Shadow Warrior 3: recensione su PS5

L'urlo di Lo Wang non spaventa

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Lo Wang non si da pace e torna, più arrabbiato che mai, in Shadow Warrior 3, titolo di questa nostra recensione per console PS5. E siamo a quota tre. Il reboot della saga ideata da 3D Realms, e transitata nelle mani di Flying Wild Hog in seguito alla cessione di IP, perde un po’ di smalto. Ad onor del vero, quello che abbiamo tra le mani assomiglia ad un ennesimo restyle, che abbandona la strada intrapresa nel secondo capitolo. De gustibus, questo è pacifico, ma quella vena openworldiana – con quei timidi accenni di RPG – non ci dispiaceva affatto. Quanto meno assomigliava a qualcosa di originale.

Lo Wang viene dipinto come un bizzarro personaggio, flagellato da un costante senso di colpa e con un tocco di malsana ironia. Piace nella sua versione base, anche se ogni tanto scivola nel triviale, con delle situazioni compassate e poco divertenti. Non bastano le parolacce, e un leggero rimando al buon vecchio Duke Nukem (e che bellissimi ricordi, ndr). Ci vuole ben altro per costruire un Personaggio con la “P” maiuscola. L’azione e le situazioni al limite del frenetico non mancano, anzi ce ne sono a iosa. La dinamica ad ondate crea il giusto mix tra combattimenti ed esplorazione.

Shadow Warrior 3 ambientazione

Il bestiario dei nemici è colorito e anche, a suo modo, originale. Alcune creature vengono prese in prestito dalla mitologia del giappone feudale, così come l’ambientazione, in una dimensione spazio temporale a metà tra i giorni nostri e quelli dei samurai. In tutto questo delirio c’è sempre quel “famoso” drago risvegliato dal povero Lo Wang alla fine della seconda avventura. La vergogna e i sensi di colpa vengono sopiti dalla presenza di Orochi Zilla, prima suo acerrimo nemico e ora – con uno “scivoloone” narrativo piuttosto importante – suo fidato consigliere, nonché voce della sua coscienza.

L’epoca dei doomslike è appena iniziata, con Shadow Warrior 3 che si prenota un posto in prima fila per l’ascesa di quello che può diventare un nuovo genere in cui identificarsi. Vi lasciamo, dunque, alla nostra recensione della versione giocata su console PS5.

L’alba dei doomslike in Shadow Warrior 3

Che il fenomeno Doom abbia la potenza di ispirare un genere ne siamo piuttosto consapevoli. Diamine, l’IP ideata di ID Software, nel tempo, ha creato un vero e proprio manuale di un qualcosa che più comunemente potremo definire doomslike. Demon’s Souls lo ha fatto, grazie a dinamiche di gameplay punitive ma al tempo stesso appaganti ai fini dell’esperienza generale di gioco. Elden Ring e Dark Souls 3 ne sono testimoni. Un’esperienza che va anche oltre il concetto materiale di videogioco e oltrepassa i confini del virtuale per influenzare il mondo reale. In parole povere, un vero e proprio fenomeno mediatico.

Doom ha fatto lo stesso, ispirando, per almeno 3 decenni, le menti delle numerose software house impegnate nella costruzione del nostro divertimento. Ma in che modo Shadow Warrior 3 si inspira a questo mito? Iniziamo dalla violenza gratuita, che si vende “in saldo” nell’avventura sviluppata da Flying Wild Hog e pubblicata da Devolver Digital. Di gore c’è ne è in quantità industriale, a cominciare dalle fatality in cui Lo Wang si lascia coinvolgere pur di avanzare verso il livello successivo (e guadagnare punti da spendere nell’albero delle abilità).

Shadow Warrior 3 grafica

La logica delle ondate rinchiude il gioco in una linearità che stona se paragonata con quanto visto nel secondo capitolo, ma in linea con un ipotetico genere doomslike. “Stanze” collegate tra loro da un percorso esplorativo fine a sé stesso, utile per il grinding, il looting e anche per la crescita del personaggio. Quest’ultima segue, comunque, il ritmo delle kill: più uccisioni con stile mettiamo sul conto e più le abilità di Lo Wang spiccheranno il volo.

Ogni arena ha una porta da sbloccare. Questa, guarda caso, vi lascerà passare solo quando farete piazza pulita. I vari combattimenti seguono uno stile ben preciso, con i nostri movimenti che finiscono, per forza di cosa, nel seguire un andamento circolare rispetto allo scenario. Vale a dire, si corre “in tondo”, inseguiti dall’ondata di turno dei cattivoni. Può essere divertente all’inizio, anche se, con il tempo, finisce per stancare.

