Azione e stile in formato metroidvania, è quanto offerto da Prince of Persia: The Lost Crown, il titolo di questa nostra recensione della versione per console Xbox Series X. Ubisoft ritorna con un suo grande classico, ma non lo fa come ci si poteva aspettare. Non si tratta di un remake delle avventure raccontate nell’ultima trilogia (e che sembrano comunque “rumoreggiate” negli ambienti) ma di un nuovo inizio, o quanto meno una deviazione di genere.
Lo stile, infatti, è quello di un metroidvania con un’altissima carica action, dove l’esplorazione gioca un ruolo fondamentale in ottica progressione della storia e sviluppo del personaggio. Il gameplay è immediato, anche se, a tratti, si percepiscono alcuni schemi punitivi di matrice roguelike. Si muore spesso e volentieri, ed il respawn dei nemici avviene sempre nei medesimi punti. La struttura dei livelli non è generata proceduralmente, il che genera – in alcuni frangenti – delle parentesi di ripetitività.
Prince of Persia: The Lost Crown
Bene, il tempo per le nostre consuete ed immancabili premesse volge al termine. Vi lasciamo, dunque, alla nostra recensione di Prince of Persia: The Lost Crown, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
C’era una volta in Persia
Archiviate le fatiche dell’inesauribile Principe “senza nome”, vestiamo i panni di Sargon. Egli non ha titoli nobiliari, ed il suo unico compito è quello di difendere il regno di Persia e nobili Reali da ogni forma di aggressione esterna. Il potere della dinastia vigente è, ormai, traballante. Una nuova ondata di nemici, approfittando della precaria situazione in cui versa il regno, tenta di rovesciarne le sorti, senza però fare i conti con Sargon e il gruppo dei guerrieri immortali. Ma il neo momento di gloria è destinato ad essere effimero. Nemmeno il tempo di gioire e il Principe di Persia viene rapito e trascinato nel labirintico Monte Taf. Ed è qui che la storia di Prince of Persia: The Lost Crown prende vita.
Di primo impatto si resta un tantino spiazzati nel non vestire i panni di un Principe. Per quanto la nostra possa sembrare un’affermazione classista, la storia ha sempre visto un nobile reale in cerca del suo destino, e nel mentre districarsi tra le pieghe dello spazio e del tempo. Eppure Sargon cattura subito il nostro interesse. Si capisce subito che vi è un passato da disvelare, e il monte Taf mette il giovane eroe davanti a delle scelte che vanno ben oltre il destino dell’erede al trono.
La ramificazione della storia vede l’interazione con diversi comprimari, alcuni dei quali destinati a diventare ricorsivi e fondamentali per l’esito finale delle vicende. La struttura della mappa di gioco invoglia ad esplorare senza meta “apparente”. Al netto della suddivisione tra missioni primarie e secondarie, non vi è una linearità rispetto al corretto svolgimento degli eventi. Scendere a compromessi con questa scelta non è facile, una scelta le cui radici attingono sì dal passato remoto della serie, anche se oggi si dimostrano più attuali di allora.
Un acrobatico metroidvania in Prince of Persia: The Lost Crown
Non è facile lasciare a casa il 3D classico, per fare spazio ad un 2.5D. Ma questo non è l’unico boccone “amaro” che dobbiamo ingoiare prima di fare i conti con le nuove avventure di un principe che non è un principe (anche se lasciamo ai posteri l’ardua sentenza). A conti fatti è un vero e proprio ritorno al passato, e precisamente all’opera originale realizzata da Jordan Mechner nel 1989. All’epoca non vi era ancora Ubisoft al timone, ma il gioco ebbe un suo successo non indifferente. Di quel platform, nei nostri ricordi indelebili d’infanzia, ricordiamo i due aspetti caratterizzanti: le acrobazie in stile parkour e i combattimenti.
Questi due colonne portanti vengono riprese per edificare le fondamenta del nuovo Prince of Persia: The Lost Crown, immergendo il gameplay in un contesto tipicamente metroidvania. La prima cosa che spicca su tutti e l’imponenza della dimensione della mappa, costellata di ostacoli e blocchi tipici del genere appena citato. Per unire l’utile e il dilettevole è possibile fotografare l’area sottoposta a blocco ed immortalare il frame in un frammento di memoria. In questo modo, anche a distanza di tempo, ci si può rendere conto se l’area è divenuta o meno alla nostra portata.
Nel frattempo, non si resta di certo con le mani in mano. Viaggiare di sole quest principali è quasi impossibile (oltre che essere una semi-follia in ottica divertimento). La mappa fornisce delle indicazioni di massima sulle zone da esplorare, anche se il pallino viene affidato alla nostra capacità esplorativa. Spesso e volentieri ci si trova coinvolti in scontri dove si è sempre in inferiorità numerica. Dalla nostra abbiamo un sistema di combattimento che evolve nel corso dell’esperienza. Si inizia con un melee style, con azioni corpo a corpo a cui alternare parate e schivate. Avremmo preferito un sistema offensivo leggermente più vario, con la possibilità di differenziare i colpi e magari concatenarli tra loro per dar vita a delle combo. Il tenore del gameplay incita questo aspetto, che non trova purtroppo un riscontro.
L’evoluzione del personaggio viaggia di pari passo con il livello di esplorazione della mappa. Vi sono armi da conquistare ed abilità da sbloccare. Le prime si trovano all’interno di forzieri o vengono rilasciate da NPC in seguito al completamento di quest primarie e secondarie. Le seconde, invece, arrivano dagli amuleti, ottenibili con la crescita di alberi magici e che fungono altresì da checkpoint.
Prince of Persia: The Lost Crown, un gradito ritorno al passato?
Se vi aspettavate un prosieguo delle avventure del Principe di Persia postumo a “I due troni”, beh, le vostre attese sono destinate a durare ancora parecchio. Prince of Persia: The Lost Crown è una simpatica “deviazione” che profuma di amarcord. Concettualmente si assiste quasi ad involuzione della serie “recente”, che ha visto delle avventure svolgersi un contesto action 3D. La perdita di una mezza dimensione coincide anche con il cambio di genere, con un platform metroidvania che non dimentica, comunque, i suoi tratti genetici.
Tanta azione, e soprattutto tanto stile da vendere. I personaggi sono tutti azzeccati, e la storia, per quanto non sia ricca di colpi di scena, si è dimostrata credibile e gradevole. Ubisoft è riuscita a creare un contesto catchy in grado di stimolare sistematicamente la nostra curiosità e rinnovare, di tanto in tanto, il fattore sfida. Prima abbiamo parlato di una possibile “involuzione”. A pensarci bene, forse è più corretto parlare di un gradito “ritorno” al passato, quello in cui bastavano due dimensioni e tanta immaginazione.