Con una lacrima sul viso ripartiamo da dove tutto è iniziato con The Last of Us Parte I, il titolo di questa nostra recensione per console PS5. Ancora una esclusiva, anche se già sappiamo che in un futuro prossimo – e non remoto – arriverà su PC seguendo le ultime tendenze di mamma SONY. È un ritorno al passato, quello che Naughty Dog ci chiede di fare. Sappiamo già benissimo dove la storia ci porterà. Lo abbiamo visto 2013, rivisto nel 2014 e rivissuto in parte nel 2020. Eppure eccoci di nuovo qui, al pari di tutte queste “prime volte”.
La magia si chiama PS5, questa meravigliosa macchina in grado di accendere tutte le nostre emozioni. In mano al giusto sviluppatore riesce a fare miracoli, al punto da farci dimenticare tutto il nostro background rispetto un determinato titolo. Ed ecco spiegato il significato delle parole di Jim Ryan e Marc Cerny quando ci preparavano a quello che sarebbe stato. Non sapevano che di li a poco il mondo sarebbe cambiato in un modo che forse riuscì a profetizzare meglio Naughty Dog nel 2013.
Ironia della sorte, The Last of Us Parte I racconta le vicende di un mondo post pandemico, dove un fungo è riuscito a dividere in due la popolazione vivente. Gli infetti perdono tutti i loro connotati umani, andando a caccia di ogni cosa che si muova e respiri. Gli esseri umani si sono rifugiati in strutture protette, a razioni ridotte e pochi margini di vita sociale. La resistenza è in mano alle Luci, un gruppo paramilitare di dissidenti che vogliono instaurare un proprio regime, utilizzando metodi poco ortodossi.
Se è la prima volta che giocate a questo titolo, la nostra invidia ci precede. Se, invece, siete dei “veterani” come noi allora l’occasione è perfetta per dimenticarsi tutto e ricominciare da capo, magari con un full immersion delle due parti. Sicuramente lo farete (noi ne siamo consapevoli, ndr). Per il resto vi lasciamo alla nostra recensione di The Last of Us Parte I, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console PS5.
Prime impressioni: per la terza volta, una prima volta
Siamo di nuovo in compagnia di Joel e Ellie, felicissimi di rivedere il primo dei due, pur sapendo già che la sorte ha deciso qualcosa di diverso per lui. La prima volta fu su PS3, e parliamo del lontano 14 giugno del 2013, un giorno che lo scrivente ricorda bene perché fu il suo regalo di compleanno. Quella generazione di console di apprestava a concludere la sua epoca, con la PS4 che veniva presentata alla stampa nel dicembre di quello stesso anno. Naughty Dog era riuscita a celebrare il giusto requiem per quella che è stata una delle console più importanti della storia di Playstation.
A distanza di poco meno di un anno dalla sua uscita arrivava la versione Remastered di The Last of Us, che puntava tutto su una rinnovata veste grafica, forte della potenza della nuova PS4. Ed eccoci di nuovo qua, dopo quasi 10 anni da quel famoso 14 giugno, a parlare ancora del primo incontro tra Joel ed Ellie. E volete sapere una cosa: è come se fosse una nuova prima volta. Siamo arrugginiti dal punto di vista narrativo, anche se abbiamo bene a mente tutti i momenti chiave della storia. Ma poco importa, appena inizia il prologo diventa tutto nuovo per noi. Come è possibile questa cosa?
Si chiama fattore immersione, ed è il miracolo che SONY promise all’alba della presentazione di PS5 alla stampa internazionale. DualSense, feedback aptico, Audio 3D, erano solo delle sigle che riecheggiavano come delle promesse da mantenere. E diamine se sono state mantenute. The Last of Us Parte I ne è la prova schiacciante. Quando ti accorgi che sta arrivando qualcosa alle tue spalle grazie alle feedback aptico (al pari dei sensi di ragno di Spider-Man), posi il controller e parte l’applauso. E così è stato.
