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Life is Strange: True Colors, recensione su PS5

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Life is Strange: True Colors, recensione su PS5

Si torna ad investigare con Life is Strange: True Colors, il titolo di questa nostra recensione per console PS5. L’IP, ideata da Dontnod Entertainment ma di proprietà di Square Enix, passa nelle mani di Deck Nine Games, gli stessi di Life Is Strange: Before the Storm. Questa volta, in un certo senso, giocano in casa, costruendo una storia che si svolge in Colorado, nella città immaginaria di Haven Springs. Il compito, che sono chiamati ad assolvere, è piuttosto impegnativo. Non più personaggi ereditati dal precedente lavoro svolto dai colleghi e, soprattutto, non più episodi.

Non vi sono connessioni con i precedenti capitoli della serie, ad esclusione di Steph, unico personaggio che troveremo anche in Life is Strange: True Colors. Per il resto è tutto nuovo, con una nuova location da esplorare e misteri da risolvere. La vena investigativa del gameplay non cambia, anche se questa volta la protagonista è coinvolta in un dramma personale.

Life is Strange: True Colors recensione ps5

Il povero fratello di Alex Chen, Gabe, muore in circostanze misteriose. Tutto lascia pensare ad un tragico incidente, ma la ragazza non ci sta e vuole andare fino in fondo e scoprire la verità. Anche lei, come i precedenti personaggi della serie, ha dei poteri innati. Il suo dono – che lei definisce, invece, come una maledizione – le permette di entrare in empatia con l’ambiente circostante. Il rischio è quello di rimanere intrappolati nel micromondo emozionale con cui viene a contatto, sino a trasformare la propria personalità.

La dimensione artistica è al pari di un dipinto. L’Unreal Engine, in coppia con il ray tracing, ci regala un paesaggio da cartolina, che rende più in orari diurni che notturni. Gli sviluppatori, per far apprezzare al meglio le luci e i suoni che animano Haven Springs, ci danno la possibilità di sfruttare i cd. “momenti zen”. Un modo, questo, per staccare la spina e uscire dal quotidiano. Un po’ quello che ci ha permesso di fare Life is Strange: True Colors, con il racconto di questa esperienza che vive nella nostra recensione per console PS5.

Prime impressioni: Un contagio di emozioni

Il paragone con i precedenti capitoli della serie sono piuttosto ovvi, evitarli è impossibile. La cosa che più ha stimolato il nostro interesse è stata la scelta di abbandonare il format episodico, e proporre, quindi, un’avventura unica “tutta d’un sorso”. Sia ben chiaro, non siamo degli amanti dei videogiochi in pillole. Una produzione videoludica richiede tempo e risorse che non si presentano come immediati. Il tutto rischia di far perdere quel filo conduttore, oltre che arrivare in un momento dove l’interesse dei giocatori verte su altro.

Il modello di fruzione del videogioco è lo stesso di quello visto sinora con i precedenti capitoli. Dontnod Entertainment si concentrava moltissimo sui personaggi e sulle loro storie, creando un contesto che si svelava con il tempo. Deck Nine Games, invece, costruisce l’alone di mistero aiutandosi con il contesto di gioco, presentando subito tutti i personaggi ma celando le loro reali intenzioni ed emozioni.

Life is Strange: True Colors recensione ps5

Ed è qui che entra in gioco Alex. Con il suo potere è in grado di scoprire il passato e il presente, ipotizzando un possibile scenario futuro. Il suo legame empatico viaggia a livelli di intensità, con i colori che definiscono la tipologia delle emozioni. Rosso per la rabbia, viola per la paura e così via. Il feedback aptico, su PS5, aiuta a percepire meglio le emozioni, avvisando il giocatore quando c’è qualcosa che merita la nostra attenzione.

Il sistema delle scelte è ancora più presente. Alla fine di ogni capitolo, infatti, vi è un resoconto rispetto alle nostre decisioni, che lascia intuire una molteplicità di finali, e quindi la possibilità di rigiocarlo con un interesse sempre vivo. Cercate solo di farvi guidare – almeno nel corso della prima run – dalle vostre emozioni. Le scelte devono essere prese con la consapevolezza che non esiste mai quella giusta a priori.

