Con molta probabilità prima di mettervi comodi a leggere questa recensione avrete magari fatto la spesa al supermercato, comprato la cena in rosticceria, preso un caffè al bar di fiducia, utilizzando banconote o monete per saldare il conto. Un’azione quotidiana da sempre considerata come una delle meno igieniche in assoluto, poiché il denaro passa di mano in mano e accumula batteri senza freni; pensate dunque se un’organizzazione criminale – o più organizzazioni – contaminasse il denaro contante con un virus per decimare la popolazione, in poco tempo avremmo a che fare con una vera e propria emergenza priva di controllo. È il mondo che ci troviamo a fronteggiare all’interno di Tom Clancy’s The Division, che ci consegna letteralmente alle porte di una New York fantasma, vuota e abbandonata, piena di posti di blocco, di edifici e negozi distrutti, di obitori all’aria aperta, automobili ammassate nelle strade, rifugi di sicurezza. Il nostro personaggio fa parte – per l’appunto – della Divisione, una squadra di agenti speciali che ha il compito di ripulire la città da tutti i malintenzionati che hanno preso possesso della metropoli, oltre a cercare l’origine del virus e la sua conformazione.
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La storia di questo nuovo titolo di Ubisoft, è bene chiarirlo subito, non è certo la più originale mai sentita, al contrario esistono svariati prodotti letterari (al di là dello stesso Tom Clancy) e cinematografici che riprendono i medesimi temi; anche dal punto di vista narrativo The Division non riesce a colpire più di tanto il giocatore. La storyline principale è presente ed è molto solida, la mappa è però talmente vasta e ci sono così tante cose da fare che ci si distrae con estrema facilità. Le missioni principali poi suonano come totalmente slegate, non c’è un filo da percorrere, una strada da seguire, tutto è regolato dal livello di difficoltà, motivo per cui alcune missioni si affrontano prima di altre, in ogni caso il giocatore è assolutamente libero di seguire il suo percorso come meglio crede. Alla fine è l’essenza stessa degli MMO, l’assoluta libertà unita al multiplayer spinto e – a tratti – necessario; caratteristica che rende The Division un titolo molto particolare, di massa ma comunque rivolto a un pubblico preciso, consapevole, che conosce i rischi di un genere che può reiterare le sue meccaniche all’infinito. È la prima importante critica che bisogna fare al gioco, la ripetitività: nonostante Ubisoft abbia creato una marea di eventi, sparsi in ogni dove, e abbia riempito le strade di New York di svariati tipi di collezionabili (alcuni anche molto suggestivi come gli Echo), il minimo comun denominatore di tutte le nostre attività è uno solo, sparare.
The Division si può quasi definire come un insieme deforme e caotico di tante piccole battaglie, da combattere pressoché allo stesso modo. Ci sono decine e decine di vantaggi, di abilità, di armi, mod ed elementi da equipaggiare, però la realtà dei fatti è che sempre e comunque bisogna restare al riparo, pensare a strategie fulminee, premere il grilletto al momento giusto, aiutare gli altri, seguire per filo e per segno gli obiettivi delle missioni e annientare il boss di turno. La sensazione di ‘fare e rifare le stesse cose’ si ha soprattutto con le side quest, le missioni principali sono invece costruite con un’ottima tensione e una colonna sonora impeccabile, sono battaglie estenuanti contro nemici sempre più forti, numerosi, carrozzati e intelligenti contro i quali è bene combattere in gruppo. Uno dei punti di forza dell’intera produzione del resto è proprio l’IA degli avversari: questi possiedono una coscienza quasi viva, sono estremamente offensivi e tattici, ci vengono incontro costringendoci ad arretrare, diventano ancora più feroci quando sentono che siamo senza energia, qualcosa che raramente si trova sul mercato.
L’intera storia si può affrontare anche in single player, qualora non amiate molto il multiplayer, ma sarà più difficile e non vi permetterà di sbloccare alcuni trofei/obiettivi. Le quest principali risultano anche ben bilanciate a livello di difficoltà (a patto di seguire i suggerimenti rispetto al livello necessario); qualora una missione risulti troppo semplice o abbiate voglia di spingere i vostri limiti, si può sempre impostare una difficoltà superiore. Proprio a proposito di sfide, gli sviluppatori hanno chiamato un’intera area centrale di Manhattan Zona Nera, un luogo senza legge in cui si incontrano nemici leggendari ed estremamente corazzati che, una volta uccisi, lasciano in terra materiali preziosi. Questi possono essere trovati anche in casse speciali, ma attenzione, l’intera area è contaminata, per poter usare gli oggetti trafugati bisogna ‘estrarli’, consegnarli a un elicottero logistico in determinati punti della mappa. All’interno della Zona Nera sono in vigore anche punti esperienza secondari, che concorrono a un secondo livello parallelo.