Tralasciando tutta la parte grafica, che, a conti fatti, è anche meglio di The Last of Us Parte II, il resto è pura e semplice magia. Quella magia che, a distanza di quasi 10 anni, è in grado di farti resettare il cervello e pensare che sia come una “vera” prima volta. Però, pensandoci bene, se si riescono a provare delle emozioni inedite, vere ed autentiche, non è una mera illusione. Non è colpa dell’hype, e del fatto che siamo dei “Sonari” incalliti. È colpa del cuore, l’unico a cui è quasi impossibile mentire.
Contesto di gioco: tra lacrime e sorrisi
Tra lacrime e sorrisi andiamo a rivivere il primo capitolo di The Last of Us, già sapendo perfettamente come andrà a finire. Un’autostrada di emozioni, a cavallo tra più stagioni e dopo 20 anni da quel tragico incidente che ha cambiato per sempre la vita e il cuore del gigante Joel. Il contesto pandemico, ideato quasi 10 anni fa da Naughty Dog, non è più una cosa lontana da noi. Sentire l’esercito, che, dopo aver scansionato un civile, proferisce con rabbia la parola “POSITIVO”, è un qualcosa che non ci scandalizza più come prima.
Fortunatamente l’epilogo della nostra era non è stato lo stesso di quello di Joel, e il mondo, per quanto in una situazione di instabilità senza precedenti, ci dà ancora quelle certezze che in The Last of Us sembra un lontano ricordo. Le avventure di questo primo capitolo si svolgono nel 2033, in quel che rimane di Boston. Joel e Tess, due inseparabili contrabbandieri, sono pronti per regolare i conti con Robert, loro ex socio in affari. Quest’ultimo, dopo avergli tirato un tiro mancino, diventa il loro bersaglio prioritario ma il destino aveva qualcos’altro in serbo per loro.
Il primo incontro tra Joel ed Ellie ci ha fatto venire in mente i flashback giocabili di The Last of Us Parte II. Il design dei personaggi è praticamente identico rispetto a quelle sessioni amarcord. Il ricordo di Sarah è quella ferita che non si è mai rimarginata, e la vicinanza di Ellie diventa, piano piano come un lento scorrere del fiume, vitale per il burbero Joel. Ed è tosta, a livello emotivo, ri-vivere una bellissima storia come questa sapendo già come andrà a finire.
Non vogliamo andare contro i nostri ideali e non proseguiamo oltre nel racconto della trama di The Last of Us Parte I. Odiamo gli spoiler, anche se la voglia di raccontarvi qualcosina di più è terrificante.
Gameplay: quando si parla di immersione
The Last of Us Parte I si presenta come un’avventura in terza persona in uno pseudo contesto open world. In realtà è una mera illusione, visto che è il level è suddiviso in “stanze” interconnesse tra loro da un momento esplorativo. Era il 2013 e si ragionava ancora per “momenti”, aspetto che veniva limato in The Last of Us Parte II, dove tutto sembra un grande racconto.
Nonostante si tratti di una rebuild, alcune lacune nei movimenti sono rimaste come tali. Joel appare ancora fuori forma se paragonato ad Ellie, aspetto che viene fuori quando si gioca in modalità difficile ed oltre. L’intelligenza artificiale, che definire splendida è riduttivo, evidenzia tutto questo. In tal senso si poteva fare molto meglio. Resta il fatto che ogni momento, dall’esplorativo al combattimento, è permeato dalla costante presenza del feedback aptico.
Il primo assaggio della presenza di questa fenomenale feature lo abbiamo subito nei momenti iniziali, quando proviamo ad uscire dalla zona di quarantena, in prossimità del tornello dell’esercito. Di fianco a Joel si avvicina un camion. Ebbene in quel preciso momento il controller vibra dal lato in cui arriva il mezzo, con un’intensità e una costanza in linea con la vicinanza del camion al personaggio. Subito dopo arriva un’esplosione che ci fa quasi perdere di mano il controller per lo spavento.
