L’epoca videoludica che stiamo vivendo è alquanto strana: si parla di visori e realtà virtuale, si fanno uscire sul mercato console di egual generazione ma con hardware potenziato, si rigiocano vecchie glorie del passato e la parola che torna più spesso è “remastered”. Sembra che si voglia fare passi in avanti solo per quanto riguarda le macchine da vendere, non sui giochi da caricarci sopra. In questo ambiente rinsecchito, strambo, Ubisoft ha deciso nel 2014 di rischiare e di puntare su una nuova IP, un gioco creato da zero che si focalizzasse su un tema all’ordine del giorno: la tecnologia, i suoi punti di forza e le sue vulnerabilità. Si esplorava per la prima volta, in un mondo open, l’oscuro sottobosco degli hacker, capaci di fare qualsiasi cosa con uno smartphone in mano. Sulla carta un progetto spettacolare, unico, eppure il primo Watch Dogs convinse fino a metà. Graficamente ibrido, ancora a cavallo fra nuova e vecchia generazione di console, e con un gameplay ripetitivo, vinse la scommessa solo in parte, motivo per cui la stessa Ubisoft torna oggi nel 2016 con un secondo capitolo totalmente rinnovato, per far fronte a tutte le critiche del recente passato. Arriviamo così a Watch Dogs 2, che conferma le atmosfere ma ridisegna tutte le intenzioni e i toni.
I ponti di San Francisco
Graficamente, visto che è il primo aspetto a risaltare, finalmente la saga ha trovato la sua maturità generazionale: niente più texture ibride, addio alla Chicago plasticosa e ai suoi abitanti di gesso. San Francisco, dove ci troviamo a giocare adesso, è una città viva, pulsante, lo si capisce giocando capitolo dopo capitolo così come passeggiando per le sue strade. Ogni NPC ha qualcosa da fare, un dialogo o un’azione (quasi) unici, uno strumento da suonare, un giornale da leggere o una bottiglia di rum da vomitare. Il lavoro svolto da Ubisoft è eccellente in questo senso, non solo è stato migliorato il motion capture su ogni fronte, dunque le animazioni dei personaggi, è stata integrata proprio una nuova intelligenza artificiale, in grado di reagire alle azioni del nostro protagonista, dei veicoli e della vita che – come per magia – accade, sullo schermo, come fosse vicina alla realtà. Anni luce avanti a diretti concorrenti come Mafia III (qui la nostra recensione), uscito a poche settimane di distanza da Watch Dogs 2, che invece arranca proprio dal punto di vista dell’IA, degli NPC e dei dialoghi. È stata sensibilmente migliorata anche l’illuminazione degli ambienti, nonostante lo studio preferisca ancora la forte saturazione al più puro fotorealismo.
Gli alberi, i pali dell’elettricità, soffrono ancora di un bruttissimo “script” che li spezzetta in parti uguali quando colpiti, difetto ereditato dal primo capitolo, bisogna però fare un plauso a Ubisoft che è riuscita non solo a rendere solido il frame rate su console, ha anche accorciato la distanza con il PC. Di ottima fattura poi il level design, o per meglio dire il disegno della mappa di gioco. Non è sterminata, non è gigantesca, non ha neppure tutti quegli edifici vuoti e aperti di Assassin’s Creed Syndicate (uno dei migliori titoli di questa generazione, da questo punto di vista), eppure ha una sua identità, ha angoli caratterizzati, punti sensibili da fotografare, vicoli, cortili, piazze, monumenti, quartieri iconici ed edifici di ogni grandezza. Ubisoft persevera – e per fortuna – nel voler dare ai suoi titoli una vena “educativa”, ricreando in digitale punti di interesse di valore artistico e storico, spingendo il giocatore a cercarli tutti con attenzione. In Watch Dogs 2 fra l’altro questa operazione diventa del tutto diegetica: non si arriva semplicemente in un punto attivando una finestra di dialogo, bisogna interagire con i luoghi digitali, selezionare la camera del proprio smartphone e scattare una foto o un selfie, per condividere tutto sul social network in-game.
Un protagonista incarnazione della sottocultura
Questo ci serve sul piatto l’occasione per parlare dell’aspetto più divertente e ben fatto di questo titolo: l’integrazione della tecnologia. Marcus, il protagonista, ha all’incirca 20 anni, ed è un membro attivo del Dedsec, organizzazione underground che – come nel primo capitolo – vuole ostacolare i poteri forti e la costruzione di un enorme Grande Fratello virtuale. Marcus non è altro che uno di noi, un ragazzo come tanti, con il suo smartphone, le sue app, le sue foto, la sua musica, il suo Shazam (anche se chiamato SongSneak), le cuffie sempre nelle orecchie. Degna di nota del resto la colonna sonora: ci sono centinaia di brani da scoprire e ascoltare, di ogni genere e gusto. Insieme agli effetti sonori, in grado di restituire un’ottima spazialità soprattutto utilizzando delle cuffie, si ottiene un parco audio di tutto rispetto.
