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House of Ashes, la recensione su PS5

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House of Ashes, la recensione su PS5

Una bella discesa nelle tenebre quella che andremo ad affrontare in House of Ashes, il titolo della nostra recensione per console PS5. La saga The Dark Pictures Anthology accoglie il suo terzo capitolo, dopo l’uscita di Men of Medan e Little Hope. La ricetta cambia leggermente rispetto al suo passato, abbandonando il genere horror/thriller psicologico in favore di un qualcosa di mostruosamente tangibile. In un certo modo, abbiamo visto numerosi punti di contatto con Until Dawn, il precursore di questa nuova saga realizzata da Supermassive Games ed edita da Bandai Namco.

L’utilizzo della torcia per illuminare le zone buie e le sequenze di tiro a fuoco ne sono un chiaro esempio. Ascoltando i numerosi feedback pervenuti dalla community l’inquadratura adesso è libera e non più vincolata. Questa scelta si è resa necessaria anche per via della location degli eventi, visto che siamo immersi nelle viscere della terra. Ovviamente non saremo soli, questo è poco ma sicuro.

House of Ashes ps5 recensione

Il contesto narrativo è ben diverso in questo terzo capitolo rispetto ai precedenti due. In House of Ashes ci muoviamo più verso il “terreno”, costantemente braccati da predatori in cerca di carne e sangue. La formula della paura cambia la propria composizione, anche se si avverte la sensazione che qualcosa comincia a non funzionare più come prima. Il famoso “effetto spavento” non lascia mai il segno, con una storia che non si dimostra originale (easter egg a parte, ndr). Il terrore provato in Men of Medan è un lontano ricordo.

Dal punto di vista artistico Supermassive Games, ancora una volta, lascia il segno. La nuova generazione di console aiuta moltissimo gli sviluppatori, anche se dimenticano completamente l’esistenza del DualSense. Il feedback aptico è timidamente sfruttato in chiave gameplay, utilizzando in rare occasioni i soli trigger adattivi. Il resto lo lasciamo alla nostra recensione di House of Ashes, titolo, vi ricordiamo, giocato su console PS5.

Prime impressioni: qualche passo avanti e indietro

House of Ashes e il terzo capitolo di una saga che ne prevede almeno 8, il penultimo, invece, della prima stagione di contenuti. Venivamo dalle due precedenti esperienze vissute in Men of Medan e Little Hope che, per quanto diverse per trama, avevano un formato di fruizione molto simile. Entrambi sviluppavano un concetto di paura psico-style, aiutato da luci e sospiri infernali. Il concetto di novità c’era, per una saga che ha voluto imitare – riuscendoci egregiamente – i canoni del cinema d’autore.

Il merito di Supermassive Games è proprio questo. Farci vivere in un film interattivo, dove ricopriamo i ruoli di registi e attori, in un sistema di scelte/conseguenze da cui non si scappa. Ed è questo sin dai tempi di Until Dawn, ancor prima di The Dark Pictures Anthology. La domanda sorge spontanea: non è che magari è arrivato il momento di cambiare qualche ingrediente nella ricetta?

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Tralasciando le libere ispirazioni cinematografiche (il tributo ad Alien di Ridley Scott è stato apprezzato, ndr), la nuova generazione di console offre delle feature che devono essere sfruttate e non tralasciate. Per quanto grafica e gameplay siano importanti, le sensazioni tattili non vanno lasciate a casa. A maggior ragione se il tutto viaggia sui binari del terrore e della paura. Il demerito riconosciuto ai dev è proprio questo. Ci sono troppi momenti in cui la distanza, a livello emotivo, è troppo evidente.

Anche i personaggi li abbiamo visti un po’ “scarichi”. Tralasciando simpatie e antipatie, il ruolo dell’eroe di turno si fatica ad individuare, indentificando un appiattimento generale dei tratti caratteriali dei vari personaggi. “Dulcis in fundo” le sequenze giocate si trovano sempre soffocate all’interno di cutscene la cui durata è, talvolta, esagerata. E noi li che aspettiamo, tra pad e pop corn.

Contesto di gioco: tra pad e pop corn

Supermassive Games si è guadagnata un nome di tutto rispetto nell’olimpo delle avventure narrative, dove la componente cinematografica d’autore molto presente. House of Ashes trae spunto da best sellers del calibro di Alien, Predator e The Descent. Già questi vi bastano per far capire dove si vuole “andare a parare” a livello di trama e contenuti. Ve lo abbiamo già anticipato all’inizio della nostra recensione, questa volta la psicologia vale zero. È tutto vero, e non nella nostra immaginazione.

La storia gode di un bel mix tra storia e politica. Gli eventi si svolgono nel 2003, a ridosso della liberazione dell’Iraq dalle forze dell’ex dittatore Saddam Hussein. Vi sono ancora delle piccole sacche di resistenza sparse nell’ispido territorio iracheno, dove una piccola task-force americana si reca in quello che doveva essere un deposito di materiale presumibilmente esplodente. Agli ordini del Colonnello Eric King la squadra ingaggia un violento scontro fuoco che termina con un devastante terremoto. I due schieramenti si ritrovano all’interno di un insediamento archeologico, sepolto nelle viscere della terra.

House of Ashes ps5 recensione

Qualcuno prima di loro lo aveva scoperto ma non aveva mai fatto in ritorno in superficie per raccontare quello che vi si celava al suo interno. Il nostro obiettivo, oltre che portare a casa la pelle, è quello di scoprire cosa è successo alla vecchia squadra di spedizione. Nel loro racconto, che si svela attraverso pagine di diario e manoscritti, si nasconde la chiave della salvezza. Le scelte sul cosa fare e non, spettano sempre a voi. E questo vale sia nel bene che nel male.

