La lunga attesa è finalmente terminata con l’arrivo di Tales of Arise, il titolo di questa nostra recensione per console Xbox Series X. Ci sono voluti ben 5 anni prima di rivedere un “vero” nuovo capitolo della serie, sviluppata e prodotta da Bandai Namco. Tales of Berseria, uscito nel 2016, è stato l’ultimo dei “Tales of”. La lunga attesa viene solo mitigata dall’arrivo di Tales of Vesperia: Definitive Edition, un bel ritorno al passato che non ha però mitigato l’impazienza dei fan.
Le aspettative attorno a Tales of Arise erano piuttosto importanti. La formula originale, salvo qualche iniezione di next-gen (ma giusto un’assaggio eh, ndr), è riproposta, come anche le tematiche che fungono da filo conduttore della serie. Siamo davanti a un JRPG che “non molla”, che rispetta la sua identità ma studia con attenzione i tempi che corrono. L’inossidabile Linear Battle System risponde “presente”, anche se si fa trasportare dalla corrente di anime style che scorre in questo capitolo più che mai.
Ancora freschi di Scarlet Nexus, Bandai Namco conferma la sua volontà di voler spingere su questo dualismo “videogiochi e anime”, e la fa sempre con più convinzione. Non solo cutscene e stile grafico cell shading, ma anche il gameplay e i personaggi hanno delle connotazioni anomale per un normale videogioco. Il voler urlare l’incantesimo e o un attacco ci riporta ai fasti di The Slayers, serie animata che vede alcuni punti di contatto con i personaggi e la lore in genere.
Tales of Arise, dunque, interrompe quell’attesa che iniziava a spaventare. Anche se tutti conoscevamo il nome in codice del progetto segreto – in sviluppo nei laboratori Bandai Namco – il non vederlo da tanto iniziava a preoccupare. La speranza e che dopo queste preoccupazioni, il futuro della saga sia roseo e non ancora più incerto. Lo scopriremo, insieme, nella nostra recensione di Tales of Arise, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Prime impressioni: già pronto per un nuovo anime
Veniamo dalla precedente e positiva esperienza di Scarlet Nexus, l’ultimo arrivato dai laboratori Bandai Namco. Ci è piaciuto molto, visto che ha strappato un bel 8 in pagella, sottolineando la sua vena artistica in grado di far convivere due stili e medium che viaggiano a coordinate diverse. È già da un po’ che l’azienda giapponese ha puntato forte su questa nuova filosofia, tentando di far vivere il player di turno un’esperienza aderente al mondo degli anime.
La saga di Tales of ha già avuto dei seguiti come lungometraggi di animazione e manga, segno, questo, di una continuità tra i due medium oltre che una nuova forma di fruizione del prodotto videoludico. Ci siamo, da sempre, interrogati sull’esistenza o meno di quella sottile linea di confine tra il mondo del cinema e quello dei videogiochi, e di quanto l’uno influenzasse l’altro. Il confronto vede una new entry in grado di celebrare un nuovo matrimonio che assomiglia molto a un qualcosa scritto nel destino.
Tutto questo, però, ha dei pro e contro, che già emergono nel corso della prima ora di gioco. Le sequenze di combattimento sono spettacolari, con la precisa intenzione di enfatizzare il momento urlando a squarciagola incantesimi e attacchi. Come, di fatto, previsto dai canoni di un prodotto d’animazione giapponese. Anche il comportamento dei personaggi rispetta quello di un anime, con un “boia chi molla” troppo repentino e poco credibile. La caratterizzazione dei personaggi è, forse, la più superficiale rispetto agli altri capitoli della serie, creando un contesto poco verosimile e scontato sin dalla sconfitta del primo lord.
Un po’ di verve spunta con l’arrivo di nuovi personaggi, in grado di ravvivare la storia e, soprattutto, le dinamiche di combattimento. Quest’ultimo è il vero grande punto di forza del gioco. Il Linear Battle System lo potremmo, quasi, giudicare come la perfetta evoluzione del classico turn based system. Di fatto, il concetto di turno c’è, anche se non si vede, celato nel cooldown delle abilità. Un brevetto che funge da marchio di fabbrica della serie Tales of, e che celebra in Tales of Arise la sua perfetta riuscita.
Contesto di gioco: una formula che si dimostra sempre vincente
Tales of Arise racconta la storia di due popoli, i reniani e i dahniani, con i primi che dominano sui secondi ridotti in schiavitù. Tutto ruota attorno all’estrazione di una fonte di energia, il potere astrale, prelevato direttamente dalla linfa vitale del popolo di Dahna. Il tutto per alimentare la sete di potere dei 5 lord che, 300 anni prima, si spartirono il pianeta in altrettanti regni, ognuno con delle proprie regole e una firma astrale diversa.
I protagonisti indiscussi sono due, Alphen e Shionne, predestinati alla lotta per la liberazione di Dahna. Un alone di mistero avvolge entrambi, con il primo che non ricorda nulla del suo passato, e la seconda che sembra aver rinnegato le proprie origini dahniane. Entrambi decidono di arruolarsi nel fronte di liberazione del pianeta, all’alba della grande corsa alla corona che deciderà a quale Lord spetterà il dominio su Dahna.
Escludendo il primo regno, la cui salvezza serve come pretesto per presentare l’infuso narrativo – oltre che dichiarare le regole base del gameplay – nel corso dell’avventura il gruppo aumenterà in numero e composizione. Come succede nei vari Tales of, ogni personaggio è specializzato in un’arte mistica particolare, che guida il giocatore sul come comporre il quartetto in campo.
