Divinity: Original Sin ha visto la luce nel giugno 2014, quale titolo parzialmente finanziato da un Kickstarter di successo – si parla di oltre un milione di dollari – presentato da Larian Studios, la software house belga autrice anche dei precedenti giochi della saga Divinity; distribuito per PC, è stato immediatamente apprezzato dagli utenti e dalla critica, dimostrandosi all’altezza delle aspettative e della fiducia riposta nel progetto. La creatura di Larian Studios è un gioco di ruolo isometrico di stampo occidentale e dall’anima estremamente classica: un tripudio di classi, equipaggiamenti, armi ed accessori, combattimenti a turni con combo di attacchi fisici e magici sulla breve, media e lunga distanza, evocazioni e consumabili, scelte morali e decine e decine di quest facoltative, NPC da aiutare e antagonisti più o meno malvagi da sgominare.
Il successo di Divinity: Original Sin ha spinto Larian Studios ad aprire un nuovo Kickstarter per la realizzazione del seguito, attualmente conosciuto come Divinity 2, come anche alla presentazione di Divinity: Original Sin Enhanced Edition: una versione, come appunto suggerito dal nome, “potenziata”, con migliorie alle animazioni e alla grafica, aggiunta di classi, armi ed oggetti, doppiaggio completo dei dialoghi, quest ed NPC aggiuntivi, ribilanciamenti vari e molto altro, il tutto ottenibile gratuitamente per i possessori del gioco Vanilla e reso disponibile, in copia fisica o digitale, anche per i giocatori Playstation 4 e Xbox One.
Un simile traguardo, per un titolo di natura indie e dal taglio così tanto old-school, è notevole; va però fatto notare come, negli ultimi anni, si sia fatta largo proprio la moda di un “ritorno alla vecchia scuola”. In un parco titoli colmo di giochi – di ogni genere – che sempre più puntano all’estetica e alla narrazione a discapito della complessità del gameplay, ha trovato spazio una corrente di pensiero diametralmente opposta, con videogiocatori alla ricerca del “gioco hardcore”, punitivo, complesso, criptico. Il successo dei Souls di From Software – casa di sviluppo giapponese, fautrice di un ormai “nuovo genere” di videogiochi – ne è un esempio, così come quello di The Binding of Isaac, un titolo indie rogue-like, inizialmente sviluppato in Flash e che oggi vanta ben oltre i 2 milioni di copie vendute tra PC e console, il recente rilascio di un’espansione e un prossimo arrivo su console Nintendo 3DS.
L’Enhanced Edition di Divinity: Original Sin – analizzata qui in versione console – potrebbe quindi percorrere un cammino simile al suo “collega indie”, o arenarsi contro lo zoccolo duro di un’utenza non più – o meglio, quasi mai – abituata a GDR di tal guisa, per ragioni che vedremo fra poco.
Adattare un simile gioco all’interfaccia da gamepad non è cosa affatto semplice, ma il lavoro svolto da Larian Studios e Focus Home Interactive – distributore della versione per piattaforme Sony e Microsoft – è stato eccellente. Sarebbe sciocco negare che, come del resto ogni GDR isometrico, Divinity: Original Sin sia più godibile se giocato con mouse e tastiera, ciononostante i comandi per controller risultano efficaci, soddisfacenti e fluidi sin dalle prime ore di gioco, sia in modalità giocatore singolo che nel multiplayer locale, nel quale i due giocatori si “dividono” il party, in una co-op tanto superflua quanto divertente e appagante.
La grafica, ovviamente, non è il cavallo di battaglia di questo prodotto, ma è comunque piacevole e stilisticamente azzeccata: coloratissima e dal design “classico”, la caratterizzazione di personaggi ed ambienti è cartoonesca e “fantasy che più fantasy non si può”, perfettamente in grado di rendere l’atmosfera; ogni cantone di questo gioco trasuda, infatti, ironia e voglia di non prendersi particolarmente sul serio. I dialoghi, interamente ben doppiati in questa Enhanced Edition, sono spesso volutamente caricaturali, scanzonati e tendenti a sdrammatizzare anche le situazioni più importanti: ciò è solo un bene, visto che al giorno d’oggi un GDR dalle meccaniche così tradizionali, se troppo serioso, potrebbe stuccare rapidamente la fetta più giovane – e numerosa – del pubblico.