Per quanto riguarda l’aspetto grafico e messo da parte il PC, laddove con una configurazione di alto livello si raggiungono risultati davvero straordinari, The Division conserva anche su console atmosfere suggestive e ben realizzate. Non sempre le texture sono perfette e dettagliate, ma il mondo di gioco è davvero ben fatto, pieno di elementi, con agenti atmosferici e un ciclo giorno/notte funzionale. Le strade di New York sono sempre sommerse dalla neve, eppure si incontrano continuamente civili che vagano per la città, altri che cercano aiuto, uccelli che volano in stormo, oltre alle pattuglie nemiche. Tutte le auto abbandonate hanno poi uno o due sportelli aperti che si possono chiudere, idem per i cofani, tutto sotto una luce dinamica pronta a cambiare in tempo reale, così come le ombre. Considerando che il gioco è un open world sempre connesso a internet, Ubisoft può ritenersi del tutto soddisfatta, soprattutto per quanto riguarda il frame rate; lo studio ha sicuramente fatto qualche rinuncia a livello visivo con l’obiettivo – raggiunto – di ottenere una stabilità costante. Analizzando il flusso in real time sia su Ps4 che su Xbox One, si vede chiaramente come il sistema non schiodi mai dai 30 frame fissi, anche durante le fasi più concitate; il merito è anche della risoluzione adattiva, che fa il resto del lavoro. In tutte le nostre ore di gioco utili ad arrivare a questa recensione abbiamo anche incontrato pochissimi bug, pochissimi problemi generali, rari rallentamenti dovuti alla linea, evidentemente in casa Ubisoft lo smacco e l’umiliazione subiti con Assassin’s Creed Unity sono ancora una ferita aperta e non si vuole più sbagliare.
Oltre i tecnicismi, resta un’ossatura davvero vasta e sterminata che piacerà agli amanti del farming, del loot, della progressione. Nonostante bastino una trentina di ore per raggiungere il level cap, al momento fermo al livello 30, c’è la base centrale da ricostruire da zero tramite tre comparti ben distinti, ci sono mod secondarie da sbloccare, vantaggi da guadagnare, abilità da personalizzare, armi ed equipaggiamenti da cercare, comprare, rivendere, riciclare. Non ci troviamo di fronte ad un gioco di ruolo in piena regola, eppure possiamo dare al nostro personaggio le sfumature che desideriamo, potendo scegliere fra una miriade di combinazioni diverse. Capitolo a parte per l’abbigliamento, che non ha qualità di salute, di tecnologia, di attacco; come ogni MMO che si rispetti, gli elementi decorativi servono semplicemente a caratterizzare il nostro personaggio, null’altro. Piccola nota di demerito per i controlli: la giocabilità è in ogni caso molto alta, la mira è precisa, nel 95% dei casi il nostro personaggio fa esattamente ciò che vogliamo. Nel 5% restante però è facile rimanere incastrati in alcuni punti della mappa, soprattutto interni, finire al riparo nel punto sbagliato e venire massacrati per demeriti del sistema; talvolta è macchinoso anche salire o scendere da alcune semplici piattaforme. Nel mondo di gioco è pieno di punti di aggancio, dunque è comprensibile qualche problema, ma sicuramente il controllo generale può essere migliorato via patch.
Tom Clancy’s The Division è dunque un gioco immenso, pieno di cose da fare e nemici da uccidere, chi effettivamente è alla ricerca di continue sparatorie senza fine in un mondo aperto, senza eccessivi fronzoli, si trova davanti al titolo perfetto, pronto a tenerlo occupato per settimane per non dire mesi; chi invece è più attento alla narrazione, deve procedere con passo felpato verso l’acquisto, perché potrebbe rimanere molto deluso. Un tasso di ripetitività, è innegabile, esiste, ma spetta a noi stessi variare il gameplay con nuove abilità, potenziamenti, mod e quant’altro. La Zona Nera poi è una vera “killer application”, un luogo senza regole dove ci si diverte e si perfeziona il nostro senso della strategia; i più audaci possono anche ingaggiare guerre intestine fra membri della divisione, ma attenzione al marchio di “traditore”. Non sarà un capolavoro epocale, ma è di certo uno dei titoli Ubisoft meglio riusciti degli ultimi anni; anche l’inferno ha la sua buona dose di poesia, quando fiocchi di neve e proiettili cadono insieme.