Un nuovo episodio di “Nostalgia” lo viviamo con Final Vendetta, il titolo della nostra recensione della versione per console PS5. Numskull Games e Bitmap Bureau riportano in auge un vecchio classico della sale giochi, quando al posto delle console il divertimento si viveva tra i cabinati. Ed è proprio che in questo contesto che Vendetta fece la sua prima apparizione nel 1989 ad opera di Konami, conosciuto però con il nome di Crime Fighters. Successivamente, nel 1991 arrivo il secondo capitolo anche nelle sale giochi italiane e fu quello che forse ebbe più successo nell’economia della trilogia, che chiuse i battenti nel 1993 con Violent Storm.
Dal punto di vista narrativo Final Vendetta si ispira all’ultimo capitolo, per quanto la tematica della serie giri sempre attorno allo stesso argomento. Un rapimento e una lotta tra gag rivali, in un contesto simil cyberpunk e post apocalittico. Ispirazioni figlie dell’epoca, tra Final Fight, Street of Rage, Ken il guerriero e Mad Max, gli argomenti di discussione erano figli dei trend. La formula del beat’em up a scorrimento, poi, era di derivazione “arcadiana”, visto e considerato che le console domestiche erano ancora un privilegio per pochi.
Di li a poco il mondo videoludico cambiò definitivamente i connotati, e i cabinati vennero proiettati verso una lenta e fisiologica estinzione. Adesso si parla di retrogaming, e gli adolescenti dell’epoca si godono l’ultima fatica dei dev inglesi, abbandonati ad intense emozioni e numerosi ricordi. Quando ancora il contatto umano non era vincolato ad una connessione internet, e una pacca sulla spalla valeva molto più di un like.
Abbiamo iniziato l’estate con una vena amarcord. Dopo il tuffo nei ricordi vissuto in Teenage Mutant Ninja Turtles: Shredder’s Revenge, Final Vendetta non è da meno, anche se l’offerta contenutistica offerta non è delle migliori. Al cuore non si comanda, questo è vero, ma alla testa difficilmente si riesce a mentire. Vi lasciamo, quindi, in compagnia della nostra recensione della versione per console PS5.
Un lento scorrere, tra nemici e boss finali
Bitmap Bureau si ispira alla trilogia originale, sia in termini di gameplay che sotto il profilo narrativo. Un classico beat’em up a scorrimento orizzontale, dove ogni livello termina con un mini-boss. La trama è effimera e serve solo per aggiungere un po’ di colore all’oretta che serve per arrivare al big boss. A livello di modalità, Final Vendetta ne offre 4 diverse, ognuna con delle particolarità che aiutano a schivare l’annoso problema della ripetitività.
L’Arcade è quella che meglio ricalca il concetto stesso di “amarcord”, dove si consuma il vero e proprio tributo al passato della saga. Si va avanti a suon botte da orbi, cogliendo una piccola chicca che forse “oggi” emerge più di “ieri”. L’elemento della parata, infatti, introduce una “novità” se lo si paragona con le logiche previste dal genere, che aggiunge, in un certo modo, un pizzico di tattica laddove non era lontanamente concepita. Le schivate, come ben sappiamo, erano l’unico modo conosciuto per evitare la perdita di “una vita”.
Survival, Versus e Boss Rush aiutano in ottica endgame, con la prima che punta i riflettori sulla vostra capacità di sopravvivenza e la leaderboard che vi aspetta al traguardo. La seconda delle tre “scimmiotta” i picchiaduro a incontri, ma non è nulla di lontanamente paragonabile ad alcuni mostri sacri del genere. L’ultima del trio vi metterà a confronto con i cattivoni di turno, lasciando a casa i nemici “di poco conto”.
Il sistema dei controlli è lento e poco reattivo. Il roster dei protagonisti prevede solo 3 personaggi, ognuno dei quali con punti di forza e debolezza. Claire Sparks punta sulla velocità di movimento, Miller T. Williams, invece, sulla forza e Duke Sancho è il classico PG bilanciato. Tutti e 3 hanno delle super mosse che liberano l’area di combattimento, ma richiedono tempo per essere ricaricate. Tempo che dobbiamo impiegare nell’unica cosa che conta: menare le mani.
Cuore vs Testa
Final Vendetta si presenta quasi come un remake, sempre in stile pixel art e con le stesse identiche dinamiche della trilogia originale. Storie di rapimenti e di bande rivali, dove l’unico modo per ragionare è quello di menare le mani, livello dopo livello. Bitmap Bureau, ad onor del vero, aggiunge un nuovo episodio alla saga originale, quasi come se fosse un capitolo 3.5. I personaggi, però, sono gli stessi di Violent Storm, con nomi diversi ma con le medesime abilità e tecniche di combattimento.
Per non parlare, poi, del contesto storico degli eventi dove cambiano solo le etichette delle bande rivali, ma lo svolgersi degli eventi è praticamente lo stesso. Il sistema dei controlli è poco reattivo, uguale alla sua controparte “cabinata”. All’epoca era comprensibile, ma con una operazione di restyle si poteva fare decisamente di più. A peggiorare una situazione già estremamente precaria arriva una ricerca ossessiva dello stile pixel art che, con i televisori e monitor di oggi, appare piuttosto infelice.
Eppure, i margini per fare bene c’erano tutti. L’esperimento riuscito di Streets of Rage 4 ne è un esempio eclatante, visto e considerato che oltre ad essere un sequel della saga storica è riuscito a rigenerare una trilogia che sembrava già aver detto tutto. Final Vendetta poteva ottenere questo risultato, senza restare incatenati a ciò che è stato. Il passato non deve essere, per forza di cose, visto come una prigione. A volte, infatti, è meglio considerarlo come un nuovo punto di partenza.
L’operazione “nostalgia” portata avanti in Final Vendetta non ha sortito, quindi, gli effetti desiderati. Il titolo si presenta come un timido intervento di restyle, lasciato incompiuto e senza quel coraggio di chi ha voglia di correre qualche rischio in più. Quando si deve fare i conti con il passato non è facile, e ce ne rendiamo conto. Ma altri lo hanno fatto, con dei risultati che sono ben lontani da quello che abbiamo avuto modo di vedere.
In conclusione
Ed eccoci giunti al momento conclusivo della nostra recensione di Final Vendetta, titolo che abbiamo provato nella sua versione per console PS5. Le nostre aspettative, purtroppo, sono rimaste deluse. Dopo aver ritrovato in splendida forma le tartarughe ninja, Numskull Games e Bitmap Bureau non riescono ad ottenere lo stesso obiettivo di Dotemu e Tribute Games. Le operazioni nostalgie non sono cose facili, ma chi non osa non verrà mai ricordato nella grande storia dei videogiochi.
Il risultato è quello di un titolo che si trascina sui fasti del passato, con un capitolo che sembra proseguire la storica trilogia, ma che finisce con il diventare uno strano copia e incolla del terzo episodio. Tutto il resto è rimasto immutato, così come ce lo ricordavamo. Stessi personaggi, grafica e gameplay, senza aggiungere nulla alla ricetta originale del gioco. Un po’ troppo poco per un’occasione che meritava di essere colta adeguatemente, e invece è finita con il diventare “persa”.