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Uncharted Collection, la recensione: l’importanza di essere Nathan Drake

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Uncharted Collection, la recensione: l’importanza di essere Nathan Drake

Spesso, parlando di film, si usa il termine “dichiarazione d’amore al cinema”. Naughty Dog, da sempre, è riuscita a trasmettere la stessa sensazione nei videogiochi che realizzava, creando non solo un polo importante per le vendite delle console Sony, ma anche un’aura di interesse di tutta la comunità videoludica: le sue produzioni, riconosciute universalmente come sinonimo di qualità, riescono a vincere nel difficile compito di realizzare titoli ad alto budget ma comunque con una personalità ed un taglio unico (nessuno si sognerà mai di definirli “commerciali” nel senso becero del termine).

Va da sé che intere generazioni sono state plasmate dai giochi Naughty Dog, nel corso della loro carriera (più che trentennale): chi da bambino giocava a Crash Bandicoot sulla prima PlayStation, si è poi ritrovato nel mondo di Jak and Daxter su PlayStation 2, dove la complessità di gioco aumentava e, andando avanti coi capitoli, la trama diventava anch’essa più articolata. Oggi arriva sugli scaffali la Uncharted Collection, per molti l’ennesimo superfluo remaster per PS4 e invece…

Otto anni fa si arrivava invece al lancio di PS3 ed alla nuova IP dei “cani”: esce Uncharted – Drake’s Fortune, che per primo presenta una trama “alla Indiana Jones” con un McGuffin da inseguire (El Dorado), ma con un tono più ironico rispetto alla controparte femminile di Lara Croft e con un gameplay più orientato verso sessioni shooter a copertura. Cominciano ad affiorare cutscenes sempre più vicine ad un linguaggio cinematografico e, seppur con i fisiologici difetti, tutto funziona perfettamente, così da creare una delle mascotte più importanti per Sony.

Come dal motto scritto sull’anello di Nathan Drake, “da umili origini, grande imprese”, ecco che i due sequel della prima avventura di Drake alzano ancora di più l’asticella, diventando vere e proprie “produzioni hollywoodiane”, che vanno ad attirare anche persone “esterne” al mondo del gaming ma senza essere meno “giocabili”. Il tempo è passato, è migliorata la grafica e la qualità delle storie si è tinta di maggior serietà (senza dimenticare l’ironia di fondo) e un maggiore spessore psicologico è stato regalato ai personaggi. Come noi siamo cresciuti con i titoli Naughty Dog, anche la casa si è evoluta, migliorando quelli che erano già i loro alti standard e aggiungendo maturità alle già articolate trame dei giochi (non a caso dopo Uncharted 3 è stato rilasciato un titolo come The Last of Us).

Uncharted Collection

È ovvio che Sony, per ingannare l’attesa del quarto capitolo e per alzare le vendite della sua console in un periodo in cui non ci sono (per ora) grandi giochi in uscita (perlomeno first party), abbia programmato un titolo del genere. Quello che poteva essere un port fatto alla carlona, che comunque avrebbe venduto, invece ha necessitato di un lavoro enorme da parte di Bluepoint (studio che si è occupato della rimasterizzazione) e si nota fin da subito: tanto per cominciare, su un solo disco troviamo tutti e tre i capitoli della saga, senza la minima perdita di dati causata dalla (ovvia) compressione che ne consegue, con l’unica pecca dell’assenza del multiplayer nel secondo e nel terzo capitolo della saga (ma con l’accesso alla Beta del multiplayer di Uncharted 4 quando sarà rilasciata). Andando poi a testare i titoli ci si ritrova in tutti e tre i capitoli una qualità degli shader maggiore, un sistema di illuminazione migliorato, la qualità delle textures aumentata e 60fps stabili (e senza cali) per tutti e tre i giochi.

Uncharted 4Entrando più nel dettaglio, si nota però come molti elementi (soprattutto del primo capitolo, che comincia ad avere 8 anni) non hanno ricevuto solo un trattamento di reskin delle textures, ma sono stati utilizzati modelli realizzati ex novo (si nota soprattutto nelle rocce e nella vegetazione). Le interfacce dei tre giochi sono state poi omologate, rendendo più coerenti tra di loro i tre capitoli e, sempre nel primo capitolo, troviamo un sistema di puntamento simile agli altri due. Per i più tecnicisti, dalle impostazioni si può scegliere come bilanciare l’audio e se applicare o meno il motion blur (e a quali elementi). Gli extra presenti nelle vecchie edizioni non sono stati aumentati, ma la quantità di bozzetti da sbloccare è già più che elevata, così come i collezionabili presenti in tutti i giochi. Tra le altre implementazioni troviamo la ormai onnipresente (e gradita) Photo Mode, un livello di difficoltà maggiore aggiuntivo (detto Brutale) ed uno più facile per i giocatori alle prime armi. Il messaggio è chiaro: i titoli di Uncharted sono universali e devono essere apprezzati da un target il più vasto possibile.

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Chi ha già giocato la saga e non è un grande fan non sarà interessato a questa collection ed è un peccato, perché la qualità del restauro è indubbiamente la migliore vista sul mercato, inoltre fa sorridere il parallelismo con il recente restauro degli Indiana Jones, anch’esso da manuale. Sicuramente questa raccolta è FONDAMENTALE per chi non aveva PS3 e non ha avuto occasione di provare le avventure di Nathan Drake: come già detto, è una trilogia fondamentale per la storia dell’industria videoludica, ne ha sancito il salto ad una maturità narrativa e qualità stilistica che in pochi son riusciti a replicare (perlomeno con il “metodo Naughty Dog”).  Aspettando comunque la “vera” bomba a marzo e la fine, con Uncharted 4: A Thief’s End, di una saga oggettivamente immortale.

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