4+1 capitoli presenti in Diablo II: Resurrected.
È un titolo che vuole accattivarsi la simpatia dei giocatori più giovani, visto che quelli più vecchi lo amano a prescindere. Attenzione, però, al fattore “momento”. 21 anni sono tanti e in questi due decenni il concetto di ARPG, le cui radici sono partite proprio da Diablo II, è cambiato moltissimo nel tempo. Il dovuto rispetto per “Vostra Maestà” c’è sempre, ma l’occhio critico va oltre il “dovuto”. Per tutto il resto vi lasciamo alla recensione di Diablo II: Resurrected, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Prime impressioni: il ricordo degli anni che furono
Farsi trasportare dall’effetto nostalgia è piuttosto naturale per chi è dall’altra parte dello schermo. Chi vi scrive ha fatto un bel tuffo nei ricordi. A quando, senza ancora una connessione ADSL, si incontrava in sale gioco improvvisate con un computer e un cavo di rete sotto il braccio. E il tutto sempre in un clima di amicizia e divertimento. Tra risate e prese in giro – e qualche fisiologica imprecazione – il fattore immersione ci portava nella dimensione di Sanctuary, fino alle profondità dell’inferno.
Il nuovo millennio nasceva sulle ceneri di quello che tutti conosciamo come il padre dei GDR. Parliamo ovviamente di Dungeon’s and Dragon, gioco da tavolo che ha visto nascere e crescere intere generazioni di giocatori. I videogiochi, con il tempo, hanno preso il posto di dadi e carte, creando delle situazioni visivamente immersive. La saga di Diablo è un illustre testimone di questo passaggio, anche se all’epoca si giocava solo con mouse e tastiera su PC.
La grande novità di Diablo II: Resurrected vive nell’apertura verso il mondo delle console. La scelta di riportare in auge il secondo capitolo del gioco – e non il primo e il terzo – è figlia del suo successo ineguagliabile. Il gameplay era perfettamente bilanciato con una progressione legata alla difficoltà ma senza creare delle situazioni frustranti date dal “troppo”. La crescita del personaggio, fortemente legata alla sua classe, seguiva un andamento costante. La difficoltà normale fungeva quasi come un grande tutorial, in vista di sfide ben più impegnative.
Impossibile resistere al fascino nostalgico della Legacy. La regressione grafica fa dimenticare tutti i miglioramenti che la next-gen ha riservato per questa remastered, con un viaggio di sola andata nel mondo dei ricordi. Resistere alla sua presenza è impossibile, come lo è pure restare impassibili di fronte a un rinnovato mondo di gioco. Diablo II: Resurrected mostra un nuovo volto, questo è indubbio, ma l’anima resta immutata.
Contesto di gioco: una leggenda senza tempo
Non è facile parlare di Diablo II: Resurrected a cuor leggero. Anzi, è impossibile. Non si può chiedere di cancellare il ricordo di quello che è stato il momento zero degli ARPG, quello che ha eliminato il concetto di “turno” negli isometrici di ruolo e che ha fatto capire che la filosofia di Dungeon’s and Dragon poteva vivere anche fuori da dadi e carte. Il tutto senza dimenticare quella vena nostalgica che ci accompagna. Sempre e comunque.
Ovviamente, c’è sempre un “ma”. La storia del secondo capitolo di Diablo vive di riflesso. Il “grosso”, a livello narrativo e di lore è stato fatto nel primo capitolo, creando la figura mistica del “Viandante Oscuro”. Egli altri non è che l’eroe del primo capitolo che utilizza il suo corpo come contenitore del male supremo. Il tentativo si dimostra vano, visto che la sua benevola aura finisce con l’essere corrotta per mano di Diablo stesso. Ed è così che inizia Diablo II: Resurrected, con l’obiettivo di riportare negli inferi il male che il Viandante Oscuro non è riuscito a contenere.
Nonostante siano passati oltre 20 anni, ancora oggi l’universo di Diablo dimostra sempre il suo fascino. È la classica storia senza tempo, in grado di funzionare anche come ambientazione per una serata a D&D. Nel mentre c’è stata la trilogia del Signore degli Anelli e tutto il mondo si è appassionato ai lavori J.R.R. Tolkien. Ma Diablo c’è sempre stato, anche se il mondo parlava di altro.
La community storica del gioco ha continuato a frequentare i server Battle.net collegati alla storica trilogia. Questo la dice lunga sulla solidità di un gioco uscito oltre 20 anni fa, dal punto di vista di gameplay e sistema di gioco. Ritrovarsi tra le mani una remastered di un qualcosa che ancora oggi funziona in “originale” comporta molti rischi.
Gameplay: ARPG, dove tutto è cominciato
Gli ARPG sono divenuti la tendenza del momento. Passata la parentesi dei soulslike, il mondo dei giochi di ruolo si sta orientando verso una dimensione più action e meno complessa. Anche un mostro sacro come Final Fantasy VII si è dovuto piegare a quello che chiede l’utenza. E in tutto questo Diablo cosa c’entra? Beh, in un certo senso Blizzard riusci a percepire già nel 2000 che qualcosa stava cambiando. Eravamo abituati a mouse e tastiera, con punta e clicca che servivano a spostare il personaggio lungo la mappa di gioco e a ingaggiare. Il metronomo del gameplay scandiva ritmi non troppo frenetici, anche se vi era un grado di libertà inedito per il genere.
