La storia ci insegna che in alcune leggende si nasconde sempre un fondo di verità, come quella raccontata in Wo Long: Fallen Dynasty, il titolo della nostra recensione della versione per console Xbox Series X. Koei Tecmo e Team Ninja ripartono dal successo indiscusso di Nioh per tentare una nuova via del souls. Questa volta si vuole enfatizzare più il lato action del gameplay, ricordando i bei tempi di Ninja Gaiden.
L’idea è quella di prendere il combat system di Nioh, spogliarlo della sua estrema complessità, prendere in prestito qualche interessante idea di SEKIRO: Shadows Die Twice, fare una bella centrifuga con Ninja Gaiden ed ecco che viene fuori un qualcosa che assomiglia ad una novità per il genere. Attenzione, però, non tutto è oro quello che luccica. Il primo impatto è sicuramente positivo, e il feeling con le meccaniche di gioco è veloce ed immediato.
Le “magagne” vengono fuori dopo qualche ora di “facciate a muso duro”, quando sei a metà tra l’essere frustrato e dannatamente arrabbiato per alcuni colpi “a vuoto”. Ebbene sì, vi sono alcune scelte lato progettazione che non sono giustificabili dal suo essere souls. Per quanto il genere sia sempre caratterizzato da quel suo alone di difficoltà oggettiva, alcune defezioni progettuali vanno oltre questa filosofia.
Un discorso che interessa anche il comparto artistico, assolutamente fuori tempo rispetto a questa generazione di console. E il tempo e i modi c’erano per fare meglio, ed allontanarsi dal bellissimo ricordo di Nioh e quella cocente delusione di un’assenza di un terzo capitolo della saga. Vi lasciamo, quindi, alla nostra recensione di Wo Long: Fallen Dynasty, titolo, vi ricordiamo, giocato nella sua versione per console Xbox Series X.
Alla ricerca di un equilibrio
Il mondo dei souls ospita un nuovo interprete del genere, rivisitato da alcuni veterani che hanno già navigato da qualche tempo questi mari burrascosi. Koei Tecmo e Team Ninja, dopo le fatiche di Nioh (e la discutibile esperienza con Omega Force di Wild Hearts), tentano un nuovo approccio con Wo Long: Fallen Dynasty. La sfida è quella di trovare un giusto equilibrio tra le varie dinamiche di gameplay, smussando quell’enorme barriera all’ingresso che prende il nome di Difficoltà, ma senza abbatterla.
L’espediente è quello dell’inserimento del livello di morale, un modo alternativo che indica il livello di forza del nemico, ma che cresce dentro di noi al termine di ogni combattimento. Un mix tra il punteggio di stile e il livello combattivo che trasforma il concetto stesso di difficoltà in qualcosa di dinamico e (de)evolutivo.
Il level design di ogni stage di Wo Long: Fallen Dynasty è concepito in tal senso, offrendo sempre al giocatore due strade per giungere alla meta. Una considerazione che forse possiamo meglio definire come intima, visto che il suo riflesso non è perfettamente manifesto agli occhi di tutti (o quanto meno può anche essere non concepibile come tale). Due vie dove poter dimostrare il proprio valore: una sicuramente più facile, che porta senza grosse deviazioni al big boss di livello, ed un’altra dove ci aspetta un mini-boss con un livello di morale importante e che richiede una giusta dose di frustrazione. Tutto questo per dire, ovviamente, che non esiste il concetto di scelta “giusta”, ma solo quello di “sfida”.
Wo Long: Fallen Dynasty è solo questo, un costante invito alla sfida con il gameplay che sta lì a tentare il guerriero di turno: forza, affrontalo se hai il coraggio. Alla fine si fa sempre i conti con il boss di livello, pronto ad offrire un bel carico di frustrazione che solo la metà basta. Tutto questo è insito sì nel genere dei soulslike, ma che negli ultimi anni – anche grazie all’arrivo di Elden Ring – stava rischiando di mettere troppe barriere all’ingresso verso chi “voleva provarci ma era troppo spaventato”.
E si finiva con il dire: “I souls?! Non mi piacciono, grazie”. Ed ecco gli sviluppatori giapponesi costruiscono uno specchietto per le allodole, caratterizzato da un’estrema spettacolarità nei combattimenti, e dei giochi di luce e colore che ricordano i fasti di Ninja Gaiden 3 (e recuperate la Master Collection, mi raccomando). Il tutto sempre in chiave action.