Perché tornare indietro 

Il gameplay di Shadow Warrior 3 prende delle distanze considerevoli rispetto al secondo capitolo uscito nel 2016. È lo stesso game designer di Flying Wild Hog, Paweł Kowalewski, a descriverlo come un upgrade del reboot del 2013. Come dicevamo prima, un re-reboot della saga. La versione open world RPG era più concentrata su un taglio narrativo e meno action, cosa che evidentemente stonava rispetto agli obiettivi che si volevano raggiungere. Lo Wang si presenta, quindi, in perfetta forma fisica, con uno stile in grado di mixare il parkour e tecniche di combattimento ninja.

Il bilanciamento armi/spada non è perfettamente eseguito. L’arsenale comprende solo 8 armi da fuoco che vengono sbloccate nel corso dell’avventura. Queste, al pari della katana, sono tutte potenziabili, anche se il munizionamento non è infinito. I proiettili vengono rilasciati dopo ogni kill, creando un circolo vizioso morte/guadagno. Stessa discorso vale per i punti vita, “droppabili” dopo le glory kill (anche se a noi piace di più chiamarle fatality, ndr). Ad aiutarci nella nostra missione vi è anche l’ambiente circostante, con un buon numero di trappole e barili esplosivi.

Personaggi

L’esplorazione “tranquilla” dei precedenti capitoli viene sostituita da una molto più dinamica, quasi in stile platform. Lo Wang è dotato di un potente rampino che lo aiuta a superare gli ostacoli più ostici, oltre che fornire un bel supporto in battaglia. Questo, infatti, attira a se i nemici contro la loro volontà, ricordando il comportamento di un signore di nome Scorpion (sì sì quello di Mortal Kombat, ndr).

È vero che manca tutta quella parte “collaterale” delle side-mission, ma si poteva lavorare ancora meglio per enfatizzare questa spiccata vena action. Se gli fps fossero stati 120, e non 60, la musica sarebbe stata completamente diversa. Non abbiamo una dimensione artistica che punta ad enfatizzare la potenza del ray tracing, per cui ci si poteva dedicare anima e corpo per puntare tutto sulla frenesia alla Mirror’s Edge. Così ci si allontanava dallo spettro di una versione ironicamente demenziale di Doom, celebrando, senza se e senza ma, un nuovo e originale reboot della saga.

Gameplay

In conclusione

Un terzo capitolo che non ci convince pienamente del tutto, con un gameplay promettente ma che si ferma alle sole “premesse”. Eppure i margini per concretizzare un nuovo reboot c’erano, e le dinamiche erano anche coerenti rispetto al personaggio e al contesto degli eventi. Flying Wild Hog e Devolver Digital dovevano, forse, crederci un po’ di più. Quell’open world RPG visto nel secondo capitolo è ormai solo un vecchio ricordo. Frenesia, azione e violenza gratuita cancellano, con un colpo di spugna, tutto quello che è successo prima dell’evocazione del drago. 

La trama di Shadow Warrior 3 è solo un mero collante che appare in occasione delle cutscene in formato FMV. ll resto è solo azione, botte, sangue e un tocco di malsana ironia. Il bestiario colpisce per entità e caratterizzazione, cosa che non possiamo ribadire per l’arsenale a nostra disposizione. La progressione del personaggio è obbligata ed ancorata al susseguirsi degli eventi di gioco, senza la presenza di side quest e attività collaterali. Un involuzione che pesa in ottica ripetitività. 

PANORAMICA DELLE RECENSIONI

Grafica
7
Sceneggiatura
7
Gameplay
7
Controllo
7
Longevità
7

Sommario

Un terzo capitolo che non ci convince pienamente del tutto, con un gameplay promettente ma che si ferma alle sole "premesse". Eppure i margini per concretizzare un nuovo reboot c'erano, e le dinamiche erano anche coerenti rispetto al personaggio e al contesto degli eventi. Flying Wild Hog e Devolver Digital dovevano, forse, crederci un po' di più.
Dino Cioce
39 anni, sposato e padre di due bellissimi bambini; anche se il tempo è poco e gli impegni sono tanti, trovo sempre un momento per dedicarmi al mio mantra e al mio credo. I AM A GAMERCRACY
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Un terzo capitolo che non ci convince pienamente del tutto, con un gameplay promettente ma che si ferma alle sole "premesse". Eppure i margini per concretizzare un nuovo reboot c'erano, e le dinamiche erano anche coerenti rispetto al personaggio e al contesto degli eventi. Flying Wild Hog e Devolver Digital dovevano, forse, crederci un po' di più.Shadow Warrior 3: recensione su PS5