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Until Dawn, la recensione: dieci ore prima dell’alba

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Until Dawn, la recensione: dieci ore prima dell’alba

Chi durante la passata generazione di console ha avuto una PlayStation 3, più di altri sa quanto Sony sia amante delle avventure grafiche interattive. Giochi che in realtà diventano vere e proprie esperienze coinvolgenti, anche grazie alla sempre crescente qualità grafica o accessori di “realtà aumentata” come il PlayStation Move.  Il pensiero va ovviamente a titoli come Heavy Rain ma soprattutto a Beyond: Two Souls di Quantic Dream, che ha annientato qualsiasi linea di confine fra cinema e videogioco scritturando nel cast Ellen Page e Willem Dafoe, persino ricreandoli visivamente nel gioco. A riprovarci oggi, in esclusiva su PlayStation 4, è il giovane studio londinese Supermassive Games con Until Dawn, fino all’alba.

Until Dawn, un’esperienza grafica, più che un’avventura, nella quale immergersi senza timore

In Until Dawn Otto ragazzi adolescenti passano le loro vacanze in una baita in cima a una montagna piuttosto remota e difficile da raggiungere, e tutto procede tranquillamente fra scherzi infantili e bottiglie di superalcolici. Quando però si accorgono di non essere soli, in quel luogo innevato e cupo, le cose iniziano a prendere una piega oscura e si fanno pronte a segnare in modo irrevocabile gli anni a venire. È il The Butterfly Effect, la teoria resa famosa da decine di opere letterarie e cinematografiche convinta che il battito d’ali di una farfalla possa scatenare eventi più e meno catastrofici anche a decine di migliaia di chilometri di distanza, e molto tempo dopo.

Noi che ci troviamo dall’altra parte dello schermo abbiamo il compito di guidare a turno ognuno dei ragazzi, immedesimandoci nei loro caratteri e vivendo ciclicamente il loro punto di vista della storia in una sorta di montaggio cinematografico alternato. Puntualmente ci ritroveremo davanti a svariati bivi, ai quali saremo chiamati a compiere scelte di varia importanza che condizioneranno pesantemente il proseguo dell’avventura. Dalla nostra volontà dipendono dunque gli eventi e le vite degli altri, un piede messo fuori posto può significare la sopravvivenza o la morte, il sacrificio o la condanna.

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Scritto da Graham Reznick e Larry Fessenden, attore e regista newyorchese, Until Dawn impressiona per la complessità dei meccanismi off-screen e per le atmosfere incredibilmente suggestive. Per meccanismi fuori dallo schermo intendiamo tutti quei parametri che gestiscono i caratteri e gli umori dei personaggi, che cambiano in tempo reale a seconda dei dialoghi e delle azioni; una parola detta in malo modo, una carezza data al momento giusto e altri elementi simili possono determinare l’attaccamento verso una persona o il disprezzo verso un’altra, e in un gioco di equilibri precari – in un luogo chiuso e ostile – ogni sfumatura è fondamentale.

Inoltre in Until Dawn fra le righe di ogni scelta c’è della seria psicologia, il risultato finale potrebbe davvero essere l’epilogo autentico di una nostra reale esperienza. Passando invece alla trama nuda e cruda, ma tralasciando qualsivoglia spoiler of course, i personaggi e il giocatore hanno a che fare con temi classici dell’horror come un presunto killer vendicativo e amante del fuoco, ma non solo. Nello script vi è una fortissima componente sovrannaturale, legata ad antiche superstizioni che citano Shining e molta letteratura kinghiana, e difficilmente si capisce al volo cosa è potenzialmente fittizio e cosa invece è indissolubilmente reale.

Nelle poche ore in cui si svolge la storia dei protagonisti, si vive un costante senso di angoscia e ansia, preoccupazione e apprensione, ma anche di morbosa curiosità e voglia di affrontare i misteri, magari provando a risolverli. Ci si ritrova coinvolti a 360 gradi, soprattutto se si gioca al buio, e schiavi di un conflitto interiore fra una parte di noi che vorrebbe andare avanti in modo famelico e un’altra parte che vorrebbe invece fermarsi, quasi rinunciare. L’ingranaggio che in fondo ci spinge a vedere i film dell’orrore a tarda notte pur avendone paura. Già, la paura: cos’è che scatena in noi lo spavento? Nel gioco prova a scoprirlo un goffo analista fra un capitolo e l’altro, che attraverso domande e test di vario genere tenta di darci un profilo psicologico quanto più fedele alla realtà, spingendo il gioco persino oltre l’interattività.

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Se quanto detto sinora è bastato a suscitare in voi una discreta curiosità iniziale, sapere che anche tecnicamente Until Dawn è un prodotto eccellente potrebbe davvero convincervi ad acquistarlo appena possibile. Graficamente infatti parliamo di un titolo che non ha nulla da invidiare a produzioni tripla A molto più blasonate, forte della sua essenza sandbox ma soprattutto di un lavoro di motion capture fisico e facciale spettacolare. Il cast, che vede tra le sue fila Hayden Panettiere, Brett Dalton, Rami Malek, Ella Lentini, Noah Fleiss, Galadriel Stineman, Nichole Bloom, Jordan Fisher e Meaghan Martin, è ricreato perfettamente nel gioco; l’abbigliamento e i volti godono di textures di notevole fattura che spesso vi faranno credere di assistere a una vera e propria serie televisiva, anche in virtù dell’ottima sigla iniziale e dei recap prima di ogni capitolo. Non solo, anche il comparto audio svolge un ruolo fondamentale, con musica crescente in momenti particolari e suoni off-screen raccapriccianti, utili a completare l’atmosfera.

Until DawnDal fronte del gameplay non abbiamo novità particolari rispetto alle avventure grafiche sopracitate, con un solo pulsante si riesce a gestire l’80% delle azioni, mentre gli altri ci vengono in soccorso solo durante gli immancabili Quick Time Events. Più interessante è invece l’uso dei sensori di movimento del DualShock 4 che vanno a emulare i vecchi pad PlayStation Move della Ps3, utili a voltare oggetti, aprire cancelli, prendere la mira insieme al touchpad che ci aiuta a voltare le pagine e a sbloccare gli smartphone.

In definitiva un’esperienza grafica, più che un’avventura, diretta ottimamente nella quale immergersi senza timore, pronti ad affrontare qualsiasi situazione di pericolo e a dare molta importanza alle scelte, sempre rispettosi delle antiche tradizioni solenni con cui stiamo per scontrarci. Tanto sovrannaturale ma anche molte atmosfere noir, con numerosi indizi da cercare e vari puzzle da ricostruire. Se gli elementi cardine della sceneggiatura non sono certo originali all’estremo, è comunque affascinante rimanere incastrati nei meccanismi che la regolano, aspettando che l’alba venga a salvarci.