L’alba dei souls action (o il tramonto)?
Nel corso delle prime ore di gioco con Wo Long: Fallen Dynasty, il ricordo è andato subito a SEKIRO: Shadows Die Twice. Se ricordate, era l’unico targato From Software che voleva scrollarsi di dosso quel peso caratterizzato dall’estrema difficoltà dei titoli souls prodotti dalla nota sviluppatore giapponese, riuscendo in parte nel suo intento. Il GOTY 2019 nè è anche un chiaro testimone.
Koei Tecmo e Team Ninja, ancora freschi dei due capitoli di Nioh, semplificano il sistema di attacco eliminando la meccanica delle pose, ma inserendo due tipologie ben distinte di mosse offensive – base e dell’anima – che si autoalimentano con delle barre soggette a ricarica. Queste ultime viaggiano all’unisono con il numerino delle combo che riusciamo a portare a casa e dalle perfect parry che mettiamo a segno.
Rispetto a Nioh, tutti i colpi che arrivano sono evitabili “all’ultimo istante” e si viene premiati con un’animazione spettacolare che, oltre a strappare un plauso per la performance atletica del personaggio, infligge danni ingenti al malcapitato di turno, con tanto di “colpo potenziato” (e un’ulteriore animazione connessa). E chiaro che l’intento è quello di incentivare quanto più possibile questa componente di gioco, che vi possiamo assicurare permea in ogni aspetto delle sessioni di combattimento.
Purtroppo, però, pesano alcune defezioni lato progettuale che trascendono la generazione di appartenenza. Il concetto di timing, ad esempio, è completamente assente. Non si riesce a capire, infatti, quando e come effettuare la “perfect parry”, andando il più delle volte a caso, tentando la fortuna. Stesso discorso vale per la scelta del momento giusto per attaccare, scivolando nell’errore dello smashing button che dà seguito ad una “non voluta” chain con un conseguente disastro in termini di danni subiti.
Fuori generazione
Wo Long: Fallen Dynasty arriva sulle console di nuova generazione ma senza la giusta comprensione delle feature che queste mettono a disposizione. Il loro potenziale, infatti, viene solo toccato marginalmente, sfruttando una minima parte dell’offerta tecnologica. La presenza di un SSD aiuta, e non di poco, i caricamenti delle diverse sessioni di gioco, ma senza evitare il cd. “Zero loading”. Ovviamente si tratta solo di una piccola punta dell’iceberg, il peggio deve ancora venire.
Le feature dedicate dei nuovi controller, come ad esempio feedback aptico (giusto per citare l’unico improvement tattile della nuova Xbox Series X), non penetrano in alcun modo all’interno del gameplay, al pari di come succedeva in Nioh. Al tempo era giustificabile, ora invece non si capisce il senso di questa esclusione. La reattività gioca sicuramente un punto a favore, ma resta ancora una distanza “tattile” da colmare, e il tempo e l’occasione non mancavano.
Sul fronte artistico arrivano le dolenti note. Per quanto il contesto storico aleggi su Wo Long: Fallen Dynasty, la componente grafica non è in grado di rendere giustizia alla sapiente scelta sul fronte narrativo. Talvolta – con la photo mode che non risparmia nessuno – si resta inermi al cospetto di alcune compenetrazioni poligonali che ci hanno ricordato i bei tempi di PS3. Il Katana Engine, motore in-house sviluppato da Team Ninja, inizia ad aver bisogno di qualche revisione. È andato bene per Ninja Gaiden, Dead or Alive e gli ultimi capitoli di Nioh, ma è arrivato il momento di tornare ai box.
Anche sul fronte sonoro si poteva fare decisamente di meglio, anche se, ad onor del vero, quando si entra in battaglia l’atmosfera viene degnamente accompagnata a livello musicale. Il bestiario non spicca per varietà sotto il profilo acustico, così come le armi e le interpretazioni dei vari protagonisti. Si è andati a risparmio sotto certi aspetti, riproponendo una campionatura che abbiamo già avuto modo di ascoltare non molto tempo fa in altri titoli partoriti dagli stessi dev giapponesi. Per carità, di questi tempi risparmiare fa sempre bene, ma non troppo mi raccomando.