Contesto di gioco: Haven Springs come Twin Peaks

La cittadina di Haven Springs ospita il contesto narrativo degli eventi di Life is Strange: True Colors. Il ricordo, almeno per chi vi scrive, è andato subito a Twin Peaks. Laura Palmer come Gabe Chen, con un colpevole nascosto nell’ombra. Saranno le sole emozioni che consentiranno alla sorella Alex di svelare che cosa sia realmente accaduto in quella notte, e chi lo vuole far assomigliare a un incidente a tutti i costi.

Il primo capitolo sembra l’idillio del posto perfetto. Tutti carini, gentili e disponibili, creando il classico quadretto di città perfetta. Ma ogni luogo nasconde dei segreti e misteri, e gli abitanti di Haven Springs di scheletri nell’armadio ne hanno parecchi. Nei successivi 4 capitoli, quel bel quadretto iniziale, pieno di colori accessi, diventa sempre più cupo, con la tela che perde progressivamente la vivacità iniziale.

Life is Strange: True Colors recensione ps5

Di fatto il tutto sembra diventare claustrofobico e oppressivo, con la diffidenza che aumenta sempre di più. L’unica arma che può sfruttare la ragazza è il suo dono empatico, estraendo il peggio dalle persone al fine di creare una zona di comfort entro cui muoversi e confidarsi. Alex, in questo viaggio, non sarà sola. Al suo fianco trova delle figure che sostituiscono il defunto Gabe, anche se non riescono a colmare il vuoto che vive nel suo cuore.

Resta il fatto che Life is Strange: True Colors arriva in un momento storico molto particolare, dove la distanza conta più di un sentimento. Per carità, l’emergenza impone delle regole che non incitano il contatto umano. La giovane Alex, però, ci ricorda che per percepire gli stati d’animo non c’è bisogno di oltrepassare il metro di tolleranza. Basta solo entrare in empatia con chi ci sta di fronte, per porgergli una mano o se serve dirgli una parola di conforto. Certi super poteri, in fin dei conti, li abbiamo tutti. Basta solo avere il coraggio e la voglia di utilizzarli.

Gameplay: Formula vincente non si cambia

Il gameplay di Life is Strange: True Colors segue, ormai, una formula collaudata nel tempo. Abbiamo davanti un titolo che fa della narrativa il suo asse portante. Tutto ruota attorno a questo aspetto, dai personaggi sino ad agli elementi di contesto. Registi e protagonisti, su un palcoscenico dove siamo noi gli artefici del nostro destino. A differenza della serie Man of Medan, Alex non viene giudicata in base alle sue scelte. Quello che conta sono solo la storia e le scelte che abbiamo fatto nel corso del capitolo.

Le decisioni prese non sono tutte uguali. Ce ne accorgiamo di questo a seconda delle grafiche che appaiono in video. Quando arriva il momento topico – quello da cui possono nascere delle emozioni che diventano fondamentali nel corso della storia – si è davanti ad un aut aut. Lo abbiamo detto in precedenza: scordatevi il concetto di “scelta giusta”. Il destino vi mette davanti delle strade da intraprendere. Quello che fate è sì frutto delle vostre scelte, che, per forza di cose, sono figlie del momento.

Life is Strange: True Colors recensione ps5

L’aria di casa spinge Deck Nine Games a puntare l’obiettivo agli elementi di contesto. L’elemento investigativo è più spiccato in questo ultimo arrivato della serie, invitando il giocatore ad un’esplorazione mirata e non più “spintanea”. Tutto gira attorno alla citta di Haven Springs, con i movimenti della protagonista che vengono guidati da quello che le succede intorno. In un certo modo, però, il contesto ci invita a prenderci delle pause, godendosi il panorama o ascoltando un LP in un negozio di musica.

