Final Fantasy VII Rebirth, il secondo capitolo della trilogia che ha riportato in auge una saga storica (e che viene ancora oggi ricordata nel grande libro della storia dei videogiochi), è giunto finalmente tra noi. In tanti si aspettavano un more of the same in grado di proseguire quanto visto nel primo capitolo, e invece sono rimasti “positivamente” a bocca asciutta.
Square Enix allarga i confini di gioco, offrendo un’apertura di mappa che ricorda gli open world. All’interno di queste enormi superfici di gioco, il gameplay è condito da un numero di attività extra e cose da fare che spingono il numero di ore di gioco verso vette che la serie aveva abbandonato già da qualche tempo. Un ritorno di fiamma immerso in un contesto narrativo sopra le righe, con Cloud e quelli dell’Avalanche che si trovano, ancora una volta, sul cammino del folle piano di Sephiroth.
Graficamente indiscutibile, anche se la differenza tra la modalità “Qualità” e quella “Performance” fa notare maggiormente la distanza rispetto al primo capitolo, al punto da non sentire la necessità di godere della fluidità dei 30fps e lasciare ampio spazio al sensazioni positive restituite dagli impeccabili scenari. Rivederli, a distanza di circa 30 anni da quella prima volta – in una veste assolutamente innovativa – è un perfetto catalizzatore per scatenare l’effetto nostalgia e non solo.
Sul fronte gameplay le novità ci sono ma non sono di rilievo se si guarda la sola componente RPG. Confermando le sensazioni avvertite nelle ultime uscite sul campo, Square Enix ha puntato forte sulla componente action, migliorando sensibilmente il numero di cose da fare nelle sessioni di combattimento. Le transizioni dalla fase esplorativa a quella in cui si volteggiano le spade sono pressocchè intangibili, con delle azioni che adesso interessano anche le affinità nel gruppo. Vi lasciamo, dunque, alla nostra recensione di Final Fantasy VII Rebirth.
COINVOLGIMENTO
Si ricomincia da dove ci eravamo lasciati, o quasi, con qualche innesto lato combat system ed un gameplay ben più aperto rispetto al primo capitolo della trilogia. Una bella ventata di freschezza.
Prime impressioni e interpretazione del genere
Di nuovo insieme a Cloud Strife e a quelli dell’Avalanche in questo secondo episodio della trilogia che ha riportato in auge il celebre JRPG di Square Enix. Si viaggia sulle ali della continuità lato gameplay, con un forte attaccamento a quanto successo nel primo capitolo, indi per cui è se non avete giocato (e finito) Final Fantasy VII Remake vi troverete in evidente difficoltà. Lasciando i raccordi con la trama del primo capitolo al prosieguo di questa nostra recensione, concentriamoci, invece, sugli elementi di continuità del genere.
Gli sviluppatori offrono ancora la possibilità di scegliere se giocarlo in stile “classico” (e quindi con il tempo che scandisce i turni) oppure in stile completamente dinamico, facendolo diventare, in tutto e per tutto, un aRPG di nuova generazione. Il consiglio è, ovviamente, quello di godervelo con la seconda modalità, che subisce un nuovo upgrade in ottica action. Al netto della possibilità di switchare dinamicamente nel gruppo in fase di combattimento, anche il timing dei colpi può assicurare un vantaggio competitivo se perfezionati con il giusto tempismo. Un aspetto che vale anche nei momenti che precedono il combattimento (e quindi in fase di esplorazione).
La component open (togliendo volutamente la parola “world”) è l’assoluta protagonista Final Fantasy VII Rebirth. L’apertura delle mappe di questo nuovo capitolo è visibile sin dal primo capitolo, ed è, a conti fatti, quello che oggettivamente mancava nella pregressa esperienza. L’uscita da Midgar, oltre a funzionare a livello narrativo, fornisce una gran bella iniezione di grinta al gameplay, che mantiene invariata la sua infrastruttura portante. Non a caso il tutorial sembra quasi dimenticarsi dell’esistenza di una componente RPG oltre che quella “Action”, motivo per cui il nostro caldo suggerimento è quello di rispolverare (o addirittura recuperare in toto) Final Fantasy VII Remake.
Fattore ripetitività e scalabilità livello di difficoltà in Final Fantasy VII Rebirth
Ripetitività, questa sconosciuta. Gli sviluppatori lo avevano preannunciato e così è stato: lato contenuti, le ore di gioco spingono a superare la doppia cifra. Siamo, dunque, dinnanzi ad un nuovo primato per Square Enix. Dopo la rivoluzione in stile action messa in campo in Final Fantasy XVI, stavolta si celebra il passato in grande stile, ricordando quei 3 amati CD che componevano quel cofanetto bianco. Di anni ne sono passati da allora, 27 per l’esattezza, ma nonostante ciò quella filosofia che riuscì a salvare dal fallimento un’azienda è oggi divenuto il sinonimo di amore per il medium.