Lavorando su quel livello di “libertà”, gli RPG hanno visto nascere uno spinoff, in grado di attirare tutta quella massa di giocatori che vivevano di hack’n’slash e picchiaduro. Il compromesso si è trovato nella capacità di far convivere narrativa e divertimento, evitando ripetitività e meccaniche trite e (ri)trite. Diablo, in tutto questo, ha fatto scuola. Questa remastered risente del tempo, questo è da mettere in conto, ma il bilanciamento tra i vari elementi ancora oggi è perfetto.
Vicarius Visions ha fatto una scelta – a nostro avviso – pilotata dall’alto. Le operazioni di restyle, guarda caso, non hanno minimante intaccato il gameplay originale, che viene riproposto con tutti i vizi e virtù dell’edizione storica. Una mappa che si svela dopo il nostro passaggio, una crescita del personaggio che fa un duetto perfetto con il livello giocato, un looting che premia “gli impavidi”, è un bilanciamento del personaggio che ancora oggi è dannatamente perfetto.
Ma il tempo è tiranno e non lascia scampo. Le animazioni del personaggio dimostrano dei limiti che oggi si presentano ancora più evidenti del 2000. Siamo abituati bene, questo è vero, ma Blizzard e Vicarius Visions hanno commesso uno scivolone non da poco. La legnosità e la lentezza dei movimenti del personaggio rovina quell’atmosfera di novità, anche per chi la saga la conosce a menadito. Guarda caso è la prima cosa che salta all’occhio, allietata dal grande lavoro artistico messo in campo dagli sviluppatori.
Dimensione artistica: il Diablo si presenta in forma
Ed eccoci arrivati al piatto forte di Diablo II: Resurrected. Sul fronte artistico, quelli di Vicarius Visions non si sono risparmiati in alcun modo. Dalla grafica e agli effetti sonori, il livello generale del progetto è di assoluto rilievo. Trattandosi di un’operazione di restyle (e non un remake, ndr), i margini di intervento erano obbligati. Avendo già messo da parte il gameplay, restava solo questo, motivo per cui i dev hanno dato fuoco alle polveri.
Fermo restando la possibilità di attivare la versione Legacy, con un ritorno alla versione originale del gioco, la risoluzione grafica segue la solita scelta tra qualità e performance. Con la prima il framerate è bloccato a 30fps con i 4K che sembrano restare stabili per tutta la durata dell’esperienza di gioco. Se volete i 60fps la risoluzione scende sotto i 4K, attestandosi intorno al 1440p. Non essendoci sequenze in ray tracing ci sembra un po’ poco, anche se il gameplay ne risente in positivo.
Il comparto audio gode della presenza di un audio surround a 7.1 canali. Resta in sospeso la questione Audio 3D, ma avendolo giocato su Xbox Series X con le Corsair 75XB – che sfruttano il Dolby Atmos – possiamo dire “Io c’ero”. Le lande desolate di Sanctuary restituiscono i veri suoni della disperazione, ricordando la perfetta imperfezione di quella soundblaster Creative che all’epoca sembrava il “meglio del meglio”. Un nuovo esempio di come la tecnologia divora i ricordi più belli.
Prima di lasciarci un ultimo grazie va a Vicarius Visions per aver ritoccato i filmati originali del gioco. Rivedere il Viandante Oscuro in quella taverna e il terrore negli occhi dello sfortunato Marius, ci ha fatto capire il perché dobbiamo dare una speranza a Diablo II: Resurrected. Il segno degli anni si vede, è inutile nasconderlo. L’operazione nostalgia, però, è riuscita piuttosto bene. Un perfetto trampolino per l’arrivo di Diablo IV.
In conclusione
E siamo arrivati al momento dei saluti, con questa nostra recensione di Diablo II: Resurrected per Xbox Series X dai toni molto nostalgici. Un po’ per colpa dello scrivente, che con l’ARPG di Blizzard ci è cresciuto, un po’ per via dei ricordi connessi al gioco. In 20 anni sono cambiate moltissime cose, con i gameplay che hanno visto un accelerazione sempre più importante. È importante, però, ricordare gli antenati e dove tutto quello che abbiamo ora è cominiciato.
Non è una caso che della trilogia storica dei Diablo, il colosso americano abbia deciso di puntare sul secondo capitolo. Ancora oggi la community storica del gioco si diverte con il capitolo originale, anche se sono passati oltre due decenni. Questa la dice lunga su molte cose. L’incarico delicato viene affidato a Vicarius Visions, esperta in remastered “rischiose”. Il gameplay originale viene lasciato intatto, operando un restyle grafico e sonoro di tutto rispetto.
La scelta, però, non paga benissimo. Se da un lato il nostro lato creativo viene ampiamente soddisfatto, dall’altro i segni del tempo si notano in maniera troppo evidente. La legnosità del personaggio spicca sopra ogni cosa, con una lentezza dei combattimenti che non migliora nemmeno con i 60fps. La presenza di un comparto artistico rimesso a nuovo allieta il tutto, con il fattore nostalgia che prova ad offuscare le nostre doti di giudizio. Gli anni, però, si vedono.