Anche il gameplay viene, quindi, investito da questa ondata di novità. La presenza dei trigger adattivi, per esempio, aiuta a vivere più intensamente le sessioni di combattimento. Quando scocchiamo le frecce sentiamo la durezza della corda dell’arco, e lo stesso vale nelle sessioni di scontro a fuoco. Lo stimolo tattile cambia con ogni arma, così come contro ogni nemico. A seconda della loro stazza la forza d’urto dei colpi cambia in maniera differente. Come i pugili sul ring, ad ogni bordata dobbiamo essere sempre pronti e rialzarsi.
Dimensione artistica: senza parole…
Ed ecco che arriviamo nell’harem, momento in cui diamo sfogo al nostro attacco d’arte. In The Last of Us Parte I ce ne sono parecchi di questi attacchi, e capiamo forse anche meglio il senso della parola “remake”, ricordando quanto visto nell’ultima remastered del gioco. Abbiamo la possibilità, infatti, di giocare in 4K@40fps e 4K dinamici con l’obbiettivo dei 60fps (supponendo che il RayTracing sia gestito da IA, ndr). Un approccio simile – ma non del tutto uguale – a quando visto in Marvel’s Spider-Man. La nostra scelta, non trattandosi di un titolo action frenetico, ha premiato la prima modalità.
Dal punto di vista grafico è un tripudio di dettagli. Nonostante il passaggio di testimone tra Neil Druckman e il Game Director Matthew Gallant e il Creative Director Shaun Escayg, membri veterani all’interno di Naughty Dog, la musica non è cambiata. Anzi, alcune cose sono addirittura migliorate tantissimo. I riflessi nei vetri, per esempio, sono di primissimo livello. Così come il particolato nelle zone con alta densità di spore, dove i raggi del sole filtrano all’interno del pulviscolo sospeso in aria.
Le texture hanno una risoluzione molto più alta di quanto visto in The Last of Us Parte II. Ricordiamoci che questo capitolo usciva su PS4 e non ha mai ricevuto un vero e proprio upgrade nativo per PS5. Motivo per cui questo è il primo vero capitolo della saga che nasce in un reale contesto di nuova generazione. Si ha finalmente la possibilità di godere appieno del potenziale della next-gen in un titolo che ha portato a casa 200 riconoscimenti in tutto il mondo.
Se la parte grafica è sublime, possiamo confermare lo stesso anche per il comparto audio. La presenza dell’Audio 3D è quello che serviva per realizzare l’esperienza definitiva. La profondità sonora è in grado di disegnare dei panorami acustici del tutto inediti. Per carità, il miglioramento grafico è tangibile se si procede per paragoni, ma questo è un qualcosa che non ha un termine di riferimento. Ci vogliono solo le giuste cuffie, cosa che vi consigliamo assolutamente di indossare.
In conclusione
Siamo giunti al termine della nostra recensione di The Last of Us Part I, un esclusiva (supponiamo temporale) su console PS5. Naughty Dog compie l’ennesimo miracolo, tirando fuori il meglio del meglio dalla prima avventura di Joel ed Ellie. Non solo dimostra di fare benissimo i compiti a casa sotto il profilo tecnico, ma aggiunge anche del sottotesto emotivo a una storia che sembrava già aver detto e dato tutto. Ed ecco che, per la terza volta, andiamo a rivivere questa avventura come se fosse la nostra prima volta.
Se la storia non offre nulla di nuovo in chiave narrativa. Diametralmente opposta, invece, la questione sotto il profilo artistico; è veramente un altro gioco. Il gameplay respira l’aria della next-gen, con la presenza del feedback aptico e dei grilletti adattivi in grado di rinnovare tutte le meccaniche di gioco. Il comparto sonoro è una delle vere grandi novità di questa remake. La presenza dell’Audio 3D offre un orizzonte sonoro del tutto inedito, a patto che ci sia una cuffia in grado ospitare la bellezza di questa tecnologia.