Una nota di demerito arriva dal level design che limita, in alcune occasioni, la nostra voglia di curiosità. Il design dei luoghi fornisce l’illusione della libertà di movimenti, anche se il più delle volte la povera Alex corre contro un muro invisibile perché non è ancora il momento, per esempio, di salire quella particolare scala. È un errore di concetto, che in un certo modo stride con il credo del gameplay.

Dimensione artistica: Un quadro bagnato dal sole

Ed eccoci al momento che definiamo il più importante della nostra esperienza con Life is Strange: True Colors. Non si spendono mai abbastanza parole per celebrare il talento artistico delle software house impegnate nella costruzione di un videogioco. Cerchiamo, nel nostro piccolo, di farlo quanto più possibile, come in questo caso di specie.

Quando qualcosa si sente vicino – e in un certo modo “di famiglia” – il lavoro che ne consegue è, per forza di cose, influenzato. Succede con Haven Springs. Ci vuole poco per accorgersi di come ogni dettaglio di contesto, partendo dalle strade sino ad arrivare all’ecosistema circostante, è stato costruito da chi quei posti li conosce piuttosto bene. E, ovviamente, li adora. Viene quasi voglia di trasferirsi ai piedi delle montagne del Colorado, e lasciarsi tutti i problemi alle spalle, come ha fatto la giovane Alex Chen.

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L’ossimoro, a livello di design, lo si avverte con i personaggi, talvolta un po’ dozzinali a livello estetico. Basta vedere la risoluzione degli elementi grafici dell’abbigliamento, oppure la scelta discutibile sulle acconciature. Dettagli che vengono, però, oscurati dall’immensità del lavoro svolto in termini di animazioni facciali. Le espressioni arrivano prima delle emozioni, con un doppiaggio in grado di enfatizzare ogni singolo momento del gioco.

La ciliegina sulla torta si mostra con il ray tracing, anche se alcune volte ci si abbandona ad un suo abuso che rende poco verosimili alcune situazioni. I riflessi di luce sugli occhiali di Alex, per esempio, il più delle volte si presentano innaturali rispetto al contesto. Al contrario, da il meglio di sé nei momenti esplorativi e, soprattutto, nelle cutscene. Momenti che porteremo, per sempre, nel nostro cuore.

Life is Strange: True Colors recensione ps5

In conclusione

Di titoli simili a Life is Strange: True Colors ce ne sono diversi. Basta pensare alla serie The Dark Pictures, con i vari Man of Medan, Little Hope e il prossimo House of Ashes. Segnaliamo anche, per dovere di cronaca, Twin Mirrors, sviluppato da Dontnod Entertainment, genitori biologici della serie Life is Strange. Eppure, c’è qualcosa di diverso quando si è davanti a un nuovo capitolo di questa serie. È inspiegabile, quasi a livello metafisico, e semplicemente emozionale.

Sono le emozioni, infatti, le vere protagoniste di questa nuova avventura, che dimostra come il franchise sia maturato al punto da divenire una vera e propria istituzione quando si parla di videogiochi narrativi. La formula del gameplay non cambia molto. Le decisioni da prendere sono il core del sistema di gioco, con il finale che, per forza di cose, ne risente. I 5 capitoli immergono il giocatore nella storia di Alex, creando un legame empatico con la protagonista. Ironia della sorte, è proprio questo il potere che lei utilizza per aiutare le persone e, a tempo debito, svelare il mistero che si cela dietro la morte di suo fratello.

Life is Strange: True Colors non cambia molto sul versante gameplay, proponendo delle leggere variazioni rispetto all’eccellente lavoro svolto sinora dai cedenti Dontnod Entertainment. Deck Nine Games spinge, invece, sul fronte artistico. La cura delle espressioni facciali è inedita, dimostrando un salto di qualità enorme sotto questo aspetto. I personaggi assumono delle connotazioni sempre più umane, enfatizzando, così, le loro emozioni. Sul fronte design, i personaggi si presentano talvolta dozzinali nel loro stile. Per carità, è una precisa scelta degli sviluppatori, ma l’asticella si è alzata. La sfida è lanciata, ma le competenze non mancano.