L’universo di Borderlands è pronto a dare il benvenuto a Tiny Tina’s Wonderlands, il titolo della nostra recensione su console PS5. Non manca nulla della ricetta originale ideata da Gearbox Software (sviluppatore) e 2K Games (publisher), ma occorre fare un po’ di chiarezza. Giusto per capire dove ci troviamo. Il titolo viene presentato come uno spin-off della saga madre, anche se preferiamo inquadrarlo in un altro modo. Serve un piccolo sforzo di memoria per ricordarsi di Tiny Tina’s Assault on Dragon Keep, un esperimento standalone a ridosso dell’uscita di Borderlands 2.
Il DLC era il coronamento di un’idea che frullava in testa ai dev già dal lontano 2010. La voglia di realizzare uno spin-off in “salsa fantasy” c’era tutta, anche se, nelle intenzioni originali, il progetto era ben diverso. Il titolo doveva ispirarsi a un JRPG in stile Final Fantasy, con una forte componente ruolistica. Non abbandonando l’idea del gioco di ruolo, si è preferito virare sui tabletop games in stile Dungeons and Dragons, che funge anche da pretesto narrativo nel corso dell’avventura.
Gli eclettici personaggi, poi, sono la ciliegina della torta in una storia ai limiti della follia, ma coerente con il contesto degli eventi. In Tiny Tina’s Wonderlands vestiamo i panni di un nobile guerriero che tutti conoscono con il nome di Tessifato. Si campa alla giornata, visto che non vi è un filo logico da seguire. La storia è come se fosse una grandissima missione principale, a cui si affiancano degli incarichi e quest secondarie da scovare lungo la mappa. Per quanto le meccaniche di gioco, all’apparenza, lo proiettano verso un apparente FPP, i ritmi di gioco sono gli stessi della serie madre Borderlands.
Quello che abbiamo di fronte è un FPS a ondate, con una progressione del personaggio basata sullo sviluppo di uno skill tree per classi. Ce ne sono 6 per l’esattezza, con possibilità di sbloccare il multi-class arrivati al livello 12. Gli sviluppatori non regalano nulla per cui bisogna sudare per arrivare al level cap. Indi per cui, si trotta al galoppo della nostra recensione Tiny Tina’s Wonderlands, titolo, vi ricordiamo, giocato su console PS5.
Prime impressioni su Tiny Tina’s Wonderlands: una serata a D&D
Per noi è stato un vero e proprio tuffo nel passato. A quelle serate passate con un bel bicchiere di brandy, in compagnia dei nostri dadi, della scheda PG e delle folli idee del dungeon’s master di turno. Tiny Tina’s Wonderlands ci ha ricordato questo, stimolando ricordi ed emozioni appartenenti ad un lontano passato. Con queste premesse ci siamo sbizzarriti con l’editor di creazione del personaggio, scegliendo il percorso di un improbabile mago e puntando tutto sulla ricarica delle arti magiche e la probabilità di colpo critico.
Il sistema di assegnazione dei punti abilità funge da build master, che decide cosa fare e come. La scelta della classe è solo l’inizio della nostra scalata verso il livello 40, visto che arrivati al 12esimo possiamo optare per il multiclasse. Normale, come D&D insegna. Il livello di sfida non è dei migliori, visto che le ondate dei nemici sono governate da un AI che, gira che ti rigira, dispone di poche soluzioni creative. Bisogna porre attenzione ai mini-boss e alle boss-fight di fine livello, leggermente più impegnative.
L’aspetto più ostico vive nello sviluppo del personaggio. Il looting system ci fa penare prima di trovare un oggetto leggendario (e quando lo troviamo ha anche delle stats ridicole, ndr), ma l’abbiamo trovato coerente rispetto ai nostri ricordi di dadi e parolacce. Non siamo chiamati ad esplorare, ma se non lo facciamo ci perdiamo i collezionabili e i D20 (dado con 20 facce) nascosti negli anfratti della mappa.
Non ci siamo concentrati molto sulla storia, ma solo sulla follia creativa dietro l’ultimo lavoro di quelli di Borderlands. Il design dei personaggi è tanto brutto quanto dannatamente catchy. Ormai è un dato di fatto. Gearbox Software e 2K Games hanno creato un vero e proprio stile in cui identificare, non solo il gameplay, ma anche un modo di essere. È vero, non occorre giocare a Borderlands 3 prima di giocare a Tiny Tina’s Wonderlands. Non ve lo consigliamo nemmeno, visto che lo farete voi stessi di libera iniziativa.
