Uno sviluppo travagliato quello di Lords of the Fallen, il titolo della nostra recensione della versione per console PS5. Ci sono voluti ben 10 anni e 3 reboot del progetto prima di toccare con mano quello che è nato come “oggettivo” sequel, ma che si è dimostrato – a conti fatti – un “soggettivo” reboot. Punti di vista a parte, la saga mette a segno un nuovo capitolo, anch’esso ambientato nelle desoalte lande di Mournstead.
Si riva in scena con un Cavaliere errante e redivivo munito di una lanterna, che all’apparenza sembra innocua, ma che, una volta agitata, apre una fenditura verso il mondo di Umbral. Un dualismo che funziona sia sotto il profilo artistico (con il mondo di gioco che cambia forma) che lato gameplay (con elementi di gioco nascosti). Un dualismo che, quando arriva il colpo di grazia, ci permette di rinascere nelle altro mondo.
Lato gameplay, ci sono diversi pro e contro che vanno evidenziati in questa sede. Trattandosi di una ennesima (re)interpretazione di un soulslike si parte subito prevenuti circa la presenza di eventuali stravolgimenti di genere, cosa che fortunamente non si è verificata, ad eccezione di alcune defezioni che risultano impattanti.
Essendo la sua natura ambivalente, ci siamo presi il giusto tempo per comprendere meglio le sue numerose sfaccettature, optando così per un formato iniziale “in progress” per la nostra recensione PS5 di Lords of the Fallen.
Il redivivo che vive tra due mondi in Lords of the Fallen
Un sequel, questo Lords of the Fallen, che perde tutti i connotati temporali per via dell’apprezzabile tempo trascorso, e che assomiglia più un soft-reboot della saga. Si torna ancora nelle lande di Mournstead, con i pilastri della luce che si ergono quale ultimo baluardo per l’avanzata dell’oscurità e Adyr, il supremo demone rinato sotto nuove vestigia, pronto a varcare la soglia del regno dell’oscurità.
In questo (non) idilliaco quadretto spuntiamo noi con il nostro PG creato nuovo di zecca, sfruttando un editor snello, non molto profondo e che punta alla scelta di una classe. Badate bene che quest’ultimo aspetto riguarda solo la distribuzione dei punti caratteristici e non inficia in alcun modo nella storia e nelle sottotrame. Ovviamente l’aspetto fisico risente di questa nostra scelta, per cui non vi aspettate un incantatore con l’aspetto fisico di The Rock.
Come potete ben immaginare il nostro obiettivo sarà quello di ostacolare l’avanzata dell’esercito di Adyr nel regno dei vivi. Nei panni, quindi, di un cavaliere errante, muniti di una speciale lanterna che ci permette di fare capolino in Umbral, il regno dell’oscurita e patria dello spietato demone supremo, dovremmo dare il nostro meglio e rispolverare il libro dei ricordi alla voce “soulslike”.
Concepito nella sua accezione “classica”, il genere impone una narrazione frammentata e dispersa nella mappa di gioco, generando quel livello di confusione – circa la lore e gli eventi – tipico del creatura concepita dal sommo maestro Miyazaki. In altre parole, se non capite una beneamata fava circa la trama di Lords of the Fallen non disperate, è una cosa assolutamente normale. Con il tempo migliora, ma non di tantissimo.
Il gameplay che ci prova…ma non ci riesce
Come abbiamo già accennato in precedenza, Lords of the Fallen segue i canoni del genere soulslike. Come successe per il prequel del 2014, ispirato al genio creativo celebrato nei vari Bloodborne e Dark Souls, anche questo soft reboot punta a dare una rinfrescata ai dettami dei souls. Un’operazione rischiosa ma che, se fatta con intelligenza (e non con superficialità), può dar luogo a delle sperimentazioni originali ed efficaci. Vedasi con il recente Lies of P, dove il giusto mix action/souls ha funzionato alla perfezione.
La curva di apprendimento si dimostra super ripida sin dai primi momenti di gioco, con i “semplici” nemici che non perdonano nemmeno una nostra piccola incertezza. La fase iniziale dell’esperienza – quella che intercorre tra la nostra resurrezione ed il primo combattimento con il boss – si vive come un grande (e ben accetto) traning-on-the-job. Le diverse meccaniche di combattimento e movimento lasciano trasparire, sin da subito, alcuni meriti e demeriti insiti nel gameplay.
Tra i primi annoveriamo l’immensa varietà di opzioni offensive in sede di combattimento, con un arsenale composto da armi – da mischia e a distanza – ed arti magiche di equipaggiare nella nostra build. Ogni arma ha dei suoi movimenti dedicati, in linea con il potenziale offensivo dispiegato. Ergo, l’animazione connessa al fendente di uno spadone a due mani si dimostrerà ben più lenta rispetto ad una spada ad una mano, per quanto entrambe – a livello scenico – spettacolari.
Tra i demeriti del gameplay ci tocca, a malincuore, segnalare alcune criticità che hanno logorato le nostre riserve di pazienza in più di un’occasione. Le hitbox non sembrano calibrate alla perfezione, la cui portata viene amplificata per via di un timing delle parate che appare, talvolta, viaggiare con il freno a mano tirato. In tutto questo giunge la complicità dell’engine grafico, che troppo spesso incappa in improvvisi cali di frame che ci lasciano in mezzo alla…ressa.