Ovviamente, non si tratta solo di gameplay. Ogni membro del gruppo ha una storia, più o meno misteriosa, che viene svelata nel corso del gioco. È facile affezionarsi a un personaggio piuttosto che all’altro, e guidare le scelte di composizione del gruppo più per simpatia che per abilità. Non vi diremo che è sbagliato, anche perché abbiamo fatto lo stesso anche noi.
Gameplay: il giusto equilibrio tra action e GDR
Il sistema di gioco di Tales of Arise, prevede una serie di missioni da completare per procedere all’avanzamento nella storia. Le principali sono sicuramente le più importanti, anche se le secondarie forniscono dei validi motivi per fare delle deviazioni rispetto all’obiettivo primario. In primo luogo convincono (o costringono?!, ndr) il giocatore ad esplorare il regno, con la possibilità di recuperare risorse utili e affrontare duri combattimenti, finalizzate alla progressione del livello di esperienza dei personaggi.
A questo si aggiunge la costruzione della build, che punta più sullo sviluppo dello zodiaco delle arti mistiche che su “l’abbigliamento” del PG. Le stat, infatti, guardano con più interesse il livello del personaggio, moltiplicando i valori di armi, armatura e accessori. Ovviamente, si possono recuperare – oltre che acquistare – equipaggiamenti di livello superiore, anche se i percorsi sono quasi obbligati da intraprendere.
Il vero piatto forte di Tales of Arise, come già ribadito in precedenza, vive nel sistema di combattimento. Questo rappresenta una sorta di marchio di fabbrica della serie, che dal 2D e passato al 3D, ma non ha mai cambiato la sua filosofia di base. Il Linear Battle System prevede attacchi e movimenti di matrice hack’n’slash e abilità in perfetto stile RPG. La loro attivazione richiede un tributo in termini di risorse, che nel corso del combattimento è paragonabile a un tempo di cooldown.
Nel mentre ci sono le schivate perfette, ottime per avere un vantaggio tattico e sfruttare una finestra di tempo in perfetto stile “bullet time”, dove i movimenti dei nemici viaggiano a rallentatore. La ciliegina sulla torta arriva dagli attacchi speciali, da eseguire in singolo ma soprattutto in combo con gli altri membri del team. Le occasioni, per usarli, non saranno moltissime, ma quando l’avete sfruttatele a dovere. Sono in grado di ribaltare le sorti di un incontro.
Dimensione artistica: contenti a metà
Quando ti trovi davanti a un JRPG – che non vuole dimenticare le sue origini ma che crede nel futuro – la lente di ingrandimento evidenzia alcuni aspetti definibili “sacri”. La storia deve sempre essere mai banale e profonda, con i personaggi in grado di riservare uno spazio speciale nei nostri ricordi, ma soprattutto nei nostri cuori. Ma la cosa che più non deve presentare sbavature – ed essere quasi impeccabile – è l’ambientazione.
Tales of Arise presenta diversi ecosistemi, in linea con gli elementi della natura. Ogni regno ne abbraccia uno, che funge, inoltre, da fulcro del nucleo di energia astrale custodito dal Lord. Le 5 location sono diverse tra loro ma non colpiscono per dovizia nei dettagli e cura degli aspetti caratterizzanti. Le varie città – nell’ambito del regno – sembrano uguali tra loro, con qualche differenza per dimensione, edifici e opere. Si capisce che sono dei luoghi di passaggio, utili per ospitare missioni principali e secondarie, oltre che mercanti, fabbri e altri NPC “intelligenti”.
Ovviamente tutto questo non invoglia il nostro lato esplorativo. Non abbiamo davanti un open world, questo lo abbiamo già sottolineato, ma le mappe, per quanto chiuse, sono grandi e dense di oggetti da raccogliere. Vi sono, inoltre, delle missioni secondarie da poter attivare, ma mancano delle valide motivazioni per partire senza meta, e fare quelle sessioni rilassanti che esulano dal core business narrativo.
Bandai Namco ha fatto una scelta ben precisa, investendo su personaggi e storia e tralasciando il contesto in cui questi vivono. Lo capivamo con le passate generazioni di console, che non potevano contare su una potenza di calcolo elevata. La next-gen, però, di cavalli da sfruttare ne ha da vendere e si doveva – e poteva – fare molto di più sotto questo aspetto. Solo le battaglie con i Lord presentano un palcoscenico d’eccezione, con effetti speciali e ambientazioni dedicati. E questo lo possiamo portare nei nostri cuori.
In conclusione
Tales of Arise arriva a ridosso di una ricorrenza importante, con la serie che compie ben 25 anni di attività. Un bel traguardo per questo moderno JRPG che è riuscito, nel tempo, ad uscire dai confini del sol levante e conquistare altro pubblico sparso per il globo. Questo capitolo arriva a distanza di oltre 5 anni dall’ultimo della serie regolare, dimostrando alcuni passi avanti ma anche dei momenti di titubanza.
L’impianto narrativo funziona, con il solito dualismo che viene riproposto anche in questa occasione. I protagonisti principali, Shionne e Alphen, si presentano un po’ scontati e poco caratterizzati. Ci è sembrato un “già visto” da altre parti. Il resto del fronte di liberazione di Dahna ci ha convinto, riuscendo a creare un gruppo eterogeneo per storie e abilità. La componente esplorativa è ancora claudicante e non riesce a fornire dei validi stimoli per deviare un “rush” che parte forte già dopo la liberazione del primo regno.
Il sistema di combattimento si presenta in gran forma, con una perfetta alchimia tra action e RPG. Il vero punto di forza, nonchè marchio di fabbrica della serie Tales of, raggiunge la sua forma definitiva. Adesso si può solo migliorare visto che lo standard di qualità è gia arrivato ad un livello molto alto.