Contesto di gioco Tiny Tina’s Wonderlands: non è più uno spin-off
Il prequel filosofico di Tiny Tina’s Wonderlands, Tiny Tina’s Assault on Dragon Keep, nasceva come spin-off standalone di Borderlands 2. Tutto inizia giocando a Bunkers and Badasses, un improbabile gioco di ruolo che vede “la dinamitarda” nel ruolo di Bunker Master. Lei racconta quello che succede come narratore esterno, creando situazioni ed eventi, anche se, il più delle volte, sembra che la storia gli sfugga di mano. Questo ulteriore elemento destabilizzante è la finzione narrativa che ci spinge a non capire “un’emerita mazza” rispetto quello che sta realmente accadendo, ma al tempo stesso aiuta in chiave immersione.
Il nostro ruolo di Tessifato, al pari di Assault on Dragon Keep, è quello di salvare il regno dal super cattivo di turno. Questi si lascia dietro di sé un esercito di non morti, orchi, goblin e altre creature provenienti da un metaverso a metà tra il Signore degli Anelli e Forgotten Realms. I nemici, il più delle volte, sembrano dei meri segnaposto che spaventano solo per quantità ed intensità di attacco, ma non per intelligenza e forza fisica. Se la build è coerente con il personaggio, la strada davanti a voi sarà sempre in discesa.
Tiny Tina’s Wonderlands ci ha fatto, però riflettere su alcune cose. Era un po’ che mancava un gioco con una build essenziale che ricorda i bei tempi dei primi RPG in formato videoludico. Quelli in cui non bisognava creare un foglio di calcolo elettronico che capire il DPS generato, e dove tutto girava intorno alla probabilità e alla quantità del danno critico. La semplicità rende, quindi, il tutto dannatamente catchy, se pur carente di narrativa.
Le tendenze, d’altronde, sono queste nell’ultimo periodo. Non ci si perde troppo tempo in storia e personaggi, per lasciare spazio alle meccaniche del gameplay. Ma sono proprio quest’ultime a non dipingerlo più come uno spin-off. Tiny Tina’s Wonderlands è maturo al punto giusto da staccarsi dal cordone ombelicale delle serie madre e camminare con le proprie gambe. Il contesto fantasy aiuta a mascherare le dinamiche di gameplay troppo simili a quelle di Borderlands, per proiettarle in un contesto narrativo più consono e logico. Noi, d’ora in avanti, lo affronteremo sotto quest’ottica, giusta o sbagliata che sia.
https://youtu.be/0-RAqyHU48M
Gameplay: la ripetitività è dura da sconfiggere
Iniziamo con una nota dolente, che accompagna tutti i giochi della serie Borderlands da tempo immemore. L’annoso problema di Tiny Tina’s Wonderlands è la ripetitività. Ci spiace segnalare questo aspetto, in sede di recensione, ma è sin troppo evidente già a partire dalle fasi iniziali del gioco. Le missioni secondarie arrivano a ridosso del capitolo 3, anche se da sole non bastano a limitare l’apatia sino quel momento accumulata. Per attenuare questo male gli sviluppatori hanno spalmato la progressione del personaggio su tappe obbligate.
La crescita – e quindi la potenza – del PG segue il percorso di un basilare skill tree, con degli innesti di mod e abilità a fasi prestabilite. A titolo di esempio (anche per non voler spoilerare troppo, ndr), al livello 5 sbloccate la possibilità di equipaggiare 2 abilità contemporaneamente, al settimo l’utilizzo degli anelli, al 12esimo il multiclasse e così via. Anche le cose da fare nelle città cambiano in numero e quantità, queste non sono in grado di rinnovare l’offerta in maniera decisa.
L’assenza del crafting ci spinge verso un uso – e abuso – ossessivo compulsivo del looting, creando delle situazioni di confusione tra quanto scartato e quanto ottenuto come bottino. Una volta capita la direzione dello sviluppo del personaggio, le armi e le mod verteranno su degli obiettivi prestabiliti. Nel nostro caso di specie, la classe scelta non spiccava per eccessiva forza fisica e vitale. La scelta di puntare, come se non ci fosse un domani, sulla ricarica delle arti magiche e il colpo critico, è stata quasi fisiologica per sopperire ai nostri evidenti limiti fisici. Dopo tutto, la migliore difesa è l’attacco (oltre che correre a gambe levate quando aspetti il cooldown delle abilità, ndr).
