Per banale che possa suonare, è la pura e semplice verità: Red Dead Redemption 2 è molto più di un semplice videogioco tripla A e non – solo – perché dimostra un valore e un livello produttivo enormi, ma anche per ciò che rappresenta.
L’ultimo lavoro di Rockstar Games, sequel di Red Dead Redemption, segue le avventure e disavventure di Arthur Morgan e la banda di cui fa parte, un gruppo di uomini e donne fuorilegge che tentano di fuggire dalla lenta ma inesorabile legalizzazione degli Stati Uniti di fine ‘800.
Red Dead Redemption 2: un nuovo, difficile inizio
Come la trama del gioco mostra la fine di un’era e l’incredulità e la rabbia di chi non accetta questo inevitabile cambiamento, allo stesso modo Red Dead Redemption 2 è esso stesso l’incarnazione di un momento di passaggio molto delicato per il medium videoludico: le console mid-gen hanno prolungato la vita dell’ottava generazione videoludica fino al limite dell’accanimento terapeutico e nonostante le major abbiano ancora molti assi nella manica, è tempo che i colossi del mercato voltino pagina, mostrando ciò che riserverà il futuro.
Dentro e fuori il videogioco, Red Dead Redemption 2 rappresenta il cambiamento: una svolta presagita da anni e nonostante questo ancora in grado di lasciare interdetti e, perchè no, anche furiosi e delusi.
Un progetto ambizioso… e rischioso
Lo sviluppo e la pubblicazione di un videogioco sono un processo lento, difficile e a modo suo pericoloso: il mercato videoludico è soggetto a trend e fluttuazioni come ogni altro e non si può esser certi che un progetto rivoluzionario ai tempi del suo concepimento possa rivelarsi altrettanto valido anni dopo: è questa una delle ragioni per cui molti giochi rimandati più volte nel corso degli anni non riescono a rispettare le promesse di chi li crea e le aspettative di chi li compra… Duke Nukem Forever e Final Fantasy XV sono solo alcuni esempi di situazioni di questo tipo.
Red Dead Redemption 2 è stato annunciato nell’Ottobre 2016; inizialmente previsto per la seconda metà del 2017, è giunto sugli scaffali fisici e digitali di tutto il mondo solo nell’Ottobre 2018. Un prodotto tripla A, sequel di un titolo estremamente valido, ma rimasto suo malgrado nell’ombra dei Grand Theft Auto; sviluppato in circa otto anni di lavoro, rimandato più volte e lanciato sul mercato come titolo open world alla fine di una generazione videoludica e facente parte di un genere ormai inflazionato.
Eppure, Red Dead Redemption 2 batte ogni previsione non una, ma ben due volte, diventando il prodotto con il miglior weekend di lancio della storia dell’intrattenimento e incassando oltre 720 milioni di dollari nei primi tre giorni dall’uscita, il tutto senza piegarsi alle regole di un mercato capriccioso, ma creandone di nuove.
Il Selvaggio West tra le mani
Se Arthur Morgan e i suoi quasi-amici si ritrovano a fare i conti con un mondo che capiscono sempre meno ogni giorno che passa, lo stesso può dirsi del videogiocatore medio, attratto da Red Dead Redemption 2 grazie alla nomea di Rockstar e al suo marketing pubblicitario semplicemente over the top: questo perché il titolo dell’azienda statunitense è perfettamente consapevole del proprio valore e non sente la necessità di guidare il giocatore per mano per metterlo a suo agio, soprattutto nelle prime fasi di gioco.
La narrazione è equiparabile, se non superiore, a una produzione stellata del cinema internazionale, tra filmati dall’eccellente regia, modelli e animazioni curate nei minimi dettagli e, ovviamente, un doppiaggio di altissimo livello. La colonna sonora che accompagna le oltre 60 ore di campagna principale vede tornare al lavoro Woody Jackson, già responsabile delle musiche di GTAV e dell’originale Red Dead Redemption e anche in questo caso ci si trova davanti a un lavoro impressionante tanto per la qualità quanto per la quantità, con canzoni e arrangiamenti composti ad hoc per il titolo e la collaborazione di oltre un centinaio di altre personalità, tra musicisti e cantanti.
L’impatto iniziale con Red Dead Redemption 2 non può oggettivamente lasciare indifferenti e persino il recente God of War di Santa Monica, pur nella sua eccellenza, potrebbe rimanere meno impresso. Di contro, è innegabile che il mondo videoludico ha fruitori sempre più esigenti e impazienti e che quindi potrebbero non vedere di buon occhio un titolo in cui il primo paio d’ore risultano estremamente scriptate, lineari e conversative.
Molto più di un film, molto più di un videogioco
Red Dead Redemption 2 infatti trova sempre la scusa perfetta per mostrare questo o quell’evento sotto forma di filmato e non mancheranno spostamenti da un luogo all’altro della mappa della durata di diversi minuti, che per quanto accompagnati da dialoghi incredibilmente realistici, convincenti e necessari ad approfondire il carattere di ciascun comprimario, sono ben lontani dal classico approccio “arcade” a un open world, in cui l’avatar del giocatore è una sorta di semidio in grado di teletrasportarsi da un punto all’altro della mappa con un caricamento, impugnare ogni genere di arma, apprendere ogni possibile abilità e falciare decine e decine di personaggi e creature ostili senza neppur sudare dalla fronte.