Una storia nella storia quella raccontata in House of Ashes, che trae origine dalla maledizione che ha colpì il sovrano accadico Naram-Sin e che portò alla fine del suo impero. Il tutto si ricollega alla figura degli Annunaki (e questo è un grandissimo spoiler per chi vuole coglierlo, ndr), divinità degli inferi e/o relegate nella profondità della Terra. Il loro regno è appunto il sottosuolo, dove vi hanno stabilito il loro regno sin dal principio della notte dei tempi.

Gameplay: finalmente liberi

Lo sviluppo di House of Ashes è iniziato dai consigli della community. Vi erano alcune cose che limitavano fortemente il giocatore e i suoi movimenti all’interno dello scenario di gioco e tutto ruotava attorno alla gestione delle inquadrature e della camera. Supermassive Games ha provato a resistere a quella che era un lascito di Until Dawn ma che iniziava a puzzare di “vecchio”. Effettivamente, rispetto all’ambientazione scelta in questo terzo capitolo, sarebbe stato un suicidio riproporre le stesse soluzioni.

Interessante, invece, l’inserimento dei vari livelli di difficoltà che influiscono sul tempo di reazione dei famosi quick time event. L’errore più grande è quello di sollevare le dita dai tasti del pad. Queste sequenze sono sempre improvvise e mai annunciate. I quick time events influiscono nel famoso butterfly effect e rientrano all’interno del sistema logico-conseguenziale alla base del gameplay.

House of Ashes ps5 recensione

Tutto quello che succede influisce sul destino dei vari personaggi, che viene talvolta annunciato da alcune visioni. Occorre prestare molta attenzione ai vari elementi e manufatti che si celano nelle oscure profondità delle caverne. La software house inglese reintroduce un elemento interessante, recuperato – pensate un po’ – da Until Dawn. Parliamo delle flashlight e delle fonti luminose, utili per aprire una finestra luce nel profondo buio delle viscere della Terra.

Vi è però un enorme problema di bilanciamento tra le sequenze giocate e non. Va bene che è un’avventura con una forte componente narrativa, ma è pur sempre un videogioco. In verità questa tendenza è andata in crescendo a cominciare da Little Hope. Men of Medan viaggiava su un giusto compromesso, facendo vivere le claustrofobiche ambientazioni della nave fantasma sino alla fine. House of Ashes ci lascia troppe volte senza lavoro, poggiando il pad sul divano e prendendo un bel pacchetto di pop corn. Scelta, che a nostro avviso, non paga vista la vena action che scorre nel gioco.

Dimensione artistica: la paura ringrazia la next gen

Il punto di forza della saga The Dark Pictures Anthology è la componente artistica. I 3 capitoli sinora usciti non hanno mai sbagliato un colpo e sono andati sempre più in crescendo sotto questo aspetto. Le claustrofobiche location di Men of Medan hanno lasciato spazio a quelle un po’ più open viste in Little Hope, incontrando una “leggera” via di mezzo in House of Ashes. La nuova generazione di console aiuta nella costruzione della “bellezza” ma il tutto ha dei costi.

La scelta è sempre la solita: modalità Performance o Qualità? Vabbè che il gioco è basato sulle decisioni, ma queste due sono forse quelle più importanti. L’ago della bilancia vive, come sempre, nel framerate. In Performance mode il 4K è sempre garantito dalla presenza dei 30fps piuttosto costanti, con il ray tracing che sembra far capolino sono in alcune fasi di gioco. Quelle, guarda caso, dove l’azione è pari a zero. In Quality mode, invece, si viaggia a 60fps con il dovuto – e fisiologico – scalino grafico.

House of Ashes ps5 recensione

Essendo un’avventura narrativa, con delle sequenze action guidate e un basso livello di interazione, il consiglio è quello di godersi House of Ashes in Quality mode. Non abbiamo mai sentito la necessità di alzare i giri del motore, aprezzando il pregevole lavoro artistico realizzato dai dev.

Quello che, invece, vi consigliamo di fare e optare per un valido impianto acustico. Le cuffie sono obbligatorie, questo è poco ma sicuro. Se eravate intenzionati ad acquistare le nuove Pulse 3D di Sony, beh questa è sicuramente l’occasione giusta. Gli effetti sonori presenti in House of Ashes sono pazzeschi. Non solo per varietà ma anche per posizionamento e spazialità degli stessi. I suoni fungono da guida nelle oscure profondità dalla Terra, e quando davanti a voi c’è il buio assoluto l’udito vi fa portare a casa il vostro prezioso sedere. E mi raccomando se sentite un rumore dietro le vostre spalle è piuttosto normale. Uno spassionato consiglio: non commettete mai l’errore di girarvi.

House of Ashes ps5 recensione

In conclusione

Il terzo capitolo della saga di The Dark Pictures Anthology ci regala, ancora una volta, una bella dose di terrore in formato videoludico. House of Ashes si avvicina più all’horror fantascientifico che psicologico, ricordando con nostalgia Until Dawn. C’è molto di questo ultimo, segno che la saga ha iniziato a fare un po’ di reverse engineering. Un ritorno al passato si è reso necessario per una saga che inizia a dare dei segni di stanchezza piuttosto evidenti. 

Personaggi e storia non sono all’altezza dei precedenti capitoli. La dimensione artistica, invece, è da 10 in pagella. Supermassive Games, per qualche strano motivo, decide di non spingere sulle potenzialità del DualSense, lasciandoci – in troppe occasioni – con in mano un pacchetto di pop corn. Le numerose cutscene meritavano di essere vissute e non solo viste. Una scelta, questa, che pesa come un macigno nell’economia generale del gameplay, anche in chiave rigiocabilità. Il tutto, in attesa delle Curator’s Cut, già nelle mani di chi ha effettuato il pre-order.