Armatevi, dunque, di tempo e pazienza perché di cose da fare – tra missioni prinicipali, secondarie ed incarichi (e magari ci esce pure qualcosa di segreto e non “dichiarato”) – ce ne sono tantissime. Una quantità che si mescola con la qualità del prodotto, ma quanto dobbiamo sudare per portare la cd. “pagnotta” a casa? Tutto dipenderà da voi e dal vostro modo di giocare. Non parliamo di bravura ma di una feature presente in Final Fantasy VII Rebirth che consente di adattare il livello di difficoltà in base al nostro modo di giocare. L’intelligenza artificiale degli NPC si modella a seconda di quanto siamo bravi e forti, offrendo dei combattimenti, a parità di nemici incontrati, che non sono mai uguali tra loro.
Se sommate, quindi, le due componenti – quella contenutistica e quella della difficoltà dinamica – otterrete una ricetta che si avvicina alla perfezione.
CONTESTO DI GIOCO
Storia intensa e personaggi sopra le righe. Sotto il profilo narrativo, siamo davanti ad un nuovo livello di eccellenza nel genere degli aRPG, con Square Enix che ci regala una nuova perla.
Storia e protagonisti
Non ricominciamo da dove ci eravamo lasciati, o meglio, rivivremo quello che è successo dopo la fuga da Midgar partendo dalle battute finali di Final Fantasy VII Rebirth. Un colpo di coda che ci spoilera alcune tragedie, servite in maniera cruda e senza poesia. Purtroppo, così come ce le ricordavamo. Un doppio flashback che ci ricorda come Sephiroth si è trasformato in quel demone che vuole dominare sul mondo, e con la Shinra che ancora una volta ci mette il suo. Dopo essersi lasciati alle spalle questo prologo, iniziamo con gli eventi di Final Fantasy VII Rebirth, che questa volta lasciano ampio spazio al gameplay.
I protagonisti sono più che fantastici, ancora più strutturati rispetto al primo episodio della trilogia. Cloud apre sempre di più il suo cuore (anche se dimostra segni di resistenza che talvolta lo dipingono come un “sempliciotto”), Barret è diventato il papà del gruppo (lasciando a Midgar quel suo animo da burbero) sviluppando, altresì, un amicizia con il buon Red XIII (destinata a diventare tra le più belle della storia del gaming). Tutta la storia ruota attorno a loro, con un viaggio attraverso alcune località iconiche della serie tra cui Junon, Costa del Sol e il Gold Saucer.
Credibilità rispetto al genere
A primo impatto, il mood narrativo subisce un’importante battuta d’arresto. Il ritmo di Final Fantasy VII Rebirth è ben più lento rispetto a quello del Remake, con quella frenesia da combattimento che lascia un ampio spazio alla lentezza dell’esplorazione. La storia è comunque un elemento imprescindibile di questo secondo capitolo della trilogia, ma le cutscene sono molto più dilazionate rispetto alle avventure vissute nel 2020. Una scelta che ci è sembrata ovvia e fisiologica rispetto a metodo di fruizione del gameplay, molto simile a quello degli open world.
È pur sempre un Final Fantasy, non dimentichiamocelo. Square Enix ha dedicato un’attenzione maniacale alla costruzione di storia e personaggi, tanto credibili quanto aderenti alle loro controparti storiche. L’operazione Remake non ha cancellato, con un colpo di spugna, i tratti genetici del successo del 1997, cristallizzando un sogno rimasto nel cassetto per molti. Vedere quel mondo super deformed prendere vita è stato – ed è tuttora oggi – un’emozione indescrivibile
CONTROLLI/GAMEPLAY
Un riutilizzo intelligente di alcuni archetipi già visti nel primo capitolo, alcuni innesti importanti lato combat system e un equilibrio con l’inedita componente esplorativa: ecco servita la ricetta perfetta.
Feeling, complessità e accessibilità dei controlli
Sono serviti solo pochi minuti per raccordarci con la pregressa esperienza avuta qualche anno fa. Il sistema di gioco è rimasto pressoché immutato, con il layout dei controlli che non subisce alcun mutamento significativo. Allo stesso modo di 4 anni fa, la scelta è ricaduta sulla modalità action delle battaglie, notando una spinta importante verso il dinamismo e la spettacolarità. Certo, non siamo al pari di Final Fantasy XVI, ma le evoluzioni dei vari protagonisti sono piuttosto apprezzabili. Non vogliamo banalizzare dicendo che nulla è cambiato sotto questo preciso aspetto, ma ci siamo molto vicini. Non prendetelo, però, come un elemento negativo, visto e considerato il principio di continuità in ottica trilogia.
Struttura del gameplay e coerenza con il genere
Square Enix prosegue con la sua filosofia vista nel primo capitolo della trilogia, ripresa poi a pieno titolo in Final Fantasy XVI, ovvero quella di un gameplay che risponde ai canoni di un aRPG con una fortissima spinta propulsiva verso la spettacolarità dei combattimenti. L’apertura del mondo di gioco amplifica meglio questo concetto, con la ricerca di sfide sempre più intense. L’impianto della struttura base del gioco non è cambiato moltissimo. L’espansione delle armi segue l’archetipo dei manuali, con nuove mosse da apprendere previo l’acquisto di manuali e la spendita di punti esperienza accumulati.