Arthur Morgan è un essere umano, protagonista di un gioco che non perderà occasione per ricordarci il suo essere fatto di carne e ossa, anche e soprattutto durante la seconda metà del gioco. La sua barba una volta tagliata non ricrescerà magicamente e bisognerà quindi riflettere con cura prima di sfoltirla per poi pentirsene; soffrirà la fame e la sete, il caldo e il freddo, i suoi vestiti si sporcheranno e le sue tasche non verranno improvvisamente riempite da un forziere pieno d’oro, dentro una caverna con qualche stupido goblin di guardia.
L’approccio realistico alle attività di Red Dead Redemption 2 rimane distante dalla pura simulazione e mantiene i tratti giocosi che differenziano il videogame dalla vita vera, ma molte attività, come la caccia di selvaggina e la cattura di ricercati dalla legge, richiedono numerosi passaggi intermedi che il videogioco moderno tende a rimuovere per “non far perdere tempo”.
La simulazione narrativa
Se in Assassin’s Creed Odyssey è possibile raccogliere le pelli degli animali abbattuti semplicemente premendo il pulsante di raccolta e anche nel caso in cui si dia le spalle alla carcassa o ci si trovi a cavallo, il protagonista di Red Dead Redemption 2 dovrà trovarsi alla giusta distanza, rivolto nella giusta direzione; l’animale andrà spellato e la pelle raccolta e posta sulla groppa del proprio destriero, che a sua volta non sarà provvisto di TARDIS per muoversi nello spazio-tempo e raggiungere il giocatore in una manciata di secondi non appena chiamato con un fischio.
Ciò a cui punta Red Dead Redemption 2 non è imitare la vita vera con fini meramente simulativi, ma narrativi: la lentezza di alcune pratiche quotidiane, tanto secondarie quanto indispensabili, fa assolutamente parte della storia di Arthur Morgan, tanto quanto gli eventi legati alla main quest.
È senza dubbio possibile sacrificare molte attività opzionali, non giocando mai a domino o non sfidando mai un attaccabrighe a duello, ma il focalizzarsi esclusivamente sulle missioni principali di ciascun capitolo farebbe perdere buona parte dell’essenza di ciò che Red Dead Redemption 2 punta ad essere e per cui è nato.
Red Dead Redemption 2 è a modo suo un gioco arrogante: sa perfettamente d’avere le spalle larghe, di trasudare qualità in ogni suo dettaglio e per questo motivo non fa nulla per nasconderlo, mostrando ogni singola minima animazione ben realizzata; ogni possibile inquadratura cinematografica selezionabili punta i riflettori sulla cura maniacale posta nella costruzione di un open world realistico e così pieno di dettagli estetici e chicche tecniche da poter essere considerato quasi un precursore della prossima generazione videoludica; i lunghi dialoghi che accompagnano le ancor più lunghe cavalcate evidenziano la memorabile prestazione attoriale di ogni singolo comprimario; il livello di dettaglio nei modelli ingame di persone e animali è messo in luce durante ogni caccia, ogni inseguimento, ogni sparatoria improvvisata e assalto organizzato.
Un nuovo standard per il videogioco AAA
Red Dead Redemption 2 crea un delicatissimo equilibrio alchemico tra una storia realistica, persino più dello storicamente accurato Kingdom Come: Deliverance e siparietti esilaranti, che tirano fuori il lato più giocoso e ironico di Rockstar Games, senza però scadere mai nel ridicolo.
La sensazione di concretezza è una costante in ogni singola, possibile attività di gioco, con l’eccezione forse dei combattimenti più concitati, in cui per necessità di gameplay si ha un protagonista effettivamente più resistente ai proiettili e refrattario al dolore di un normale essere umano. Si tratta comunque di un sacrificio necessario e benvenuto per lasciare a chi impugna il pad una minima, necessaria sensazione di controllo nei confronti del software.
Per ragioni più che comprensibili, Red Dead Redemption 2 non è riuscito a rubare a GTA V la medaglia di prodotto d’intrattenimento più redditizio della storia dell’intrattenimento, compito che probabilmente spetterà nel futuro a Grand Theft Auto VI, ma rimane un titolo che lascerà inevitabilmente un segno nella storia dei videogiochi, tanto per la qualità tecnica, quanto per la sua storia affascinante e incredibilmente umana, in grado di commuovere e far riflettere a lungo anche molto prima della sua chiusura.
Con i suoi milioni di copie venduti, rimane comunque un gioco non per tutti: è il Gulliver nella Lilliput degli open world di questa generazione, un gigante che impone i suoi ritmi e le sue regole al giocatore, forte di un’unicità fondata su quasi un decennio di lavoro e che può essere amato quanto odiato, ma non può non essere rispettato.