Se c’è qualcosa in cui Sony Playstation ha sempre investito, sono le campagne di marketing per le proprie esclusive. Tuttavia, nel caso di videogiochi come The Last Guardian, presentazioni pubblicitarie tanto “aggressive” diventano armi a doppio taglio: i consumatori, fomentati più dallo spot che dal prodotto in sé, sono indotti a un acquisto poco ragionato e che probabilmente porrà loro davanti qualcosa di molto diverso da ciò che si erano immaginati sotto l’influenza degli abili jingle dell’azienda nipponica.
Non è quindi un caso se, dopo quasi dieci anni dall’inizio dello sviluppo (per quanto le interruzioni dei lavori e la cancellazione del progetto abbiano ridotto di molto il tempo effettivo) The Last Guardian si sia trovato tanto sotto le luci della ribalta, quanto sotto tiro da parte di molti videogiocatori, rimasti delusi da ciò che avevano creduto sarebbe stato un capolavoro assoluto.
Un altro tempo, un altro luogo The Last Guardian
La narrazione di The Last Guardian mantiene lo stile pieno di silenzi, misteri e cose non dette, tipico del Team ICO, lasciando quindi grande spazio all’immaginazione del giocatore. Questo terzo titolo della software house condivide il proprio setting con i lavori precedenti, per quanto – salvo speculazioni – non sia chiara la sua collocazione cronologica.
A differenza di ICO e Shadow of the Colossus, però, è presente la voce narrante, fuori campo, del protagonista ormai adulto che, se da una parte aiuta i giocatori ad orientarsi e comprendere certi eventi, dall’altra spezza un po’ la tensione, in quanto si dà automaticamente per scontato che almeno uno dei due personaggi della storia abbia raggiunto il proprio lieto fine.
“Trico!”
Nonostante sia il bambino, ormai cresciuto, a raccontare gli eventi dal proprio punto di vista, non si può nascondere che il vero focus dell’intera storia sia Trico, o meglio, il trico: una creatura chimerica di origine sconosciuta, conosciuta dalle popolazioni di quel mondo come “bestia mangia uomini”. Fin dai primi trailer del gioco sono stati mostrati più trico, ragion per cui il vero mistero di The Last Guardian aleggia sui comportamenti, la natura e i poteri di questi animali piumati… I cui occhi ricordano fin troppo i colossi di Shadow of the Colossus.
La realizzazione dei trico è qualcosa di mai visto finora, sia dal punto di vista tecnico che artistico: il piumaggio, i movimenti, i versi, l’espressività, così come le sue interazioni con gli elementi ambientali e il bambino, sono frutto di anni di programmazioni e ricerche che hanno infine portato alla creazione di una più che plausibile forma di vita.
Un quadro splendido…The Last Guardian
Per quanto The Last Guardian sia facilmente classificabile come un puzzle game ambientale, molti elementi (non tutti positivi) lo avvicinano più al genere dell’avventura grafica.
Le ambientazioni, anche se mono o bicromatiche, sono sempre diverse e riescono a stupire; lo stesso purtroppo non vale per gli enigmi, estremamente semplici e quasi assenti nella seconda metà di gioco, in cui l’avanzamento fra un ostacolo e l’altro è tanto spettacolare quanto elementare e in cui i puzzle sono più considerabili una “scusa narrativa” per mantenere presente l’interazione tra il videogiocatore e ciò che accade a schermo. Per fortuna, il comparto musicale e di suoni ambientali resta di un costante, altissimo livello, accompagnando gli avvenimenti in maniera egregia.
Come nella maggior parte dei titoli moderni, la telecamera è controllabile tramite levetta destra, ma in molti frangenti risulterà automatica proprio per il taglio cinematografico che si è voluto dare agli eventi.
Infine, i comandi, uno degli aspetti più criticati (e criticabili) del titolo: a dispetto delle animazioni curatissime, il controllo non è mai semplice o reattivo e ricorda fin troppo il feeling trasmesso dai primi giochi Playstation 2. Va però detto che a parte un fastidio intrinseco e soggettivo, gli input lenti non creano particolari problemi se non giusto in un paio di sezioni platform in cui, grazie alla complicità di un’inquadratura fissa dalla prospettiva infelice, i salti verso la morte saranno la norma.
… Su una tela vecchia.
Tecnicamente ed emotivamente, The Last Guardian è una continua oscillazione tra l’eccellenza e la mediocrità, l’amore e l’odio. Oltre ai già citati comandi, anche il framerate del titolo potrebbe risultare un difficile test di pazienza.
Su Playstation 4Pro i cali di frame sono limitati a giusto un paio di sezioni; purtroppo lo stesso non accade con la versione standard della console Sony, in cui il titolo arriva anche a bloccarsi per un paio di secondi per caricare le aree più estese nel caso in cui il giocatore abbia “corso più del previsto”.
Il basso ed altalenante framerate è un problema spiacevole, sicuramente migliorabile tramite patch e aggiornamenti ma che ad oggi, alla versione 1.03 del gioco, risulta ancora presente e rischia sia di rovinare la potenza narrativa di alcune scene, che di creare un pericoloso precedente circa le differenze di ottimizzazione software tra Playstation 4 Standard e Pro.
A Dragon in distress
Dei tre titoli del Team ICO, The Last Guardian è quello che meno coniuga lo splendore del racconto a un gameplay solido. Dal punto di vista artistico, trico in primis, è un gioco che raggiunge livelli insospettabilmente alti, ma che pecca nella semplicità degli enigmi, alcuni persino guidati sia dalla voce narrante che dai movimenti della creatura.
Salvo casi sporadici, l’IA del trico si comporta egregiamente, al punto da sembrare un animale reale sotto ogni punto di vista. È proprio questo, infatti, il più grande punto di forza di The Last Guardian. Il legame di complicità e affetto instaurato tra il trico e il bambino si traspone nel giocatore, riuscendo a creare un’immedesimazione e un’empatia persino superiori a quelle presenti per Ico e Yorda nel videogioco ICO: Alla purezza eterea e virginea da proteggere fa posto l’ingenuità e la fiducia di -e in – una creatura ferale, intelligente ma (come gran parte degli animali di natura mansueta) inconsapevole della sua vera forza.
Anche i trico rinascono dalle ceneri
Come spesso accade nel caso di tempi di sviluppo eccessivamente lunghi, The Last Guardian porta con sé gli strascichi della vecchiaia, motore grafico compreso. Tutto ciò riesce comunque a non minarne la grandiosità narrativa, tanto silenziosa quanto piena di dettagli per i più attenti.
La durata media si attesta sulle 10 ore, poco rigiocabili vista la linearità del titolo, se non per voler sperimentare qualche scorciatoia e sbloccare diversi costumi per il protagonista, tra i quali uno che consente al giocatore di colorare a piacimento il piumaggio del proprio trico.
The Last Guardian è un’avventura grafica travestita da puzzle game, in cui il gameplay è solo un mezzo per cementare il legame di affetto tra i protagonisti e colpire con meravigliosa violenza la sensibilità del giocatore. La dualità tra istinto protettivo e bisogno di protezione accompagna nella scalata verso il misterioso Nido, concludendo gli eventi con più domande che risposte e tantissime lacrime, come Fumito Ueda ci ha abituato.