Caliamo di giri con Scarf, un’avventura puzzle-platform che giunge su console dopo una precedente esperienza su PC. La gestazione della prima avventura degli spagnoli di Uprising Studios non è stata una passeggiata, complice anche la pandemia da Covid-19. Nonostante le fatiche sono riusciti a partorire la loro inedita creatura, che prometteva un esperienza rilassante e riflessiva. E così è stato.
Non ci sentiamo di criticare questo tipo di approccio voluto dagli sviluppatori, anche perchè, parliamoci chiaramente, il trend del momento si traduce con il genere aRPG e l’appiattimento è piuttosto tangibile. Uscire dal solito fa sempre bene, giusto per rinnovare la fiamma dell’interesse verso il mondo dei videogiochi. Il tentativo c’era, ma il risultato finale non ha generato l’effetto voluto.
Il gameplay non ha quella capacità di “sorprendere”, mantenendo – sempre e comunque – quelle premesse iniziali di relax e riflessione. Le ambientazioni zenlike sono molto originali, con il ricordo che è andato subito a Journey, molto simile per genere e design. I puzzle non richiedono un impegno gravoso per le nostre sinapsi, e la componente platform, invece, diventa il pretesto perfetto per mettere in mostra le nuove abilità ottenute dal protagonista di volta in volta.
Bene, non ci resta altro che tuffarci in questa nuova esperienza regalata da Scarf, il titolo della nostra recensione della versione per console PS5.
Una sciarpa e una poesia
Scarf racconta la storia di due personaggi, un essere antropomorfo di colore blu elettrico ed un drago. Il concepimento del primo è indissolubilmente legato alla presenza dell’animale leggendario e la loro missione è quella di salvare il mondo intero. I due vivono in simbiosi, un’alchimia che diventa sempre più forte di scenario in scenario. Il drago, in formato “sciarpa” (da cui il gioco prende il nome), viaggia unitamente all’improbabile eroe elementale, fornendo potenziamenti e nuove abilità nel corso dell’avventura.
Se le premesse appaiono piuttosto “normali”, lo stesso vale per la struttura del gameplay. Per la loro prima uscita sul campo gli spagnoli di Uprising Studios optano per un puzzle-platform con una forte componente evocativa e sensoriale. In molti ci hanno visto una semi-eredità lasciata da Journey, anche perché la componente action è davvero poco presente. Il tutto viene lasciato al piacere della scoperta, e alla (ri)scoperta di quella semplicità che oggi giorno non alberga più nei videogiochi.
La semplicità del gameplay, che approfondiremo meglio nella sezione successiva, si scontra, però, con una complessità importante della trama, che ci ha lasciato spiazzati sin dai primi momenti di gioco. È chiaro che l’intento narrativo di Scarf è quello di lasciare in mano ai giocatori alcuni interrogativi che non trovano tutti risposta nel gioco. Il fulcro è quello delle scelte “morali”, lasciando dei dubbi esistenziali sul concetto di giusto e sbagliato. Al tempo stesso, ogni qualvolta si edifica un “certezza”, questa prontamente si sgretola, e ci si ritrova confusi e spaesati.
Quella sensazione di “spaesamento” crea una sorta di elastico emozionale tra noi e il gioco, con il fattore immersione che, il più delle volte, vacilla senza trovare una giusta collocazione. Voluta o no, è una scelta che andava oltremodo contestualizzata, offrendo, magari, al giocatore di turno un’esperienza puramente sensoriale ed esplorativa, con il concetto di “scoperta” al centro di tutto.
Puzzle no, Platform sì e tanto sano relax
La struttura del gameplay di Scarf è quella tipica di un platform, con una progressione sequenziale e un level design che obbliga a procedere in unica direzione, mettendo subito in chiaro che non ha nessun senso “logico” tornare indietro. Questo ultimo assunto ha solo un’eccezione fornita dalla presenza di segreti e collezionabili. Nulla di bloccante rispetto all’evoluzione narrativa del gioco.
Quella semplicità che contraddistingue il gioco e che infonde spensieratezza e calma a tutta l’esperienza generale, etichetta come “banali” i puzzle game presenti in Scarf, al punto da non avvertirne la necessità. Al loro posto, giusto per ravvivare un po’ la minestra, potevano trovare spazio delle sane sessioni di combattimento. Le abilità “draconiche” riescono, in parte, a riaccendere la flebile fiamma dell’interesse, concedendo nuovi poteri al protagonista, alcuni dei quali piuttosto spettacolari. Il drago/sciarpa consente, infatti, al simpatico esserino blu di volare, arrampicarsi e catapultarsi, aggirando l’ostacolo fornito dal level design.
A proposito di quest’ultima, agli spagnoli di Uprising Studios va il nostro sincero plauso. Alla loro prima avventura nel mondo dei videogiochi hanno subito messo in campo il loro talento, dipingendo degli scenari da cartolina. A livello di stile, il paragone con Journey è anche azzeccato, con quel mix tra 3D e cartoon caratterizzati da un livello di fluidità che non presta mai il fianco a fenomeni di “lag” e rallentamenti in genere. Il “modesto” livello di sfida permette altresì delle sane distrazioni con momenti di attacchi d’arte sempre graditi (e lo scrivente ringrazie).
Ma non si tratta solo di arte visiva, ma è proprio il contesto ad infondere relax. Non siamo soliti ad accostare questo termine ad argomenti videoludici, con i videogiochi che impongono il nostro impegno “celebrale” costante e continuo. Anche i suoni, selezionati per la realizzazione di quel contesto emozionale prima citato, dipingono un ecosistema di assoluta tranquillità. E come succede in questi casi, è un attimo finire dal giusto al troppo.