Restando sul tema dei combattimenti – e in particolare su quello delle nuove mosse apprese – è stata riservata un’attenzione maggiore alle mosse da performare in coppia. Queste vengono sbloccate come descritto sopra, e la loro esecuzione (così come l’intensità e l’efficacia dei loro effetti) dipende dal livello di feeling dei partecipanti del gruppo. Un aspetto molto interessante, che veicola le regole di costruzione del trio. Non più “solo” build-centrico, quindi, ma anche in relazione all’intesa tra i componenti. Non vi nascondiamo che questa piccola introduzione è servita notevolmente a ravvivare le sessioni di combattimento, soprattutto quando il livello di sfida iniziava a salire.
Largo spazio anche al crafting, che prende il nome di Trasmutazione. Qui si capitalizza la mania da drop ossessivo compulsivo, con il mondo di gioco che premia tutti i curiosi. L’olfatto del chocobo vi aiuta a rinvenire tesori nascosti, alcuni dei quali piuttosto rari. L’area esplorabile liberamente vi consente, inoltre, di reperire un numero indefinito di materie prime da utilizzare per realizzare pozioni di ogni genere e tipo, parti di equipaggiamento ma anche materie da utilizzare per le magie e da incastonare nelle armi.
Parleremo a breve della componente “open” del gioco, ma l’aria che si respira è di assoluta novità, sempre se si guardano le ultime uscite sul campo. Il senso di libertà si percepisce sin dai primissimi momenti di gioco, con l’esplorazione delle città non più “corridocentrica” ma trasversale e con una moltitudine di potenziali cose da fare (con il gioco di carte “Regina Rossa” che canalizzato tutte le nostre attenzioni). Questa sua trasversalità ha, poi, caratterizzato tutta la fase esplorativa, generando un equilibrio perfetto con la componente esplorativa. Era quello che effettivamente mancava, e Square Enix ha colpito nel segno.
DIMENSIONE ARTISTICA
Il secondo capitolo offre un nuovo punto di vista, che passa dagli ambienti stretti e ben delimitati a territori estesi che profumano di open world, ricordando i bei tempi che furono.
Ambientazione, stile e fattore immersione
Le precedenti esperienze Final Fantasy 7 Remake e Intergrade sono servite agli sviluppatori per comprendere quella che doveva essere la direzione da intraprendere in Final Fantasy VII Rebirth. La condizione sine-qua-non, in tal senso, è stata il concepire questo nuovo capitolo interamente su console di nuova generazione, partendo dalla sua genesi e in tutto il suo sviluppo. Questo ha permesso agli sviluppatori di espandere gli orizzonti di gioco che prima erano vincolati alle sole città e regalare un’apertura di mappa con un formato di fruizione in perfetto stile open world.
Rispetto al primo capitolo i ritmi di gioco sono completamenti diversi, e questi sono ben più adatti a godersi le numerose sessioni esplorative offerte dal gioco. Tendenzialmente, Final Fantasy VII Rebirth offre situazioni “aperte” e “chiuse”. Nelle prime si gode di massima libertà d’intervento e si è soggetti ad incontri e avvenimenti casuali; nella seconda, invece, si assiste ad un raccordo con quella chiusura vista nel Remake, anche se questa è contestualizzata e ben individuata. Anche in fase di esplorazione dei centri abitati si assiste ad una maggiore vitalità, con ben più elementi grafici ed effetti visivi in genere che aiutano a catalizzare l’enfasi immersiva del momento.
Livello di definizione grafica
Square Enix offre ai giocatori la possibilità di scegliere tra due modalità di visualizzazione, ossia Fedeltà e Prestazioni. Memori della precedente esperienza a Midgar, ci siamo fiondati subito sulla seconda scelta, puntando forti sui 60fps. Il nostro senso di appagamento veniva, però, a mancare in tutti quei momenti fuori dai combattimenti, con un sensibile peggioramento grafico. Optando per la modalità grafica Fedeltà, tutta la prospettiva cambia, con un rinnovamento della definizione e dei dettagli da brividi. Il passaggio, tra le due modalità, non è morbido. La sua drasticità, invero, aiuta a comprendere meglio quello che oggettivamente si perde sul fronte esperienza. In controtendenza, ci siamo quindi tenuti stretti i nostri 4K e i 30fps.
Nelle cutscene – e anche meglio in modalità Fotografica – è possibile apprezzare il rinnovato lavoro di pulizia e definizione grafica apportato dagli sviluppatori di Square Enix a tutti i modelli dei personaggi. Non parliamo tanto di fisionomia, rimasta pressocchè invariata rispetto al primo capitolo, quanto ai dettagli come i capelli, gli occhi, l’epidermide, i tessuti e i materiali in genere. Un lavoro reso possibile solo grazie al ritrovato potenziale delle console di nuova generazione.