La trama in se è abbastanza lineare, così come la caratterizzazione dei protagonisti e dei comprimari; va detto che questa edizione del titolo aggiunge sì numerose missioni di approfondimento della storyline e alcuni NPC con relative quest, ma l’ossatura di base è rimasta comunque invariata rispetto alla versione Vanilla, sicuramente ben scritta e apprezzabile, ma senza la pretesa di far gridare al capolavoro. Il discorso cambia completamente quando ci si focalizza sul gameplay; accompagnato da musiche piacevoli, orecchiabili e non invasive, i combattimenti sono scanditi da un ritmo ben definito: ogni azione e movimento comporta il consumo di Punti Abilità, che una volta esauriti fanno terminare il turno del personaggio.
Ogni avversario ha i propri punti di forza, resistenze e debolezze; ogni abilità, fisica, ranged o magica, elementale e non, ha maggiore o minore efficacia ed effetti secondari a seconda delle statistiche del personaggio, dell’arma ed equipaggiamento impiegati e della porzione di mappa su cui viene effettuata. Anche al livello di difficoltà minimo, una singola decisione errata può capovolgere le sorti di un combattimento, come ad esempio un attacco elettrico lanciato su una pozzanghera – di acqua o sangue – o dentro una nuvola di vapore, così come un attacco di fuoco scagliato contro o in prossimità di barili, chiazze e sospensioni velenose/oleose. La minima distrazione può impedire d’attaccare, far subire ingenti danni da fuoco amico o persino far perdere preziosissimi turni, senza che il giocatore abbia possibilità di “correggere il tiro” annullando l’azione.
Ciascuna battaglia, sin dalle prime ore di gioco, richiede quindi la massima attenzione da parte del giocatore, premiando i più tattici e punendo senza pietà distratti e faciloni; la modalità di gioco Honour Mode, sadica aggiunta dell’Enhanced Edition, mette ben in chiaro la situazione. IA avversaria più complessa e aggressiva, impossibilità di resuscitare i compagni caduti, singolo salvataggio e perdita dei dati di gioco in caso di sconfitta del party… Tutto a dimostrazione di come i mezzi, offensivi e difensivi, messi a disposizione del giocatore siano armi a doppio taglio, spietate ma oneste.
Quanto esposto finora appagherà sicuramente i più nostalgici e assetati di sfide, ma potrebbe al contempo pregiudicare il successo del titolo nelle sue versioni console: non si tratta di presunta mancanza di bravura dei cosiddetti “console peasants”, ma di come e cosa il giocatore-consumatore considera “videogioco” e si aspetta dal proprio acquisto. Inoltre è innegabile che la comunità di “consolari”, a prescindere dall’età e dal talento e con ovvie eccezioni, giudica spesso il videogame come semplice forma di intrattenimento ludico, un “passatempo”, una “pausa”, che quindi Può, ma non Deve, diventare sempre e comunque una sfida, un “lavoro”, un “compito a casa”.
Va precisato che Divinity: Original Sin, con le sue 12 classi selezionabili e combinabili tra loro, è ben lontano dall’essere un titolo impossibile o scorretto: basta un po’ d’esperienza – e game over – per imparare in fretta quali siano le migliori combo e tattiche per procedere rapidamente sino al finale di un’avventura di certo longeva e rigiocabile (la campagna principale può essere agevolmente terminata in una quarantina di ore al livello di difficoltà standard). Eppure, a quasi un mese dal rilascio dell’Enhanced Edition, solo lo 0,2% dei giocatori Playstation 4 ha raggiunto il finale del gioco in una qualunque modalità e nessuno ha ancora completato la collezione dei trofei.
In conclusione, l’Enhanced Edition di Divinity: Original Sin è senz’altro un prodotto valido, meritevole di rispetto e del proprio costo d’acquisto, ma che potrebbe non ricevere un’accoglienza entusiastica nel panorama console, in quanto titolo davvero old-school e poco user-friendly rispetto a ciò cui il parco titoli odierno dello stesso genere ha abituato il videogiocatore medio.
Bisogna comunque sperare che il tempo confuti questi timori e che la creatura di Larian Studios, grazie al proprio successo, consenta anche al proprio sequel, ancora in sviluppo, di raggiungere l’universo console: questo perché, pur non essendo un gioco tripla A affatto esente da difetti, il lavoro della software house belga riesce a comunicare la passione e dedizione degli sviluppatori e il loro desiderio di non smetter mai di migliorare e migliorarsi, per il proprio bene, ma anche per quello dei giocatori, acquirenti e consumatori, eppur visti come persone e non come meri numeri e cifre di profitto.
Non sia mai che Divinity: Original Sin riesca persino a ispirare le case sviluppatrici col proprio esempio, una voce fuori dal coro degli ormai troppo comuni “giochi belli da vedere ma che si giocano – e finiscono – da soli”.