Tornando a Marcus, è un personaggio che adora utilizzare i droni e i radiocomandi, perfettamente inseriti da Ubisoft all’interno del gameplay generale: ora infatti hackerare terminali e stazioni è possibile anche a distanza con mezzi a onde radio, non solo tramite le fotocamere pubbliche come in passato, operazione che poteva risultare frustrante. Abbiamo più libertà di movimento, più opzioni tattiche, così come gli sviluppatori hanno meno vincoli creativi; nel primo capitolo sbrogliare i nodi digitali (leggasi anche mini puzzle in-game) significava accedere a una schermata ad hoc, oggi i cavi e gli snodi sono fra le mura degli edifici, sotto i pavimenti, nei cunicoli, e bisogna affrontarli in modo diverso e più dinamico. Come più dinamiche sono le attività sparse per il mondo di gioco: Ubisoft ha fatto davvero di tutto per differenziare le varie modalità di gioco, provando a rendere ogni missione (sia secondaria che principale) diversa dalle altre, e in superficie è anche riuscita nell’intento. È chiaro però che i meccanismi di base, alla fin fine, son sempre i medesimi che tornano ciclicamente, quindi a giocare svariate ore al giorno si finisce per trovare il tutto un tantino ripetitivo. Non abbiate paura però, l’immobilità del primo titolo è dimenticata, avrete davvero sempre da fare qualcosa di nuovo.
Missioni e passatempo
Anche dal punto di vista della trama, sconfiggere la Blume (e le società ad essa collegate) non sarà così lineare come nel primo capitolo. Anche questa volta non ci troviamo di fronte a nessun premio Oscar per la sceneggiatura, l’intera scrittura si fonda su solidi cliché del caso, ma le missioni principali sono ben costruite, sono variegate, capaci di regalare autentiche iniezioni di adrenalina, inseguimenti al cardiopalmo, operazione stealth precise al millimetro e attimi emozionanti, costruititi attorno all’amicizia che lega i membri del Dedsec. Ogni missione si può affrontare in modo libero, assecondando diversi stili di gioco, e questo è un assoluto punto a favore dell’intero progetto.
Si può scegliere di far saltare tutto in aria, tenendo in conto l’arrivo di eventuali rinforzi, oppure di diventare un’ombra nella notte, o ancora di affidare tutto al jumper telecomandato in grado di raccogliere “oggetti missione” o hackerare fisicamente i terminali. Marcus poi, il protagonista che sostituisce Aiden Pearce, è meno dark, più spigliato e giovanile, conosce lo slang dei sobborghi, la musica rap, sa come rispondere a tono e come essere un “tipo swag”. In pratica è la perfetta incarnazione dei giovani d’oggi, legati alla cultura nerd e ai miti cinematografici e videoludici del recente passato, ovvero gli anni ’80 e ’90, che tornano continuamente in citazioni e rimandi. Ubisoft ha così colto alla perfezione l’istantanea dei nostri tempi, che vi piaccia o meno. Tutta la tristezza che gravava sulle spalle del nostro protagonista di Chicago non esiste più, ora si respira – letteralmente – l’aria fresca della Silicon Valley, degli uffici colorati di Nudle (che nel gioco sostituisce in tutto e per tutto il nostro Google), la libertà di San Francisco, una città che sa accogliere chiunque e non conosce discriminazioni.
Tecnologia e interpretazione
Lo studio francese dunque, come mai aveva fatto prima, ha interpretato e rappresentato il nostro presente tecnologico alla perfezione, prendendosi meno sul serio rispetto al primo capitolo e dando più libertà a se stesso, al giocatore e ai protagonisti del gioco. Oltre agli smartphone, ai droni, ai meme, ci sono anche le auto elettriche caratterizzate negli effetti sonori e nell’accelerazione, altro simbolo palese della Silicon Era. Ubisoft fra l’altro non ha dimenticato di inserire un multiplayer corposo e divertente: non siamo di certo ai livelli di GTA Online, abbastanza inarrivabili, ma l’ottima modalità del primo capitolo è stata ulteriormente migliorata. Ci sono più sfide, missioni coop, possibilità di invadere e hackerare altri giocatori, di fermare altri giocatori ricercati dalla polizia oppure essere fermati, quando le stelle da ricercato salgono al massimo.
Una modalità davvero ben fatta che dona a Watch Dogs 2 ancor più valore, motivo per cui andrebbe giocato sempre con connessione attiva, anche solo per dare più pepe al gioco in single player. Citando ancora una volta GTA V, punto di riferimento saldo di tutti gli open world che prevedano furti d’auto e sparatorie all’impazzata, Ubisoft non riesce certo ad eguagliare l’esperienza di Rockstar Games, però ci si avvicina davvero molto, come mai prima d’ora. Probabilmente bisognava variare ancora di più il gameplay, correggere quei dettagli grafici che ancora permettono ai tronchi e ai pali di spezzettarsi in più parti uguali, migliorare la guida dei veicoli e renderla più sportiva, senza un irritante freno che vi blocca quasi all’istante, al momento però – in attesa di un non identificato GTA VI – è difficile trovare di meglio nel genere sull’attuale generazione. La scommessa di Ubisoft di perseverare nello sviluppo della serie, e non abbandonarla per via delle critiche, questa volta è vinta in pieno.