Nonostante questo, ci siamo innamorati della sua semplicità, anche se arrivare al 40esimo livello non è per nulla una passeggiata. Per guadagnare un punto abilità bisogna sudare parecchio, ma non a livello di difficoltà quanto a tempo impiegato. Scelta che, a nostro avviso, pesa come un macigno rispetto al problema della ripetitività già segnalato. Ad allietare, però, il percorso di liberazione di questo magico regno, vi è la presenza di una modalità multigiocatore “nuovo e vecchio” stile. La presenza, infatti, dello schermo condiviso è servita, ancora una volta, a stimolare qui ricordi di gioventù, oltre ke a inserire quel pizzico di sano divertimento spensierato.
Dimensione artistica: tanto brutto quanto originale
Siamo onesti. Graficamente Tiny Tina’s Wonderlands, così come in generale la serie Borderlands, non spicca per bellezza risolutiva o dettagli d’autore. Il suo stile, però, ha ispirato tutti, da fotografi sino ad arrivare al cosplay. Ormai ci abbiamo fatto il callo, al punto da rinunciare alla modalità risoluzione per abbracciare quella prestazione. La “fregatura” è solo per quelli che giocano sulle console di vecchia generazione. L’edizione standard, infatti, non permette l’utilizzo del ray tracing e dei 120 fps. Quelli sono ad appannaggio delle console di nuova generazione e quindi della Next Level Edition.
Non badando a spese ci siamo tuffati in questo magico mondo, circondati da troll, draghi, orchi e unicorni color arcobaleno, viaggiando a 120fps. Ondate di nemici sulle note di una frenesia pura e folle. Onestamente, non abbiamo sentito la mancanza della grafica in 4K, per i motivi sopra rappresentati. Oltre a questo, le dinamiche a ondate ci spingono ad essere competitivi e reattivi nei momenti topici, per cui la scelta è stata “spintanea”.
Il magiregno di Tiny Tina’s Wonderlands è molto diverso da quello post apocalittico visto in Borderlands 3. A metà tra una favola e un gioco di ruolo, l’aria che si respira rimanda sempre e comunque al caos tipico della saga, con delle situazioni ai limiti del surreale e della follia. Vi è, però, un’ostentazione di questo clichè, che in questo contesto inizia a dar segno di cedimento. L’apice lo abbiamo raggiunto con la quest del goblin a pois, dove si voleva – a tutti i costi – strappare un sorriso laddove non vi era nulla di esilarante.
Dal punto di vista immersivo, le feature di nuova generazione della console di casa SONY, aiutano a sentire di più il momento e l’azione di gioco. Non vi aspettate, però, il meglio delle performance a livello di feedback aptico. Apprezzatissimo, invece, l’utilizzo dei grilletti adattivi. Utilissimo per la causa.
In conclusione
Un esperienza folle, esilarante e, talvolta, un po’ troppo compassata. D’altronde non ci si poteva aspettare altro da Tiny Tina’s Wonderlands, ultima creazione proveniente dall’universo di Borderlands. Gearbox Software non osa troppo, ma ha la brillante idea di riadattare le meccaniche gia usate nella serie madre in un contesto fantasy. E lo fa alla perfezione, usando come pretesto narrativo la presenza dell’esplosiva Tiny Tina nel ruolo di Dungeon’s Master. Ricordare quelle serate in compagnia degli amici, tra D20 e parolacce, per noi è stato un bel viaggio tra i ricordi. Rivedere lo stesso spirito di quei tempi, in formato videoludico, è stato bellissimo.
Il gameplay, purtroppo, non ha quella capacità di rinnovarsi e presenta, sin da subito, delle meccaniche e delle situazioni che si dimostrano ripetitive. La presenza di missioni secondarie non particolarmente interessanti, e il sistema di progressione del personaggio molto lenta, non aiutano a limitare l’apatia. La possibilità di condividere l’esperienza con altri giocatori aiuta a dimenticarsi, per la durata della sessione, di questo annoso problema. Lo stile di Borderlands è ormai uno status quo. Siamo sicuri che Tiny Tina’s Wonderlands ispirerà la creazione di nuovi cosplay e iniziative collaterali anche nelle dimensione dell’oltregioco.