Deliri platformici ad un ritmo fast paced, è la ricetta che viene suggerita da Rooftop Renegade, il titolo di questa nostra recensione per console Xbox Series X. Pensate che il suo concepimento giunse nel 2018, nel corso di un Global Game Jam, un contest che vede riuniti artisti, sviluppatori e creativi in genere sotto un unico grande tetto. Idee che poi, con il tempo e i giusti riconoscimenti, si sono dimostrate vincenti.
Le pretese non sono troppe, e l’umiltà del gameplay è la cosa che meglio contraddistingue questa singolare esperienza di gioco. Una “singolarità” ereditata dal suo essere anacronistico. Zero storia, personaggi piatti e senza lore, con unico grande obiettivo: correre come se non ci fosse domani. Il come e il perché non sono dati rilevanti. Conta solo partire da sinistra ed arrivare quanto più a destra possibile, in uno scorrimento veloce che raggiunge i 60fps fissi.
Graficamente intrigante, con un stile pulito e semplice, molto cyberpunk retro con delle leggere inclinazioni verso il neon vaporwave. Una semplicità che punta ad evidenziare cosa il personaggio deve fare nel livello, senza perdersi in inutili vezzi. Come vi dicevamo prima, il concetto base del gameplay è molto chiaro: run baby run . Diventa inutile, in tal senso, addentrarsi nelle meccaniche di gioco, perché non ve ne sono in sostanza. Non parliamo di qualcosa di banale, ma di estremamente semplice, perfettamente adatto per un bambino (argomento su cui poi ritorneremo sopra).
Bene, il tempo delle nostra consueta premessa, che speriamo sempre non sia troppo fastidiosa, è terminato. Vi lasciamo, dunque, alle parole della nostra recensione di Rooftop Renegade, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Run baby run
In Rooftop Renegade interpreterete i panni di una signorina senza nome perennemente in fuga verso la libertà. Le azioni sono molto limitate e le sue abilità aumentato man mano che i livelli avanzano. Non esiste uno skill tree o una progressione del personaggio degna di questo nome, pertanto l’unica cosa che si deve fare e correre, schivare e saltare. Non essendoci potenziamenti “droppabili”, i boost arrivano dalla sapiente interpretazione di quello che il livello ha da offrire.
L’ultima affermazione trova un reale significato negli hoverblades, degli speciali pattini in linea che sfruttano l’energia presente sulle rotaie e le superfici in genere presente nei vari stage. La sua presenza è fondamentale per andare veloce e sfruttare il boost della velocità ma non è mai scontato. La distruttibilità di ogni parte del livello è la vera croce e delizia del gameplay, pertanto veloci sì ma muniti di calma e osservazione.
Due cose che non ti aspetti quando, prima di stringere il controller tra le mani, senti parlare di action platform. Per carità, gli elementi tipici del genere ci sono ovviamente tutti, ma devono fare i conti per la proceduralità della creazione dei livelli e l’elevata distruttibilità degli stessi. Tradotto, sai come inizi e non sai mai come finisci. Il che è un bene in chiave “rinnovamento interesse”, in quanto si trova il giusto stimolo per affrontare il livello successivo.
Tra le varie modalità di gioco, oltre al solito Arcade vi sono anche altri modi per tentare di sfidare l’AI o addirittura se stessi. Il tutto è fruibile sia in solo o in local multiplayer (ebbene sì, come si faceva una volta). Restando in tema multigiocatore, è interessante la presenza di una modalità completamente asimmettrica 3vs1 in cui gli avversari si divertono a fare a pezzi i vari elementi presenti nel livello. Carina, dopo una bella serata passata insieme agli amici, e magari per appianare alcune divergenze in sospeso.
Platformazioni didattiche
Tra i generi videoludici esistenti al mondo, quello dei platform è sicuramente tra i più longevi. Dall’intramontabile Super Mario di casa Nintendo sino ad arrivare al super veloce Sonic della nipponica SEGA, il correre e saltare sopra delle piattaforme è riuscito sempre ad emergere e accontentare le esigenze di intere generazioni di giocatori. Ma dove si nasconde la formula magica di questo genere? Perché tale semplicità riesce sempre a mettere d’accordo tutti?
Rooftop Renegade ci dimostra con la sua semplicità, che il divertimento non necessariamente coincide con meccaniche di gioco complesse e articolate. Progressivamente, nel tempo, abbiamo un po’ dimenticato tutti da dove siamo partiti per arrivare adesso ad apprezzare titoli del calibro di Elden Ring, God of War Ragnarok ed Horizon Forbidden West. E un discorso che può anche non avere un gran senso, ma vi facciamo una semplice domanda: quale genere consigliereste a vostro figlio per approdare nel mondo dei videogiochi?
Un atterraggio che, per forza di cose, deve essere morbido, semplice ed immediato. Come se le sue manine fossero guidate da alcuni gesti istintivi, come appunto correre e saltare. Gesti fisici alla portata di tutti, simulabili sia nella realtà che nel gioco, con il fatto che in quest’ultimo l’immersione e il transito dal mondo reale a quello virtuale si concretizza per il tramite di un controller .
Ma la verità – che non abbiamo il coraggio di ammettere – e che questi titoli, passateci il termine, “semplici” hanno quella capacità di tirare fuori il bambino che si cela in noi. Quel bambino che si emozionava come un matto di fronte a Super Mario e Sonic, quando ancora erano a 16bit e che adesso viene messo in panchina per lasciare spazio a quell’adulto che è sempre in cerca della perfezione. Perfetto sì, ma rispetto a cosa? Se abbiamo perso la voglia di divertirci, Rooftop Renegade ci ricorda che non è mai troppo tardi per ricredersi.